Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 aprile 2021, n. 11338
Rapporto di lavoro, Autisti, Computo del tempo di viaggio,
Necessità logistica aziendale
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 183/2016, depositata il 16
febbraio 2016, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del
Tribunale di Avellino, che aveva respinto le domande di E.A. e altri dipendenti
di C.T.I. – ATI (…) S.p.A., con qualifica di autisti, volte a ottenere
l’accertamento del diritto, ex art. 17 lett. c)
del R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, ad essere retribuiti, nella misura
della metà della retribuzione normale, per il tempo necessario a spostarsi, con
mezzo gratuito o proprio, dal deposito al posto di cambio o viceversa per
prendere servizio o tornare a servizio compiuto, nonché, in subordine, volte a
conseguire le medesime somme a titolo risarcitorio.
2. La Corte ha osservato a sostegno della propria
decisione che la norma di cui all’art. 17, lett.
c), R.D.L. n. 2328/1923, facendo riferimento ai “viaggi comandati da
una località all’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio
compiuto”, presuppone che l’inizio della prestazione lavorativa presso una
data località sia preceduto dall’obbligatoria preventiva presenza del
lavoratore presso altra località ovvero che il lavoratore, dopo avere ultimato
l’esecuzione della prestazione lavorativa in un determinato luogo, debba fare
rientro in altro luogo, anch’esso indicato dal datore di lavoro, e cioè
presuppone uno spostamento tra due località che devono entrambe essere
obbligatoriamente raggiunte in base alle direttive o alle disposizioni
aziendali per prendere servizio o per porvi termine: ciò che era da escludere
nella concreta fattispecie dedotta in giudizio, dovendo ritenersi incontestata
la circostanza secondo cui gli autisti, quando iniziavano il turno nel deposito
e lo terminavano altrove non avevano affatto l’obbligo di tornare al deposito,
come nel caso opposto non avevano l’obbligo di passare per il deposito prima di
iniziare il turno presso il previsto posto di cambio, poiché l’azienda
consentiva loro, se lo avessero voluto, di recarsi direttamente a casa o di
iniziare direttamente a lavorare presso il luogo in cui dovevano prendere servizio.
3. Avverso detta sentenza E.A. e altri cinque
lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui la
società ha resistito con controricorso.
4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
5. Con ordinanza interlocutoria del 20 dicembre 2017
della Sesta Sezione il ricorso è stato rimesso a questa Sezione per la
trattazione in pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la
violazione e falsa applicazione dell’art. 17,
lett. c), del R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, recante “Disposizioni
per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai
servizi pubblici di trasporto in concessione”, e dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale,
nonché vizio di motivazione, per avere la Corte di appello erroneamente
ritenuto che la norma di cui all’art. 17, lett.
c), R.D.L. cit. non fosse applicabile nella fattispecie concreta, mentre
avrebbe dovuto considerare che i presupposti per la sua applicazione erano
costituiti dalla non coincidenza del luogo di inizio con il luogo di cessazione
del lavoro e dal fatto che tale non coincidenza era determinata non da una
scelta del lavoratore ma da una necessità logistica aziendale: con la
conseguenza che, essendo incontroverso che la prestazione lavorativa iniziava e
terminava in luoghi diversi per disposizione aziendale, la domanda avrebbe
dovuto trovare accoglimento.
2. Con il secondo motivo, deducendo il vizio di cui
all’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., i ricorrenti lamentano
che la Corte di merito aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata,
con la quale era stato chiesto il risarcimento dei danni per la maggiore
onerosità della prestazione erogata con le anzidette modalità.
3. Il primo motivo è infondato e deve essere
respinto.
4. L’art. 17 R.D.L.
n. 2328/1923 prevede che si computi “come lavoro effettivo … la metà
del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito
di servizio in viaggi comandati da una località all’altra per prendere servizio
o fare ritorno a servizio compiuto” (lettera c).
5. Riguardo a tale norma è stato precisato che per
viaggio comandato deve intendersi “ogni trasferimento inevitabile per
l’organizzazione dei turni derivante da disposizione aziendale, effettuato sia
con mezzo gratuito di servizio sia con proprio mezzo di trasporto con onere di
spesa a carico del lavoratore. A tal fine, il computo del tempo di viaggio
presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di
cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da
una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva, da una necessità logistica
aziendale, restando irrilevante la scelta del mezzo usato per lo spostamento.
Concorrendo tali condizioni, il lavoratore può ottenere il riconoscimento del
diritto previsto dalla suddetta norma, il cui fondamento è insito nell’esigenza
di compensare il tempo necessario al menzionato spostamento indotto
dall’organizzazione del lavoro riconducibile all’azienda” (Cass. n. 26581/2011; conformi: n. 10020/2011; n.
3575/2006; n. 15821/2000).
6. Il principio è stato successivamente ribadito da Cass. n. 9062/2014 (e dalle conformi n. 9063 e n.
9064/2014) e peraltro contestualmente precisato “con riguardo agli oneri
probatori imposti al lavoratore” nei termini seguenti: “Il R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, art. 17 –
nella parte in cui prevede, per il personale addetto ai pubblici servizi di
trasporto in concessione, che si computa come lavoro effettivo ‘la metà del
tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di
servizio in viaggi comandati da una località ad un’altra per prendere servizio
o fare ritorno a servizio compiuto’ – interpretato nel senso che il computo del
tempo dei viaggi, regolarmente comandati ed effettuati anche con proprio mezzo
di trasporto, presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con
quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia
determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva da una
necessità logistica aziendale, va coordinato con i principi in tema di onere
della prova, restando a carico del lavoratore, per ottenere il riconoscimento
del diritto previsto dalla suddetta norma, la dimostrazione delle modalità
della prestazione, e cioè del tipo di turno praticato, degli spostamenti
effettuati, della non coincidenza dei luoghi di inizio e termine della
prestazione e di ogni altro elemento idoneo”.
7. Ora, risulta accertato dal giudice di appello, in
quanto circostanza espressamente riconosciuta con il ricorso di secondo grado
e, pertanto, pacifica in causa, che i lavoratori “potevano recarsi
direttamente presso il posto di cambio quando iniziavano a lavorare in linea,
senza essere obbligati a presentarsi preventivamente al deposito di
appartenenza, ovvero potevano fare ritorno direttamente a casa, quando
terminavano il turno presso un posto di cambio” (cfr. sentenza impugnata,
p. 7 e p. 8, ultimo capoverso).
8. Su tale (non contestata) premessa, la decisione
della Corte territoriale si pone in linea con l’orientamento espresso da Cass. n. 9062/2014, peraltro ampiamente
richiamata in motivazione, risultando del tutto esente dalle censure svolte con
il motivo in esame.
9. La fattispecie concreta dedotta in giudizio, e
così come accertata dal giudice di merito, è invero quella in cui, al termine
della prestazione lavorativa, vi è recupero immediato del tempo libero cui il
lavoratore ha diritto (come, prima dell’inizio di essa, egli ancora ne
fruisce), senza che su tale situazione venga a incidere il potere organizzativo
del datore di lavoro ovvero, in senso lato, un suo potere di ingerenza o di
conformazione, quale potrebbe realizzarsi mediante prescrizioni diverse,
variamente connesse a esigenze dell’impresa e da esse in qualche modo
giustificate, in relazione al tempo precedente o successivo alla prestazione
lavorativa: tale essendo, al di là dell’invecchiamento lessicale della norma,
il senso ultimo del nucleo concettuale che si deve tuttora riconoscere nelle
parole “viaggi comandati” (da una località all’altra), le quali
rimandano alla necessità di un collegamento funzionale tra la presenza del
lavoratore in un luogo e la sua prestazione in un altro.
10. D’altra parte, è stato più volte affermato che
il tempo impiegato dal dipendente per raggiungere il luogo di lavoro rientra
nell’attività lavorativa vera e propria solo quando “lo spostamento sia
funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste il carattere di
funzionalità nei casi in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la
sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per
svolgervi la sua prestazione lavorativa” (Cass.
n. 17511/2010, fra altre), diversamente il tempo in questione non
rientrando tra il lavoro “effettivo”, né potendo essere considerato
come tale.
11. Il secondo motivo è parimenti infondato.
12. La Corte di appello ha, infatti, espressamente
pronunciato, respingendola, sulla domanda risarcitoria (cfr. sentenza
impugnata, p. 10); neppure può ritenersi mancante la motivazione in ordine a
tale rigetto, se tale è la sostanza della censura proposta, come egualmente
emerge dal testo della sentenza, ogni altra considerazione rifluendo nelle
ragioni di infondatezza del primo motivo.
13. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
14. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per
esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.