Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 maggio 2021, n. 12344

Giornalista, Qualifica di redattore corrispondente
dall’estero, Riconoscimento della natura subordinata dell’attività,
Accertamento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n.
1547/2017, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia Nazionale Stampa
Associata (A.N.S.A.) soc. coop., in riforma parziale della sentenza impugnata,
ha accertato e dichiarato la natura subordinata dell’attività giornalistica
svolta da L.D.S., ascrivibile alla qualifica di redattore corrispondente
dall’estero dal 21 aprile 2005 al novembre 2005 e dal febbraio 2006 al febbraio
2011 e, per l’effetto, ha condannato l’A.N.S.A. ai sensi dell’art. 2126 cod. civ. al pagamento, in favore
dell’appellata, delle relative differenze retributive tra quanto dovuto in base
alle previsioni del CCNLG relative a detta qualifica e quanto percepito, nonché
al pagamento del TFR, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla
maturazione al saldo, e al versamento in favore dell’Ente competente dei dovuti
oneri previdenziali.

2. L.D.S., iscritta all’albo dei pubblicisti e
successivamente all’albo dei praticanti giornalisti, aveva rivendicato il
riconoscimento della natura subordinata giornalistica con la qualifica di
redattore corrispondente dall’estero, per aver lavorato presso la sede di
corrispondenza di A..

3. Il Tribunale adito, rigettata l’eccezione di
difetto di giurisdizione, aveva accolto la domanda sulla base delle risultanze
istruttorie e, sebbene la ricorrente fosse divenuta giornalista professionista
solo nel corso del giudizio, aveva escluso che il rapporto di lavoro
subordinato potesse ritenersi nullo per contrarietà a norma imperativa, essendo
sufficiente ai fini della sua validità l’iscrizione all’albo dei giornalisti
pubblicisti, ai sensi dell’art. 36 CCNL, dell’art. 35, primo comma, legge n.
416 del 1981 e dell’art. 76 della
legge n. 388 del 2000; aveva pertanto disposto la reintegra della
ricorrente nel posto di lavoro.

4. La Corte di appello di Roma, confermata la
sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, osservava – in sintesi –
quanto segue:

a) trova applicazione la legge italiana in quanto, al
di là della formulazione adottata dalle parti nel contratto individuale di
collaborazione autonoma, in base alla legge di riforma del sistema italiano di
diritto internazionale privato (legge
n. 218 del 1995, art. 16), la “legge straniera non è applicata se i
suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico”; nel caso specifico, la
Convenzione di Roma, che trova applicazione per le obbligazioni contrattuali
per il tramite dell’art. 57 della stessa legge n. 215 del 1995 (non trovando
invece applicazione ratione temporis il Regolamento
CE n. 593/2008), a sua volta ha previsto che l’applicazione di una norma
della legge designata dalla presente Convenzione può essere esclusa solo se
tale applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del
foro;

b) il concetto cui fare riferimento riguarda
l’ordine pubblico internazionale”, che non si identifica in qualsiasi
norma imperativa dell’ordinamento civile, bensì nel complesso dei principi
fondamentali caratterizzanti l’ordinamento civile, interno in un determinato
periodo storico o fondati su esigenze di garanzia comuni nei diversi
ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, secondo
l’elaborazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità;

c) applicando tali principi alla fattispecie, ne
risulta che, ove pure le parti avessero optato per l’applicazione della legge
algerina – opzione che in realtà neppure emerge dal contratto di collaborazione
autonoma, il quale si limita a fare riferimento all’adempimento “degli
obblighi delle leggi fiscali e previdenziali algerine” -, in ogni caso
l’applicabilità della legge algerina dovrebbe essere esclusa, in quanto essa
non reca alcuna tutela avverso i licenziamenti individuali disposti per ragioni
organizzative, quali devono considerarsi quelle poste a base del recesso
intimato alla ricorrente in data 11 febbraio 2011 (“mutate esigenze
verificatesi all’interno della società”), né la legge straniera garantisce
il rispetto del principio fondamentale di una retribuzione equa e proporzionata
(art. 36 Cost.) per l’ipotesi in cui l’accordo
intercorso tra le parti dissimuli un contratto di lavoro subordinato e
attribuisca di fatto al lavoratore un trattamento economico inferiore a quello
cui avrebbe diritto;

d) è fondato il motivo con il quale l’ANSA ha
eccepito che per la costituzione di un valido rapporto subordinato di lavoro
giornalistico è richiesta l’iscrizione all’Albo dei giornalisti professionisti
(la ricorrente si era iscritta a tale Albo solo successivamente al
licenziamento, in corso di giudizio), non potendo valere a tale fine né
l’iscrizione all’Albo dei pubblicisti (dal 15.2.2008), né l’iscrizione all’Albo
dei praticanti giornalisti (dal 20.11.2009), a norma dell’art. 45 legge n. 69 del 1963
e dell’art. 5 CNLG del 2005, la cui formulazione è analoga a quella del CNLG
del 10 gennaio 1959, valevoli erga omnes; infatti, lo svolgimento di valida
attività giornalistica nella posizione di corrispondenti dalle capitali estere
è riservata ai giornalisti iscritti all’Albo dei “professionisti”; si
versa quindi in un’ipotesi di nullità del contratto per violazione di norma
imperativa;

e) in particolare, poiché la previsione di cui
all’art. 36 CCNL deve essere letta in coordinamento con l’art. 5 dello stesso
contratto (art. 1363 cod. civ.), il giornalista
pubblicista può svolgere attività giornalistica solo nelle redazioni decentrate
o negli uffici di corrispondenza, esclusi quelli di cui al punto b) dell’art.
5, sempre che ricorrano gli ulteriori requisiti di cui all’art. 36 in merito
agli organici della strutture, ovvero come corrispondente dai centri minori o
ancora come collaboratore fisso ex art. 2 CNLG; le leggi n. 415 del 1981 (art.
35) e 388/2000 (art. 76), non
inficiano tali conclusioni in quanto si riferiscono evidentemente ai
giornalisti pubblicisti che hanno instaurato validi rapporti di lavoro
subordinato giornalistico nei limiti in cui ciò sia consentito, limiti da cui
sicuramente esula lo svolgimento di attività giornalistica nella posizione di
corrispondente da una capitale estera, quale quella che viene in rilievo nella
specie;

f) tuttavia, poiché non si è in presenza di una
nullità per illiceità della causa o dell’oggetto, l’ipotesi dà luogo alla
produzione degli effetti previsti dall’art. 2126
cod. civ. per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione;

g) da tali rilievi consegue che la sentenza di primo
grado deve essere riformata nella parte in cui ha dichiarato il diritto della
D.S. alla reintegra nel posto di lavoro con ogni relativa conseguenza, in quanto
nel contratto nullo per violazione di norma imperativa non è concepibile un
atto di licenziamento e non sono configurabili le conseguenze di legge per il
recesso ingiustificato;

h) trova invece applicazione il regime di cui all’art. 2126 cod. civ. per cui spetta il trattamento
economico proprio delle mansioni effettivamente svolte e, alla luce delle
risultanze della prova testimoniale (v. sentenza da pag. 11 a pag. 20), è
comprovato lo svolgimento di un’attività quotidiana, non limitata ad uno
specifico settore di informazione, ma estesa a tutte le notizie dell’ambito
territoriale assegnato, con piena integrazione degli elementi propri del
rapporto di lavoro del corrispondente da capitale estera;

i) l’eccezione di prescrizione è infondata; la
lavoratrice durante lo svolgimento del rapporto con formale qualifica di
lavoratore autonomo non era libera da timore nei confronti del datore (metus),
per cui la prescrizione non poteva decorrere; in data 28.12.2009 l’appellante
aveva comunque interrotto la prescrizione mediante la richiesta delle
differenze retributive dovute dal 21.4.2005 in base al parametro previsto dal
CNLG per la qualifica di redattore corrispondente dall’estero;

j) infine, infondate sono le censure relative al parametro
utilizzato dal Tribunale per la determinazione del trattamento economico
dovuto, posto che l’art. 5 CNLG prevede che al corrispondente da capitali
estere spetta la qualifica di redattore; non è contestato che il trattamento
economico dovuto a tale figura professionale includa anche l’indennità di
residenza e di alloggio; la D.S. era arrivata in Algeria proveniente da La
Spezia e il suo domicilio sarebbe stato proprio l’Ufficio di corrispondenza
dell’ANSA; d’altra parte, l’eventuale preesistente presenza del corrispondente
nel Paese di destinazione potrebbe al più incidere sui rimborsi delle spese
previste in caso di trasferimento dall’art. 2 CNLG.

5. Per la cassazione di tale sentenza l’ANSA ha
proposto ricorso affidato a otto motivi, cui ha resistito la D.S. con
controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi. Ha resistito al
ricorso incidentale l’ANSA con controricorso e successiva memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente principale
denuncia violazione e falsa applicazione della legge 21 aprile 1990, n. 90,
degli artt. 16 e 57 legge n. 218 del 1995,
nonché degli artt. 3, 4 e 6 della Convenzione di Roma del 9 giugno 1980 (ndr
artt. 3, 4 e 6 della Convenzione
di Roma del 19 giugno 1980) in relazione alla convenzione di tirocinio
allegata al progetto formativo e di orientamento del 12 aprile 2005 e del 29
agosto 2005, e relativa comunicazione di attivazione del tirocinio del 5
settembre 2005, nonché in relazione al contratto di collaborazione autonoma
stipulato dalle parti in data 28 aprile 2006.

Assume che la sentenza è erronea nella parte in cui
ha ritenuto applicabile la legge italiana in luogo di quella Algerina, poiché:
a) il rapporto di collaborazione è pacificamente sorto ad A., dove la
prestazione è sempre stata svolta; b) le parti non hanno mai fatto riferimento
alla legge italiana, né nella convenzione di tirocinio, né nel contratto di
collaborazione autonoma; c) l’art. 6 della Convenzione di Roma prevede che, in
mancanza di scelta ad opera delle parti, il contratto di lavoro è regolato “…dalla
legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie
abitualmente il suo lavoro…. a meno che non risulti che dall’insieme delle
circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con
un altro paese. In questo caso si applica la legge di quest’altro paese”;
sia nell’uno che nell’altro caso, la legge applicabile nella specie è quella A.

2. Il motivo è infondato.

3. Come esposto in parte narrativa, la sentenza di
appello ha richiamato gli artt.
16 e 57 della legge n. 218
del 1995, evidenziando che, ai fini dell’individuazione della legge
applicabile, è imprescindibile il riferimento all’ “ordine pubblico
internazionale” e che l’applicabilità della legge algerina deve essere esclusa,
in quanto essa non reca alcuna tutela del lavoratore nel caso di licenziamenti
individuali disposti per ragioni organizzative, quali quelle poste a base del
recesso della ricorrente, né garantisce il rispetto del principio fondamentale
di una retribuzione proporzionata e sufficiente (art.
36 Cost.) nell’ipotesi in cui l’accordo intercorso tra le parti dissimuli
un contratto di lavoro subordinato e attribuisca di fatto al lavoratore un
trattamento economico deteriore rispetto a quello cui avrebbe diritto.

4. Ai sensi dell’art. 16 della legge 31.5.1995 n.
218 è statuito che «La legge straniera non è applicata se i suoi effetti
sono contrari all’ordine pubblico». La Convenzione
di Roma 19.6.1980, alla quale la legge n. 218 del 1995 rinvia
(art. 57) per le obbligazioni contrattuali (secondo il regime ratione
temporis applicabile), a sua volta, prevede che: “L’applicazione di una
norma della legge designata della presente convenzione può essere esclusa solo
se tale applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del
foro”. I parametri di conformità all’ordine pubblico internazionale devono
essere rinvenuti in esigenze (comuni ai diversi ordinamenti statali) di
garanzia di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, o nell’insieme dei valori
fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico (Cass. n. 13547 del
2008, che richiama Cass. n. 4040 del 2006, n. 14662
del 2000 e n. 22332 del 2004; v. pure, tra le più recenti, Cass. S.U. n.
12193 del 2019 e Cass. n. 22932 del 2019).

5. In tema di rapporto di lavoro sorto, eseguito e
risolto all’estero, la nozione di “ordine pubblico”, che costituisce
un limite all’applicazione della legge straniera, è desumibile innanzi tutto
dal sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello
della legislazione primaria, sicché occorre fare riferimento alla tutela del
lavoro prevista dalla Costituzione (artt. 1, 4 e 35 Cost.) e,
dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali
dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell’Unione
europea dall’art. 6 TUE, fonti che includono le tutele del lavoratore contro il
licenziamento ingiustificato (Cass. n. 1302 del 2013).

6. A fronte del complesso motivazionale su cui si
incentra la ratio decidendi della sentenza impugnata, conforme a diritto per
tutte le considerazioni finora esposte, parte ricorrente si è limitata a reiterare
le tesi svolte nel giudizio di merito, le quali all’evidenza restano tutte
assorbite nel rilievo della contrarietà della legge A. ai principi dell’ordine
pubblico internazionale, che rende ultronea qualsiasi ulteriore indagine circa
la volontà espressa dalle parti nel contratto di lavoro e del criterio di
collegamento ai fini dell’individuazione della legge applicabile, dovendosi
pure ribadire che con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può
limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e
motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni
offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera
contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza
impugnata, come tale inammissibile ex art. 366,
primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 22478 del 2018 e Cass. n.
17330 del 2015).

7. Con il secondo motivo l’ANSA denuncia violazione
e falsa applicazione della legge n. 90 del 1990, della legge n. 741 del 1959 in relazione all’art. 5
CNLG, alla legge n. 604 del 1966 e all’art. 36 Cost. in relazione alla convenzione di
tirocinio allegata al progetto formativo e di orientamento del 12 aprile 2005 e
del 29 agosto 2005, e relativa comunicazione di attivazione del tirocinio del 5
settembre 2005, nonché in relazione al contratto di collaborazione autonoma
stipulato dalle parti in data 28 aprile 2006.

Assume che i riferimenti, contenuti nella sentenza
impugnata, alla violazione della legge di tutela sui licenziamenti (I. 604 del 1966) e del principio della
retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36
Cost.), in rapporto disciplina contenuta nella legge Algerina, sarebbero
inconferenti, avendo la stessa sentenza dichiarato la nullità del contratto di
lavoro subordinato ed escluso l’applicazione della normativa italiana in
materia di licenziamenti.

8. Il motivo è manifestamente infondato.

9. L’operazione di individuazione della legge
applicabile, in cui viene in rilievo il limite costituito dal rispetto
dell’ordine pubblico, si pone in una fase anteriore (ex ante) rispetto al
giudizio sulla fondatezza o meno della domanda sulla scorta della legge
ritenuta applicabile.

10. Con il terzo motivo l’ANSA denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod.
civ. in relazione all’interpretazione fornita dalla Corte territoriale al
contratto di collaborazione autonoma sottoscritto in data 28 aprile 2006, nella
parte in cui prevede l’applicazione della legge algerina. Sostiene che il
riferimento all’adempimento degli obblighi fiscali e previdenziali delle leggi
algerine”, contenuto nel contratto scritto, costituiva espressione della
volontà delle parti di escludere l’applicazione della legge italiana.

11. Il motivo è inammissibile.

12. Non solo deve rilevarsi che il motivo di
ricorso, pur fondato sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche, si
risolve, in realtà, nella proposta di una inammissibile diversa interpretazione
delle clausole negoziali (tra le tante, Cass. n. 10554 del 2010, 10203 del 2008, 23484
del 2007), ma il passaggio motivazionale oggetto del terzo motivo
costituisce una ratio decidendi autonoma ed ulteriore, formulata per l’ipotesi
in cui non si ritenga fondata la prima, con la conseguenza che il rigetto del
ricorso attinente alla prima (oggetto dei primi due motivi) rende irrilevante
l’esame dei motivi di ricorso riferiti alla seconda, i quali non risulterebbero
in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata,
essendo comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della prima ratio
decidendi (cfr. tra le tante, Cass. 15399 del 2018, 21490 del 2005). Qualora la
decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte
e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la
ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende
inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle
altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste
ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività
delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. n. 11493 del 2018, n. 2108 del 2012, 22753
del 2011, n. 3386 del 2011).

13. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 2094 e segg. cod. civ.
in relazione all’art. 1 e 5 CNLG e all’art. 45 legge n. 63 del 1969 con
riferimento alla convenzione di tirocinio allegata al progetto formativo e di
orientamento del 12 aprile 2005 e del 29 agosto 2005, e relativa comunicazione
di attivazione del tirocinio del 5 settembre 2005, nonché in relazione al
contratto di collaborazione autonoma stipulato dalle parti in data 28 aprile
2006.

Si sostiene che, essendo stato riconosciuto dalla
stessa sentenza di appello che l’iscrizione della D.S. all’Albo dei giornalisti
professionisti avvenne solo dopo la cessazione della collaborazione autonoma,
erroneamente la sentenza ha pronunciato sul riconoscimento della natura
subordinata del rapporto di lavoro.

14. Il motivo è infondato.

15. La mancanza di iscrizione all’Albo dei
giornalisti professionisti non poteva precludere l’accertamento della effettiva
natura della prestazione di lavoro resa dalla ricorrente – se di lavoro
autonomo (come formalmente pattuito) o se invece di lavoro subordinato quale
redattore (come rivendicato in giudizio) -, dipendendo da tale accertamento il
riconoscimento del diritto alle differenze retributive ex art. 2126 cod. civ., per il tempo in cui il
rapporto ha avuto esecuzione, tra il trattamento spettante al redattore e
quanto effettivamente percepito dalla lavoratrice.

16. Per il resto, l’accertamento di merito è
conforme ai principi di questa Corte in materia. E’ stato infatti affermato
che, nell’ambito del lavoro giornalistico, ai sensi dell’art. 5 CNLG 10 gennaio
1959, reso efficace erga omnes con d.P.R. 16
gennaio 1961 n. 153, affinché l’attività di un giornalista corrispondente
dall’estero integri lo svolgimento delle mansioni proprie di un “ufficio
di corrispondenza”, occorre che ricorrano, in analogia con l’attività di
redattore, oltre all’elaborazione di notizie, anche la continuità della loro
trasmissione, nonché il carattere elaborato e generale delle notizie stesse (Cass. n. 19199 del 2013, con cui è stata
confermata una sentenza che aveva riconosciuto il diritto all’inquadramento
come corrispondente dall’estero, trattandosi di attività quotidiana non
limitata ad uno specifico settore dell’informazione e caratterizzata da un
apporto creativo).

17. Con il quinto motivo l’ANSA denuncia violazione
e falsa applicazione dell’art. 2094 e segg. cod.
civ. con riferimento alla convenzione di tirocinio allegata al progetto
formativo e di orientamento del 12 aprile 2005 e del 29 agosto 2005, e relativa
comunicazione di attivazione del tirocinio del 5 settembre 2005, nonché in relazione
al contratto di collaborazione autonoma stipulato dalle parti in data 28 aprile
2006. Violazione e falsa applicazione degli artt.
112 e 115 cod. proc. civ., sostenendo che
non poteva ritenersi provata la natura subordinata della prestazione.

18. Il motivo è inammissibile. Esso verte sulla
valutazione e apprezzamento delle prove.

19. L’apprezzamento degli elementi di fatto è stato
ampiamente e validamente argomentato, di talché esso si sottrae al sindacato di
questa Corte, dovendosi pure osservare che – in seguito alla riformulazione
dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
disposta dall’art. 54 del d.l. n.
83 del 2012, conv. con modif. in I. n. 134 del
2012, applicabile ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai
Giudici del merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la
motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti
nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro
manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od
obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile
2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n.
12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207),
evenienze che qui non si verificano.

20. Né la denuncia di violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. corrisponde ai canoni che
ne consentono l’ingresso in sede di legittimità, occorrendo a tal fine che il
giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della
norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle
parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli
(salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di
ricorrere al notorio); è invece inammissibile la diversa doglianza che egli,
nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività
valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ.
(Cass. S.U. n. 20867 del 2020).

21. Nel caso in esame, la Corte di appello ha dato
conto delle fonti di prova utilizzate e il relativo apprezzamento non è affetto
da alcun vizio logico, mentre il ricorso in esame sollecita, nella forma
apparente della denuncia di error in iudicando, un riesame dei fatti,
inammissibile in questa sede.

22. Con il sesto motivo l’ANSA denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 1703 e segg. cod.
civ. in relazione agli artt. 2094 e 2104 cod. civ. nonché degli artt. 112 e 115 cod.
proc. civ. con riferimento ai documenti nn. 8, 9 e 10 allegati alle memorie
difensive ANSA.

La ricorrente addebita alla Corte di appello di non
avere considerato le tassative e inderogabili disposizioni aziendali in materia
di gestione degli stage e collaborazioni autonome esterne alle quali era
assoggettata la responsabile della sede di A. dell’ANSA, sig.ra T..

23. Anche tale motivo è inammissibile.

24. Innanzitutto, il ricorso non riporta, neppure in
sintesi, il contenuto dei documenti asseritamente omessi e decisivi, dovendosi
ribadire che, qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa
valutazione di prove documentali, per il principio di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., ha l’onere di
trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel
ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività (tra le
tante, v. da ultimo, Cass. n. 13625 del 2019).

25. Inoltre, valgono le medesime considerazioni
svolte per il precedente motivo, in quanto, sotto l’apparente deduzione del
vizio di violazione o falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio, parte ricorrente mira, in realtà, ad una
rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476 del 2019).

26. Con il settimo motivo, l’ANSA denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 cod.
civ., dell’art. 18 legge
300 del 1970 con riferimento alla convenzione di tirocinio allegata al
progetto formativo e di orientamento del 12 aprile 2005 e del 29 agosto 2005, e
relativa comunicazione di attivazione del tirocinio del 5 settembre 2005,
nonché in relazione al contratto di collaborazione autonoma stipulato dalle
parti in data 28 aprile 2006.

Lamenta la ricorrente l’erroneo rigetto
dell’eccezione di prescrizione, il cui termine decorreva in costanza di
rapporto di lavoro, poiché l’ANSA – che occupa più di 60 dipendenti sul
territorio nazionale – è soggetta al regime della c.d. tutela reale.

27. Il motivo è innanzitutto inammissibile.

Come correttamente affermato dalla Corte
territoriale, il presupposto della stabilità reale – che consente il decorso
della prescrizione quinquennale dei crediti del lavoratore durante il rapporto
– va verificato avendo riguardo al concreto atteggiarsi del rapporto stesso e
alla configurazione che di esso danno le parti nell’attualità del suo
svolgimento, dipendendo da ciò l’esistenza, o meno, di una effettiva situazione
psicologica di metus del lavoratore.

Dopo tali corrette premesse giuridiche, la sentenza
ha aggiunto che il termine quinquennale di prescrizione era stato in ogni caso
interrotto prima della sua integrale scadenza e prima della cessazione del
rapporto di lavoro, a mezzo di lettera 28 dicembre 2009, con cui erano state
rivendicate le differenze retributive maturate dal 21 aprile 2005.

Tale ratio decidendi non è stata specificamente
impugnata ed è da sola sufficiente a reggere la decisione.

28. Con l’ottavo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 22 CNLG nonché degli artt.
112 e 115 cod. proc. civ. in relazione
all’indennità di residenza. Si rappresenta che l’ANSA aveva specificamente
contestato i conteggi allegati dalla ricorrente all’atto introduttivo, negando
il diritto all’indennità di alloggio e di residenza, trattandosi di emolumenti
spettanti ai giornalisti “assegnati all’estero” come previsto dalla
disciplina collettiva, mentre la D.S. aveva instaurato un rapporto di
collaborazione in loco all’estero.

29. Anche questo motivo è inammissibile.

30. La sentenza impugnata ha riconosciuto i due
emolumenti di cui si discute ritenendoli rientranti nel trattamento spettante
al redattore corrispondente da capitale estera e ha rilevato che non era
neppure contestato in giudizio che il trattamento economico dovuto a tale
figura professionale includesse l’indennità di residenza e di alloggio. La
censura di cui al ricorso per cassazione, alla luce di quanto affermato dalla
Corte di appello, deve quindi ritenersi nuova e come tale inammissibile.

31. A ciò va pure aggiunto che la sentenza ha dato
atto che la D.S. era arrivata in Algeria proveniente da La Spezia, per cui il
motivo non è neppure pertinente alla ricostruzione della vicenda operata dal
giudice di merito.

32. Il primo motivo del ricorso incidentale di
L.D.S. denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 29, 33, 34 e 45
legge n. 69 del 1963 e degli artt. 1343, 1423 cod. civ. (art.
360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per avere la sentenza riformato la
statuizione relativa alla tutela per il licenziamento illegittimo e all’ordine
di reintegra nel posto di lavoro sul presupposto della nullità del rapporto di
lavoro subordinato a motivo della mancata iscrizione della ricorrente nell’Albo
dei giornalisti professionisti.

Deduce che ella era iscritta all’Albo dei
giornalisti, elenco dei pubblicisti, dal 15.12.2008 e al registro dei
praticanti giornalisti dal 20.11.2009 e tale condizione (di iscrizione) valeva
ad escludere la nullità del rapporto.

Sostiene che la giurisprudenza richiamata dalla
Corte di appello (Cass. n. 27608 del 2006 e n. 21884 del 2016) riguarda
l’ipotesi di iscrizione nell’elenco dei pubblicisti, mentre almeno dai 20
novembre 2009 (anteriormente alla lettera di recesso comunicatale il
10.2.2011), ossia dalla data di iscrizione nel registro dei praticanti, la
soluzione doveva essere diversa, poiché il praticantato giornalistico e la
successiva iscrizione nell’elenco dei professionisti sono inscindibili, essendo
l’uno prodromico all’altro.

33. Con il secondo motivo, connesso al primo,
lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto
di discussione tra le parti (art. 360, primo comma,
n. 5 cod. proc. civ.), consistente nell’iscrizione della ricorrente al
registro dei praticanti a far data dal 20.11.2009.

34. I due motivi, che sono connessi e possono essere
trattati congiuntamente, sono infondati.

35. Innanzitutto, la sentenza impugnata non ha
omesso l’esame della circostanza costituita dall’iscrizione della D.S.
all’elenco dei praticanti giornalisti dal 20.11.2009, della quale dà atto
espressamente nella motivazione della sentenza, ma ne ha ritenuto
(implicitamente) l’irrilevanza, per essere assorbente la circostanza che la
valida attività giornalistica nella posizione di corrispondente da capitale
estera (come nella specie) è riservata ai giornalisti iscritti all’Albo dei
“professionisti”.

36. Come è noto, l’Albo è suddiviso in due elenchi,
quello dei professionisti, ossia di coloro che esercitano in modo esclusivo e
continuativo la professione giornalistica, e quello dei pubblicisti (art. 35
CNLG), ossia di coloro che svolgono l’attività giornalistica in via non
occasionale e retribuita, ma non esclusiva. I praticanti sono invece coloro
che, pur non rientrando nelle due categorie anzidette, sono iscritti nell’apposito
registro e ad essi è applicata la disciplina di cui all’art. 35 CNLG.

37. Il Contratto nazionale di lavoro giornalistico
contempla, all’art. 5, tra le ipotesi per le quali “è obbligatoria
l’assunzione di giornalisti qualificati professionisti a termini degli
ordinamenti sulla professione giornalistica”, quella dei
“corrispondenti negli uffici di corrispondenza…dalle capitali
estere…” (lett. b); il secondo comma dello stesso articolo prevede che
ai giornalisti professionisti (di cui alla precedente lett. b) “spetterà
la qualifica di redattore”.

38.E’ ben vero che l’art. 36 CNLG contempla la
possibilità che anche presso gli uffici di corrispondenza possano esservi
giornalisti pubblicisti. Tuttavia, interpretando sistematicamente gli artt. 5 e
36 (art. 1363 cod. civ.), ove si tratti di
uffici di corrispondenza presso una capitale estera (come nella specie), è
obbligatorio che sia assunto un giornalista “professionista”, al
quale verrà corrisposto il trattamento economico e la qualifica di
“redattore”. In tale contesto, il mero svolgimento di mansioni di
redattore, come accertato dalla Corte di appello, senza l’iscrizione all’Albo
dei giornalisti “professionisti” (ma con l’iscrizione all’elenco dei
pubblicisti) dà luogo ad un rapporto nullo, con applicazione del regime di cui
all’art. 2126 cod. civ..

39. Secondo la giurisprudenza costante di questa
Corte, lo svolgimento di mansioni di redattore alle dipendenze di un’azienda
giornalistica da parte di soggetto solamente iscritto nell’elenco dei
pubblicisti non comporta la nullità del contratto per illiceità della causa o
dell’oggetto e produce gli effetti previsti dall’art.
2126 cod. civ., per il tempo in cui il rapporto di lavoro ha avuto
esecuzione, restando escluso il diritto di continuare a rendere la prestazione
o di pretenderne la esecuzione, sicché, in tale ipotesi, nel caso di
accertamento della natura subordinata di un rapporto di lavoro giornalistico, il
giudice deve limitarsi a riconoscere il diritto alle differenze retributive ai
sensi dell’art. 2126, primo comma, cod. civ.,
ma non può ordinare la riassunzione del lavoratore, assumendone l’illegittimo
licenziamento, atteso che nel contratto nullo per violazione di norma
imperativa non è concepibile un negozio di licenziamento e non sono
configurabili le conseguenze che la legge collega al recesso ingiustificato
(Cass. n. 21884 del 2016; v. pure Cass. n. 27608 del 2006 e n. 10158 del 2017).

40. Deduce la ricorrente incidentale che a diverse
conclusioni dovrebbe pervenirsi (almeno) a far data dalla iscrizione al
registro dei praticanti, ossia dal 20.11.2009. A sostegno di tale censura, cita
le sentenze di questa Corte che hanno affermato che la mancata iscrizione
nell’Albo dei praticanti giornalisti comporta la nullità del contratto di
lavoro per violazione di legge con applicazione del regime di cui all’art. 2126 cod. civ. (Cass.
1256 del 2016, conforme a Cass. 3385 del 2011)
per argomentare, a contrario, che, laddove l’iscrizione all’Albo dei praticanti
giornalisti vi sia, non sussisterebbe alcuna nullità.

41. L’argomento ha un rilievo giuridico solo
apparente, poiché il principio sopra esposto ha riguardato ipotesi in cui vi
era stato l’effettivo svolgimento di attività di praticantato giornalistico,
priva però della iscrizione del giornalista nel relativo registro dei
praticanti. La fattispecie che riguarda il caso in esame è diversa; per essa il
CNLG richiede (art. 5) che l’attività di corrispondente negli uffici di
corrispondenza dalle capitali estere deve essere svolta da giornalisti professionisti
(“è obbligatoria l’assunzione di giornalisti qualificati come
professionisti”, ossia iscritti nell’Albo dei giornalisti professionisti).

42. Per tali ragioni, vanno rigettati il ricorso
principale e il ricorso incidentale, con compensazione delle spese tra le
parti, stante la reciproca soccombenza.

43. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente principale, sia
della ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per
il ricorso incidentale, a norma del comma
1 – bis dello stesso art. 13 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del
2020).

 

P.Q.M.

 

Rigetta sia il ricorso principale, sia quello
incidentale. Compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della ricorrente principale e della ricorrente
incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma
del comma 1-bis, dello stesso
articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 maggio 2021, n. 12344
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