Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 maggio 2021, n. 12343
Rapporto di agenzia, Cessazione, Violazione del diritto di
esclusiva riconosciuto all’agente, Determinazione dell’indennità sostitutiva
del preavviso
Premesso
che con sentenza n. 162/2017, pubblicata il 13
aprile 2017, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo
grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva respinto il ricorso
proposto da E.P. per far accertare che il rapporto di agenzia intercorso, fino
al 13 gennaio 2010, con R.D. S.r.l. era cessato per fatto e colpa esclusivi
della preponente e ottenerne di conseguenza la condanna al pagamento
dell’indennità ex art. 1751 cod. civ., di una
superiore indennità sostitutiva del preavviso, di provvigioni
“postume” (art. 1748, comma 3, cod. civ.)
e altre provvigioni maturate ma non percepite per la violazione, da parte di
RCS, del diritto di esclusiva riconosciuto a favore dell’agente; sentenza con
la quale il giudice di primo grado aveva, inoltre, accolto;
– nell’importo di euro 23.018,77, previa
compensazione tra i reciproci crediti delle parti – la domanda riconvenzionale
della società diretta al pagamento del corrispettivo di abbonamenti a riviste,
acquistati dal P. e non pagati;
– che a sostegno della propria decisione la Corte
territoriale, condividendo le osservazioni già svolte dal primo giudice, ha
rilevato come le domande del ricorrente risultassero prive di idoneo supporto
in termini di allegazioni di fatto e prove; quanto alla riconvenzionale, ha
confermato le conclusioni già raggiunte in proposito in esito al giudizio di
primo grado, dopo un riesame, alla stregua dei motivi di appello, del materiale
istruttorio, documentale e testimoniale;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il P., affidandosi a quattro motivi, cui ha resistito con
controricorso R.M. S.p.A. (già R.D. S.r.l.);
– che entrambe le parti hanno depositato memoria;
Rilevato
che con il primo motivo viene dedotta la violazione
e falsa applicazione dell’art. 1750 cod. civ. e
dell’art. 9 Accordo Economico Collettivo del 20 marzo 2002, degli artt. 2710, 2697, 1749 cod. civ. e 210
cod. proc. civ., nonché dedotto il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., con riferimento al
capo della sentenza impugnata in cui la Corte di appello non ha riconosciuto
l’indennità sostitutiva del preavviso nella (superiore) misura richiesta dal
ricorrente;
– che con il secondo motivo viene dedotta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1743,
1748, comma 2°, 1749
(anche degli artt. 4,
comma 1°, e 12, commi 1° e
2°, della Direttiva 86/653/CE) e 2697 cod. civ.,
degli artt. 210 cod. proc. civ. e 24 Cost., nonché viene denunciato il vizio di cui
all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., con
riferimento a quella parte della sentenza impugnata in cui la Corte di appello
ha ritenuto la totale carenza di allegazioni e prove a proposito della
violazione del diritto di esclusiva subita dall’agente;
– che con il terzo motivo, deducendo la violazione e
falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., degli artt. 1372, 1749
(anche degli artt. 4,
comma 1°, e 12, commi 1° e
2°, Direttiva 86/653/CE), 1375, 1175, 2697, 1748 e 1243 cod. civ.,
nonché vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod.
proc. civ.), il ricorrente censura la sentenza per avere la Corte omesso di
prendere posizione sulla specifica censura mossa alla decisione di primo grado,
per violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., in relazione alle provvigioni
dirette e indirette (periodo dall’1/6/2008 al 30/4/2009) eccepite in via di
compensazione impropria nella memoria di replica alla riconvenzionale nel corso
del giudizio di primo grado;
– che con il quarto motivo, deducendo la violazione
e falsa applicazione degli artt. 2721 ss., 2710, 2697, 1749,
1243 cod. civ. (anche degli artt. 4, comma 1°, e 12, commi 1° e 2°, Direttiva
86/653/CE), degli artt. 416 e 210 cod. proc. civ. e dell’art. 24 Cost., nonché vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), il ricorrente
censura la sentenza per avere la Corte, integralmente confermando la sentenza
di primo grado, ritenuto provati i crediti della società, nonostante
l’inidoneità della documentazione offerta al riguardo, e per avere respinto
l’eccezione di compensazione, senza ammettere documenti rilevanti a destituire
di fondamento la domanda riconvenzionale ed erroneamente valutandone altri (in
particolare, quelli prodotti dal ricorrente sub 29 e 35);
Osservato
in via preliminare che i motivi di ricorso possono
essere esaminati congiuntamente, in quanto presentano profili comuni e correlativamente
pongono questioni identiche;
– che, ciò premesso, è innanzitutto da rilevare come
il ricorso sia inammissibile ex art. 348 ter,
ultimo comma, cod. proc. civ., là dove è dedotto – come in tutti i motivi
in cui esso si articola – il vizio di cui all’art.
360 n. 5 cod. proc. civ., stante l’esistenza di c.d. “doppia
conforme” a fronte di un giudizio di appello introdotto con ricorso
depositato in data successiva all’11 settembre 2012 (art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla I. 7 agosto
2012, n. 134);
– che il ricorso è altresì inammissibile con
riferimento alle censure di violazione o falsa applicazione di norme di diritto
e (quanto al primo motivo, anche) di accordi collettivi nazionali di lavoro;
– che, infatti, esso non risulta conforme al
principio, per il quale il ricorso per cassazione, oltre a richiedere, per ogni
motivo, la rubrica di esso, con la puntuale indicazione delle ragioni per le
quali il motivo medesimo (tra quelli previsti dall’art.
360 cod. proc. civ.) è dedotto, “esige l’illustrazione del singolo
motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della
decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle
considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella
rubrica, giustificano la cassazione della sentenza” (Cass. n. 18421/2009);
– che è stato conseguentemente e ripetutamente
affermato che il vizio di cui all’art. 360 n. 3
cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo
mediante la puntuale indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche
mediante specifiche argomentazioni, intese a dimostrare in qual modo
determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono
ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente
giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 635/2015, fra le molte conformi);
– che, d’altra parte, ove dedotta (con il primo e
con il quarto motivo), deve essere disattesa la censura di violazione o falsa
applicazione dell’art. 2710 cod. civ., essendo del tutto consolidato il
principio di diritto, secondo il quale “Le scritture contabili, pur se
regolarmente tenute, non hanno valore di prova legale a favore dell’imprenditore
che le ha redatte, spettando sempre la loro valutazione al libero apprezzamento
del giudice, ai sensi dell’art. 116, primo comma,
cod. proc. civ., la cui valutazione, se congruamente motivata, è
insindacabile in sede di legittimità” (Cass. n. 26216/2011; conforme Cass.
n. 1715/2001);
– che, per quanto specificamente attiene al primo e
al secondo motivo (determinazione dell’indennità sostitutiva del preavviso;
violazione del diritto di esclusiva riconosciuto all’agente), deve rilevarsi
come la sentenza impugnata abbia fatto propria, in ordine a tali questioni, la
decisione di primo grado, condividendo la valutazione di una mancanza di
adeguata offerta probatoria e, prima ancora, di idonee deduzioni in fatto: ciò
che avrebbe dovuto comportare, nell’osservanza del requisito di cui all’art. 366, comma Io, n. 6 cod. proc. civ., la
trascrizione dei passaggi essenziali dell’atto introduttivo nonché delle
ragioni che avevano condotto il Tribunale ad affermarne l’inadeguatezza sul
piano del necessario corredo di allegazioni e dei motivi di gravame svolti a
confutazione di tale conclusione;
– che il terzo motivo risulta parimenti
inammissibile, là dove è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dovendosi ribadire il
principio, per il quale “Affinché possa utilmente dedursi in sede di
legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., è necessario, da un
lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione
autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le
quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro,
che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non
genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per
cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del
verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde
consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività
ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi,
si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla
prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di
cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo
rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di
legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a
pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra
l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito – dell’onere
di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a
procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli
stessi” (Cass. n. 15367/2014; conforme, fra altre, Cass. n. 6361/2007);
– che, in definitiva, i motivi di ricorso, dietro lo
schermo della denuncia dei vizi di cui all’art. 360
n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., tendono ad una rilettura del materiale
probatorio e ad un diverso apprezzamento di fatto e cioè sollecitano a questa
Corte l’esercizio di una attività giurisdizionale che è estranea alla funzione
alla stessa assegnata nell’ordinamento e che è invece propria del giudice di
merito;
– che invero, come più volte ribadito, spetta in via
esclusiva a quest’ultimo il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di controllare l’attendibilità e l’efficacia concludente delle
prove, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute
più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, dando così liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 25608/2013, fra le
molte conformi);
Ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro
200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre
rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.