Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 maggio 2021, n. 13643
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Crisi
aziendale di carattere non temporaneo, Accertamento, Riorganizzazione e
soppressione del posto di lavoro
Fatti di causa
1. La Corte di appello di L’Aquila ha accolto il
reclamo proposto dalla H. Italiana s.r.l. ed in parziale riforma della sentenza
del Tribunale di Chieti ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso
con S. P. a far data dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo
intimatogli il 21.9.2016, del quale ha confermato l’illegittimità. Per
l’effetto ha condannato la società a corrispondergli un’indennità risarcitoria
onnicomprensiva quantificata in quindici mensilità di retribuzione.
2. Il giudice del reclamo ha ritenuto accertata una
situazione di crisi aziendale di carattere non temporaneo, crisi che non era
stata risolta alla data del licenziamento intimato per effetto della
riorganizzazione e soppressione del posto di lavoro. Ha poi ritenuto che – identificandosi
il giustificato motivo oggettivo con la generica esigenza di riduzione di
personale omogeneo e fungibile – la società avrebbe dovuto individuare il
soggetto da licenziare estendendo la parametrazione a tutti i dipendenti in
servizio nella sede di Ortona aventi il medesimo inquadramento. Sostiene
infatti che non sarebbe applicabile il criterio della soppressione della
posizione lavorativa né quello dell’impossibilità del repechage essendo le
posizioni lavorative equivalenti e dunque tutti i lavoratori erano
potenzialmente licenziabili. Quanto alla tutela da accordare la Corte ha
ritenuto che alla fattispecie fosse applicabile il comma 5 dell’art. 18 della legge n. 300 del
1970 come novellato dalla legge n. 92 del 2012
ed ha quantificato l’indennità risarcitoria tenendo conto della non rilevante
anzianità del lavoratore e delle dimensioni dell’impresa.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso S. P. affidato a due motivi.
Benché non risulti depositato negli atti un
controricorso della società recante un ricorso incidentale, tuttavia S. P. ha
depositato un suo controricorso.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione
e falsa applicazione dell’art.
3 della legge n. 604 del 1966 e di ogni altro principio in materia di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
4.1. Sotto un primo profilo il ricorrente deduce che
la sentenza sarebbe incorsa nella denunciata violazione di legge per avere
concentrato la sua indagine solo sull’esistenza di una situazione non
transitoria di crisi aziendale, ma non avrebbe verificato se era stato
effettivamente soppresso un posto di lavoro e se esisteva un nesso causale tra
tale soppressione ed il licenziamento del P..
4.2. Osserva che la sentenza contraddittoriamente
ritiene che il licenziamento era stato determinato dalla necessità di
riorganizzazione e dalla conseguente soppressione del posto e , tuttavia, a
fronte della contestazione da parte del lavoratore dell’insussistenza di una
specifica posizione assegnatagli in relazione alla promiscuità delle mansioni
svolte, non tiene conto del fatto che la società non ha specificatamente
individuato il posto e non ne ha dimostrato la soppressione (osserva che si
trattava di dimostrazione agevole con la produzione di un organigramma relativo
alla situazione pregressa e di uno successivo alla riorganizzazione da cui
evincere quale era la posizione soppressa). In sostanza la società non avrebbe
provato quanto affermato nella lettera del 21.9.2016 e cioè che la posizione
lavorativa del P. era stata soppressa e dunque il fatto posto a base del
licenziamento era insussistente.
4.3. Inoltre, ad avviso del ricorrente, la sentenza
non conterrebbe alcun riferimento all’esistenza di un nesso causale tra la
riorganizzazione ed il licenziamento del lavoratore. La mancata dimostrazione
di tale nesso si tradurrebbe nella insussistenza del fatto posto a base del
recesso ed imporrebbe l’applicazione del comma 4 dell’art. 18 della legge n. 300 del
1970.
5. Sotto altro profilo, poi, il ricorrente evidenzia
la contraddittorietà della decisione che dopo aver affermato che il
licenziamento era stato intimato per effetto della soppressione del posto
conseguente alla riorganizzazione aziendale ha poi affermato che il g.m.o.
andava individuato nell’esigenza generica di ridurre il personale omogeneo e fungibile
con onere della società di individuare il soggetto da licenziare attraverso una
comparazione con tutti i dipendenti in servizio presso la sede di Ortona e non
solo con quelli addetti al reparto manutenzione.
5.1. Rileva il ricorrente che tale contraddittorietà
era stata da subito evidenziata (nella lettera del 21.9.2016 si faceva
riferimento alla soppressione del posto mentre nella memoria di costituzione la
società aveva dichiarato di aver licenziato il lavoratore applicando non meglio
specificati criteri di scelta). La contraddittorietà degli argomenti utilizzati
dalla società a sostegno della legittimità del licenziamento era espressione
dell’insussistenza del motivo stesso.
5.2. Sottolinea infatti che non può coesistere la
soppressione del posto di lavoro e la necessità di applicare criteri selettivi
omogenei per scegliere i lavoratori da licenziare (peraltro malamente
utilizzati). In definitiva secondo il ricorrente non vi sarebbe la prova della
soppressione del posto per effetto di una riorganizzazione e neppure
dell’utilizzo di criteri predeterminati per individuare il lavoratore da
licenziare (l’unico).
5.3. Erroneamente allora la Corte di merito avrebbe
ritenuto che potessero coesistere più ragioni fondanti il licenziamento e che
una di esse fosse sussistente (avvenuta riorganizzazione con soppressione del
posto) e l’altra fosse stata malamente utilizzata (selezione con indebita
limitazione del numero dei destinatari). Sostiene il ricorrente che infatti
mancherebbe la dimostrazione dell’esistenza di una postazione lavorativa
assegnata al P. ed anche della sua soppressione. Inoltre non vi sarebbe la
prova che il P. era stato individuato in base ad un criterio di scelta
preventivamente fissato ed oggettivo.
6. Preliminarmente deve essere dichiarato
improcedibile il ricorso incidentale della società H. che, pur notificato al
signor P. il 22 dicembre 2017, tuttavia non risulta essere poi stato depositato
nella cancelleria di questa Corte (cfr. attestazione della cancelleria in
atti), come prescritto dall’art. 369 primo comma
cod. proc.civ. che trova applicazione al ricorso incidentale in virtù
dell’espresso rinvio contenuto all’art. 371 terzo
comma cod. proc.civ..
7. Quanto al ricorso proposto dal lavoratore ritiene
il Collegio che questo non possa trovare accoglimento.
7.1. Il primo motivo di ricorso ruota intorno alla
prova dell’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento. Se ne deduce
una parcellizzazione e si sostiene, in sostanza, che non sarebbe stata provata
la soppressione di un posto assegnato al P. ed il collegamento tra la crisi
accertata e tale modifica organizzativa.
7.1.1. Osserva tuttavia la Corte che, in disparte
gli aspetti della censura che investono la ricostruzione fattuale, non si può
ritenere che il fatto che ha dato luogo al licenziamento sia, come previsto
dalla norma, manifestamente insussistente.
7.1.2. La Corte territoriale ha infatti accertato
che la società datrice al tempo del licenziamento stava incontestabilmente
attraversando una situazione di crisi che l’aveva determinata a procedere ad
una ristrutturazione con una riduzione del personale in servizio. Ha del pari
accertato che non vi era stata una soppressione del posto di lavoro cui era
assegnato il lavoratore ma piuttosto una auspicabilmente più efficiente
distribuzione delle mansioni ed un ridimensionamento conseguente del numero di
dipendenti necessario.
7.1.3. Nell’ambito di tale ricostruzione fattuale,
in questa sede non censurabile, correttamente il licenziamento è stato ritenuto
la conseguenza dell’esigenza di ridurre il personale per far fronte alla quale
si sarebbe dovuto procedere all’individuazione del soggetto da licenziare, ai
sensi dell’ art. 1175 e 1375 cod. civ., sulla base di criteri analoghi a
quelli previsti per i licenziamenti collettivi.
7.1.4. Va premesso che ai fini del licenziamento
individuale per giustificato motivo oggettivo, l’art. 3 della I. n. 604 del 1966
richiede: a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto
cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di
tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità
della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice
quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati –
diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero
sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore
efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l’impossibilità di reimpiego
del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello
normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che
nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta
datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla
persona del lavoratore. L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi
presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante
ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di
allegazione dei posti assegnabili (Cass.
20.10.2017 n. 24882).
7.1.5. Il regime sanzionatorio introdotto dalla legge n. 92 del 2012, poi, prevede nel caso di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, di regola, la corresponsione
di una indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di 12 ed un massimo di 24
mensilità. Il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino ad un
massimo di 12 mensilità, è riservato a quelle ipotesi residuali, che fungono da
eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento
è connotata di una particolare evidenza (cfr. Cass.
25.7.2018 n. 19732; Cass. 25.6.2018 n. 16702).
7.1.6. Il controllo sulla effettività e non
pretestuosità della ragione addotta concretamente dall’imprenditore sotto il
profilo della chiarezza e della evidenza, attraverso il vaglio del materiale
probatorio, costituisce accertamento in concreto che investe pienamente una
quaestio facti (cfr. Cass. 03/05/2017 n.10699)
rispetto al quale il sindacato di legittimità si arresta entro il confine
segnato dal novellato art. 360 c. 1 n. 5 cpc
che non consente una diversa ricostruzione della vicenda storica soprattutto
quando l’apprezzamento del giudice di merito investa una molteplicità di
elementi fattuali, la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità
come violazione di legge, ai sensi dell’art. 360
primo comma n. 3 cod. proc.civ, solo ove si denunzi che la combinazione ed
il peso dei dati fattuali, come definiti ed accertati dal giudice, non ne
consentano la riconduzione alla nozione legale.
7.1.7. Tuttavia il concetto di “manifesta
insussistenza” del fatto posto a base di un recesso per giustificato
motivo oggettivo è stato oggetto di elaborazione e si è ritenuto che esso debba
essere riferito “ad una evidente e facilmente verificabile assenza dei
presupposti giustificativi del licenziamento che consenta di apprezzare la
chiara pretestuosità del recesso” (Cass.
12/05/2018 n. 10435). In sostanza si deve trattare di una chiara, evidente
e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del recesso,
cui non può essere equiparata una prova meramente insufficiente (cfr. Cass. 25/06/2018 n. 16702).
7.1.8. Si è ritenuto perciò che ove risulti
accertata la mancanza di un nesso causale tra il progettato ridimensionamento e
lo specifico provvedimento di recesso il licenziamento deve essere ricondotto
nell’alveo di quella particolare evidenza richiesta per integrare la manifesta
insussistenza del fatto che giustifica, ai sensi dell’art. 18, comma 7, della legge n.
300/1970, come modificato dalla legge n. 92
del 2012, la tutela reintegratoria attenuata (cfr. Cass. n. 31496 del 2018 e conf. Cass. n. 8661 del
2019 e Cass. n. 29101 del 2019 e 03/02/2020 n. 2366 ).
7.1.9. Nel caso in esame la Corte territoriale, pur
accertata l’esistenza di una situazione di crisi aziendale, ha tuttavia
verificato che le prestazioni svolte dal P. nella sostanza erano state oggetto
di una redistribuzione senza modifiche dell’organizzazione interna del reparto.
In sostanza ha accertato che si era inteso provvedere ad una “generica
esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile” che perciò, alla
luce dei principi sopra esposti, imponeva di individuare il lavoratore da
licenziare in virtù dei principi di correttezza e buona fede tra tutti i
lavoratori addetti alla sede e non solo tra quelli del reparto maintenance. Per
tale ragione ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato al P.. In
sostanza, e correttamente, il giudice di appello una volta accertato che non vi
era evidenza dell’insussistenza delle ragioni poste a fondamento del
licenziamento ha applicato la tutela indennitaria avendo ritenuto illegittimo
il recesso poiché ha evidenziato che il procedimento seguito dal datore di
lavoro per individuare il soggetto da licenziare non era rispondente ai
principi generali di correttezza e buona fede che devono governarne la scelta.
8. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
8.1. In tema di spese processuali, il sindacato
della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360
primo comma n. 3 cod.proc.civ., è limitato ad accertare che non risulti
violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a
carico della parte totalmente vittoriosa. Rientra infatti nel potere
discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di
compensare le spese del giudizio procedendo ad una valutazione complessiva
dell’esito della lite (cfr. Cass. 17/10/2017 n.24502 e 31/03/2017 n. 8421). A tali principi risulta
essersi attenuta la Corte di appello che ha posto in rilievo, nel fare
riferimento ad una reciproca soccombenza, che la domanda del lavoratore per
effetto della parziale riforma a seguito di appello della società era risultata
solo in parte fondata.
9. In conclusione deve essere rigettato l’appello
principale del P. e dichiarato improcedibile quello incidentale della società.
L’esito del giudizio di legittimità giustifica la compensazione delle spese. Ai
sensi dell’art. 13 comma 1 quater
del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello
incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso principale ed incidentale a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e dichiara
improcedibile il ricorso incidentale.
Compensa le spese. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale ed incidentale a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto