Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2021, n. 11069

Inail, Infortunio sul lavoro, Presunta inabilità permanente
– Consulenza tecnica

 

Rilevato che

 

la Corte di appello di Catania confermava la
sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda avanzata da M.R. nei
confronti dell’Inail, volta a ottenere le prestazioni relative a una presunta
inabilità permanente nella misura dell’8%, residuata a seguito di infortunio
sul lavoro del 28/2/2012, negata in sede amministrativa;

il giudice d’appello aveva ritenuto inammissibile il
motivo d’appello con cui era stato censurato l’omesso richiamo del consulente
tecnico, per violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., poiché “l’appellante non avanza
alcuna critica nei confronti delle argomentazioni del consulente fatte proprie
dal Tribunale, limitandosi a ribadire che in primo grado aveva richiesto il
richiamo del ctu, senza neanche specificare la motivazione di tale
istanza”;

aveva ritenuto infondata la seconda censura,
relativa alla negata compensazione delle spese – ancorché fossero stati
accertati postumi, pur se inferiori al minimo indennizzabile – idonei a
giustificare detta compensazione, sul rilievo che le dedotte circostanze non
integravano né un’ipotesi di soccombenza reciproca, né le gravi ed eccezionali
ragioni idonee a giustificare la compensazione;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione
M.R. sulla base di due motivi;

l’Inail resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata
alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio non partecipata;

 

Considerato che

 

con il primo motivo il ricorrente deduce grave
violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, poiché con l’atto di
appello aveva esattamente indicato le doglianze rispetto alla consulenza
tecnica, nonché i motivi per i quali si chiedeva il richiamo del consulente, ed
era mancata la motivazione sul mancato riconoscimento di un aumento pari al 4%,
misura indicata dal CTU, rispetto al danno anatomo-funzionale già riconosciuto;

con il secondo motivo deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 92 c.p.c. e art. 152 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3 e 5, perché la Corte non
aveva tenuto conto che dall’evento denunciato, come accertato, era derivato un
aggravamento del preesistente danno e tale circostanza doveva indurre il
giudicante a compensare le spese, così come non aveva preso in considerazione
il diritto del ricorrente all’esenzione dalla condanna alle spese processuali,
stante la dichiarazione resa ai sensi dell’art. 152
disp att c.p.c.;

il primo motivo è inammissibile poiché il ricorrente
non trascrive né allega, in termini di rispetto dell’onere di autosufficienza,
il tenore delle censure svolte nell’atto di appello, sì da poter verificare la
fondatezza dell’assunto riguardo alla specificità delle censure negata dalla
Corte, con conseguente preclusione dell’esame di ulteriori rilievi;

il secondo motivo è infondato quanto al primo
profilo di censura, concernente le spese processuali, in forza del principio
secondo cui, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della
soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa
non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle
stesse, sicché il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare
che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono
essere poste a carico della parte vittoriosa e da tale sindacato esula, per
rientrare nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione
dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto
nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con
altri giusti motivi (Cass. 19613 del 4/8/2017);

è inammissibile, quanto al secondo profilo di
censura, per carenza di autosufficienza quanto alla chiesta esenzione dalle
spese, poiché non trascrive né allega la dichiarazione ex art. 152 c.p.c., sì da poterne vagliare l’idoneità
a consentire l’esonero;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va
complessivamente rigettato e le spese sono liquidate secondo soccombenza;

in considerazione della statuizione, sussistono i
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.200,00, di cui € 200,00
per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento
da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.

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