Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 maggio 2021, n. 18076
Sicurezza, Violazione delle norme silla prevenzione degli
infortuni sul lavoro, Lesioni personzli gravi, Mancato aggiornamento del
documento di valutazione dei rischi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 19 giugno 2018 la Corte di
appello di Bologna confermava – per quanto di specifico interesse in questa
sede – la sentenza del Tribunale di Ravenna con cui A. G., S. L. e R. N. erano
stati condannati, concessa la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e le circostanze attenuanti
generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di euro 400,00 di
multa per ciascuno in ordine al reato di cui agli artt.
113, 40 cpv., 590,
commi 2 e 3, cod. pen., perché, in cooperazione colposa tra loro, A. G.
quale Presidente del C.d.A. della ditta S. S.p.a., S. L. e R. N. quali
dirigenti delegati per la sicurezza della ditta S. S.p.a., per colpa,
imperizia, imprudenza, non osservando le norme sulla prevenzione degli
infortuni sul lavoro di seguito elencate, cagionavano al dipendente della ditta
di trasporti e spedizioni N. S.r.l. C.L. lesioni personali gravi (politrauma
con frattura osso frontale e orbita dx, frattura C6 e dei traversi delle
vertebre lombari, ematoma dello psoas, frattura bacino, frattura multipla
ginocchio sx e frattura esposta caviglia dx), da cui derivava l’incapacità di
attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a quaranta giorni
e la messa in pericolo della vita.
Ad A.G. erano state, in particolare, contestate le
violazioni: 1) dell’art. 28,
comma 2, lett. a), sanzionato all’art.
55, comma 4, del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di
valutare i rischi di investimento degli operatori derivanti dalla caduta per
ribaltamento della struttura di sostegno dell’impianto del vapore per lo
scarico della melassa sita nel parco serbatoi, in conseguenza di eventuali urti
da parte di autocisterne; 2) dell’art.
28, comma 2, lett. b), sanzionato all’art. 55, comma 3, del d.lgs. n. 81
del 2008 e succ. mod., per avere omesso di indicare idonee misure di
prevenzione e di protezione da attuare, oltre a dispositivi individuali da
adottare, in relazione alla possibilità di verificazione dell’evento descritto;
3) dell’art. 28, comma 2,
lett. d), sanzionato all’art. 55,
comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di
indicare idonee procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché
dei ruoli dell’organizzazione aziendale tenuti a provvedervi, in relazione alla
possibilità di verificazione dell’evento descritto; 4) dell’art. 28, comma 2, lett. f),
sanzionato all’art. 55, comma 4,
del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di procedere
all’individuazione della mansione di segnalatore che precede l’operazione di
scarico della melassa nel parco serbatoi, allo scopo di evitare eventuali urti
da parte di autocisterne; 5) dell’art.
64, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere
omesso di garantire la conformità dei luoghi di lavoro a quanto previsto dall’art. 63 del d.lgs., non essendo
risultata stabile la struttura cavaliera costruita in ferro a sostegno dell’impianto
di insufflazione del vapore per lo scarico della melassa presso il parco
serbatoi. A S. L. e R.N. erano state contestate, invece, le violazioni: 1)
dell’art. 26, comma 2, del d.lgs.
n. 81 del 2008 e succ. mod., per avere omesso di cooperare compiutamente
all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro
incidenti sull’attività oggetto di appalto, né dai rischi cui erano esposti i
lavoratori in ragione delle interferenze esistenti tra i lavori delle diverse
imprese coinvolte; 2) dell’art.
163, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2008 e succ. nnod., per avere omesso di
fare ricorso alla segnaletica di sicurezza, finalizzata ad evitare rischi di
investimento da automezzi in circolazione o da strutture che si potevano
ribaltare a seguito di collisione con tali mezzi; 3) dell’art. 37 del d.lgs. n. 81 del 2008
e succ. mod., per avere omesso di assicurare a S.O., lavoratore addetto allo
scarico, una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e
sicurezza. Fatti avvenuti in Ravenna il 15 febbraio 2011.
2. Per come contestato in imputazione ed accertato
dai giudici del merito, C.L. era stato vittima dell’indicato infortunio dopo
essersi recato presso i locali dello stabilimento S., alla guida di
un’autocisterna, per scaricarvi della melassa che doveva consegnare.
Collocato l’automezzo sotto l’impianto di
insufflazione del vapore, con la parte posteriore rivolta verso la vasca di
scarico, in ossequio alle indicazioni fornitegli dall’addetto allo scarico
S.O., il C. era, quindi, sceso dall’automezzo e si era collocato alle spalle di
esso, in prossimità dell’impianto, fornendo indicazioni di manovra a B.G.,
conducente di un’altra autocisterna, che intendeva posizionare il suo mezzo
accanto a quello posteggiato dal C..
Nell’effettuare la retromarcia, tuttavia, il veicolo
condotto dal B. aveva agganciato, con il rostro posto sulla sua sommità, il
tubo di gomma collegato alla lancia centrale dell’impianto di insufflazione
che, allungatosi elasticamente fino a sollevare per rotazione la base
metallica, aveva determinato la caduta dell’impianto sulla persona del C.,
causandogli le gravi lesioni indicate.
3. La Corte di appello ha confermato la
responsabilità degli odierni ricorrenti – l’A. nella qualità di Presidente del
C.d.A. della ditta S. S.p.a., S. L. e R. N. quali dirigenti delegati per la
sicurezza di tale ditta – nella ritenuta infondatezza delle doglianze dedotte
nei motivi di appello.
Con riferimento all’A., in primo luogo, ha osservato
come la posizione apicale da costui ricoperta non lo potesse esonerare da
responsabilità a seguito della disposta delega delle funzioni relative alla
sicurezza sul lavoro, costituendo comunque suo obbligo quello di vigilare sul
corretto espletamento delle funzioni trasferite da parte del soggetto delegato.
Sotto altro profilo, poi, rispetto alla lamentata
imprevedibilità dell’evento, stante la “lontananza” dell’A. dalle
concrete modalità operative del lavoro di stabilimento, la Corte territoriale
ha evidenziato come al medesimo fosse imputabile il mancato aggiornamento del
documento di valutazione dei rischi, non avendo regolato con disposizioni
puntuali, idonee ad impedire la verificazione dell’evento, la disciplina delle
operazioni di scarico delle autocisterne. Per la Corte territoriale, quindi,
«tanto vale, al netto delle osservazioni sul ruolo soggettivo, quanto alla
posizione di S. Leonello, delegato alla sicurezza».
Con riferimento, infine, alla posizione del R., la
Corte ha riaffermato la prevedibilità del fatto, connesso alla fase lavorativa
dello scarico della melassa, considerata la precarietà della struttura, non
ancorata al suolo. Tale aspetto, unitamente alla possibilità che la manichetta
di insufflazione del vapore potesse essere agganciata da un veicolo, con
conseguente collasso della struttura, avrebbe dovuto essere oggetto di apposita
previsione nel documento di valutazione dei rischi.
4. Avverso la sentenza del giudice di secondo grado
hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, A.G.,
S.L. e R.N., deducendo i motivi di seguito enunciati.
4.1. A.G. ha dedotto, con il primo motivo di
ricorso, l’erronea applicazione degli artt. 43,
113, 40 cpv., 590, commi 2 e 3, cod. pen. e la mancanza di
motivazione, lamentando errori del giudice di appello in ordine alla
configurazione della colpa, con particolare riguardo alla prevedibilità ed
evitabilità dell’evento. L’impugnata sentenza, infatti, avrebbe ignorato il
principio dell’accertamento della colpa fondato sulla prevedibilità ed evitabilità
in concreto dell’evento, da considerarsi con riferimento alla posizione di ogni
singolo imputato.
Vi sarebbe stata, in particolare, carenza
motivazionale con riguardo all’accertamento dell’imprevedibilità del fatto,
essendosi dilungata la Corte territoriale a considerare tematiche relative al
documento di valutazione dei rischi che, per quanto affini, non sono comunque
rilevanti rispetto alla prevedibilità, evitabilità ed esigibilità in concreto
dell’evento, determinanti ai fini della valutazione della colpa. A dire
dell’A., in particolare, numerosi fattori di concreta imprevedibilità avrebbero
contribuito a causare l’infortunio (come l’accesso autonomo di un’autista o
l’aggancio con il rostro dell’autocisterna alla lancia elastica), conformemente
a quanto indicato sia dal perito nominato dal P.M. – per il quale la causa
prossima del fatto lesivo era «non facilmente prevedibile», in quanto il
ribaltamento «è stato il frutto del concatenamento di una serie di circostanze
non facilmente riproducibili tutte assieme», tali da causare un evento
particolarmente raro – che dal consulente della difesa – per il quale si era
trattato di un sinistro oggettivamente imprevedibile, verificatosi in ragione
del concomitante intervento di una serie di circostanze singolarmente e
cumulativamente imponderabili -. Con la seconda doglianza il ricorrente ha
eccepito erronea applicazione dell’art. 40 cpv.
cod. pen. ed erroneo governo del principio sulla colpa e sull’accertamento
del nesso di casualità, oltre a carenza di motivazione.
Lamenta l’A. che l’essere stato titolare di una
posizione di garanzia, per aver ricoperto un ruolo apicale, non avrebbe dovuto
determinare il disposto automatico riconoscimento della sua responsabilità
penale, attesa la necessità di effettuare comunque, con giudizio ex ante, un
accertamento del nesso eziologico – invece non operato dalla Corte territoriale
– volto a verificare se l’imputato potesse prevedere lo specifico sviluppo
causale concretamente realizzatosi. Ove il giudice di appello avesse
correttamente applicato tali principi sulla colpa e sulla responsabilità in
materia di reato omissivo colposo di evento avrebbe sicuramente avuto modo di
accertare l’assenza di responsabilità da parte dell’imputato.
Con il terzo motivo l’A. ha dedotto i medesimi vizi
indicati con la precedente doglianza, lamentandosi dell’omessa motivazione in
sentenza circa il nesso di causalità che deve intercorrere tra l’omissione
addebitata all’imputato e l’evento. Richiamando i diversi principi espressi
dalla giurisprudenza di legittimità in materia, il ricorrente ha eccepito che
la sentenza gravata non si è minimamente occupata del nesso causale
intercorrente tra l’addebito colposo per violazione dell’art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2008
e l’evento dannoso – così come, invero, neppure della sua evitabilità –
determinando una grave carenza motivazionale su di un punto decisivo per la
ricostruzione individualizzata della responsabilità penale.
E’ stata ravvisata, inoltre, pure la presenza di
contraddittorietà nella motivazione, per aver dapprima imputato la
verificazione del fatto alla «inopinata decisione dell’infortunato C.» – e
dunque ad un comportamento eccentrico che, di certo, aveva interrotto il
nesso causale – e poi averne addossato
la responsabilità al ricorrente, per non averla prevista e regolata nel
documento di valutazione dei rischi.
Con il quarto motivo l’A. ha lamentato l’errata
applicazione dell’art. 28 del
d.lgs. n. 81 del 2008, nonché degli artt. 40
cpv. e 43 cod. pen., oltre a contraddittorietà
della motivazione. La sentenza, infatti, opererebbe una non corretta
applicazione della norma indicata, adottando una motivazione contraddittoria
sul punto, non dovendo il documento di valutazione dei rischi indicare tutti i
possibili rischi astratti, ma solo quelli concretamente presenti, verificabili
in relazione alla casistica esistente.
4.2. S. L. e R. N. – i cui ricorsi, sia pur distinti
tra loro, possono essere trattati congiuntamente, in quanto aventi contenuto
identico – hanno eccepito, con il primo
motivo di ricorso, errata applicazione dell’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 81 del
2008 e contraddittorietà della motivazione, ritenendo che nella fattispecie
sarebbe stata erroneamente applicata una norma invece dedicata in via esclusiva
al contratto di appalto, inesistente nel caso di specie, stante l’insussistenza
di un qualsiasi rapporto contrattuale tra il soggetto infortunato e la ditta S.
S.p.a.
Il secondo motivo è del tutto coincidente con il
primo dedotto dall’A. – cui, pertanto, viene fatto rinvio -.
Il terzo motivo è, del pari, identico a quello
eccepito dall’A. con la sua seconda doglianza – alla quale, quindi, viene fatto
nuovamente rinvio -. Il quarto motivo è in tutto coincidente, ancora, con
quello proposto dall’A. nel suo terzo motivo di ricorso – cui viene fatto
ulteriormente rinvio -. Con la quinta doglianza, infine, lo S. e il R. hanno
lamentato l’errata applicazione dell’art. 26 del d.lgs. n. 81 del 2008,
nonché degli artt. 40 cpv. e 43 cod. pen., oltre a carenza assoluta di
motivazione in ordine alla insussistenza dei fatti descritti nell’imputazione
sub art. 163, comma 1, e art. 37 del d.lgs. n. 81 del 2008.
La sentenza, infatti, opererebbe una non corretta
applicazione delle suddette disposizioni normative, non essendo tenuto il
documento di valutazione dei rischi ad indicare tutti i possibili rischi
astratti, ma solo quelli concretamente presenti, verificabili in relazione alla
casistica esistente.
Non sussisterebbe, poi, motivazione alcuna in ordine
alle contravvenzioni ex artt. 163,
comma 1, e 37 del d.lgs. n. 81
del 2008, ritenute violate dai suddetti imputati, rispetto alle quali,
invece, erano state svolte specifiche argomentazioni difensive nell’ambito dei
rispettivi atti di appello.
5. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni
scritte, chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per
intervenuta prescrizione del reato.
Considerato in diritto
1. Il Collegio ritiene che i motivi dedotti dai
ricorrenti non siano manifestamente infondati, per cui deve, conseguentemente,
prendere atto dell’intervenuta prescrizione del reato, pronunciando nei loro
riguardi l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il
reato estinto per prescrizione.
2. A prescindere da ogni altra considerazione,
infatti, appare sufficiente osservare come sia da ritenersi non manifestamente
infondata la doglianza relativa alla ritenuta carenza motivazionale dedotta
dall’A. con il primo motivo di ricorso e dallo S. con il suo secondo motivo.
La Corte di appello, in particolare, risulta aver
confermato, con riguardo ai suddetti imputati, la ricorrenza dell’elemento
soggettivo della colpa solo occupandosi del contenuto che avrebbe dovuto avere
il documento di valutazione dei rischi, senza conferire valutazione adeguata –
invece richiesta da parte degli appellanti – agli aspetti concernenti i
requisiti della prevedibilità e della
evitabilità in concreto dell’evento, con riferimento alla posizione di ciascuno
di loro, da valutarsi anche alla stregua delle risultanze emerse dalle disposte
indagini peritali.
Con riguardo alla posizione del R. e dello S., poi,
appare non manifestamente infondata la doglianza con i cui i ricorrenti, nel
loro ultimo motivo, hanno lamentato che il giudice di seconde cure non ha
espresso motivazione alcuna in ordine alla ritenuta violazione delle
contravvenzioni di cui agli artt.
163, comma 1, e 37 del d.lgs.
n. 81 del 2008, rispetto alle quali, invece, erano state svolte puntuali
argomentazioni difensive nell’ambito dei rispettivi atti di appello.
3. Ne deriva la non manifesta infondatezza dei
motivi indicati, che fanno ritenere ben radicato il grado di giudizio dinanzi a
questa Corte di legittimità, inducendo alla conseguente declaratoria di
estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
La commissione del reato, infatti, risale al 15
febbraio 2011, per cui, stante l’assenza di cause di sospensione e di
interruzione intervenute, il termine prescrizionale massimo di anni sette e
mesi sei, di cui al combinato disposto agli artt.
157, comma 1, e 161, comma 2, cod. pen., si
è compiuto il 15 agosto 2018 – e quindi prima dell’entrata in vigore dell’art. 83, comma 3-bis, d.l. n. 18 del
2020, convertito dalla legge n. 27 del 2020,
che non può trovare applicazione nel caso di specie -.
E’, poi, appena il caso di sottolineare come la
maturata prescrizione renda superfluo ogni possibile approfondimento nel
merito. Ed infatti, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti dei
ricorrenti, è ben noto che, secondo consolidato orientamento di questa Corte,
qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la
sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in
quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il
principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n.
1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511-01), non essendo
rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata
in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato,
quale la prescrizione (v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.
244275-01).
Non ricorrono, infine, le condizioni per una
pronuncia assolutoria di merito ex art. 129, comma
2, cod. proc. pen., tenuto conto delle congrue e non illogiche valutazioni
rese dalla Corte di merito nella sentenza impugnata.
Non emergendo, dunque, all’evidenza circostanze tali
da imporre, quale mera “constatazione” (cioè presa d’atto), la
necessità di assoluzione (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.
244275-01), discende, di necessità, la pronunzia dell’annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata, nei confronti di tutti i ricorrenti, per essere il
reato estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché
il reato è estinto per prescrizione.