Il lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto ha diritto di accedere alla pensione anticipata dei c.d. precoci.
Nota a Trib. Bergamo 22 febbraio 2021, n. 111
Alfonso Tagliamonte
Il requisito necessario e sufficiente per il diritto a pensione anticipata è la perdita involontaria del posto di lavoro, in qualunque modo essa si realizzi.
È quanto afferma il Tribunale di Bergamo (22 febbraio 2021, n. 111) in accoglimento del ricorso di un lavoratore, licenziato per superamento del periodo di comporto, avverso il rigetto dell’Inps della domanda di accesso alla pensione anticipata come lavoratore precoce. L’Inps aveva motivato tale rigetto, ritenendo che tale recesso non rientrasse nelle ipotesi di “licenziamento” prescritte dalla legge n. 231/2016, come requisito di accesso alla pensione anticipata.
A termini di legge (art. 1, co. 199, lett. a), L. n. 232/2016), a decorrere dal 1° maggio 2017, il requisito contributivo (di cui all’art. 24, co. 10, DL. n. 201/2011, conv., con mod., dalla L. n. 214/2011, come rideterminato ai sensi del co. 12 del medesimo art. 24 per effetto degli adeguamenti applicati con decorrenza 2013 e 2016) “è ridotto a 41 anni per i lavoratori di cui all’art. 1, commi 12 e 13, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che hanno almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo precedenti il raggiungimento del diciannovesimo anno di età e che si trovano in una delle seguenti condizioni di cui alle lettere da a) a d) del presente comma, come ulteriormente specificate ai sensi del comma 202 del presente articolo: a) Sono in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi”.
Al fine di verificare se il licenziamento per superamento del comporto possa essere sussunto nei casi tassativamente indicati dalla legge, ossia “licenziamento anche collettivo”, i giudici hanno esaminato l’art. 2110, co.2, c.c. che, come noto, ammette il licenziamento del lavoratore nel caso in cui l’assenza per malattia superi un periodo (c.d. “periodo di comporto”) stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, o, in via residuale, dagli usi, ed hanno osservato che tale tipo di recesso:
– non è un licenziamento disciplinare, per cui non si applicano le disposizioni previste dallo Statuto dei Lavoratori (art. 7, L. n. 300/1970);
– non è un recesso per motivo oggettivo, con conseguente non applicazione della procedura preventiva di conciliazione di cui all’art. 7, L. n. 604/1966;
– costituisce un licenziamento “speciale” che prevale sulla disciplina generale prevista dalla legge (art. 3, L. n. 604/1966; Cass. 22 luglio 2005, n. 15508).
Pertanto, dalla lettura della disciplina legislativa “appare chiaro che il legislatore ha fatto riferimento a tutti i casi di perdita involontaria del rapporto di lavoro e certamente il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce un’ipotesi di perdita involontaria del rapporto di lavoro, così come lo è un licenziamento anche collettivo e le dimissioni per giusta causa”. Tale licenziamento rientra dunque nella previsione di cui all’art. 1, co. 199, lett. a), L. n. 232/2016.