Laddove il prestatore svolga mansioni riconducibili a due diversi livelli, l’inquadramento va determinato in base alle funzioni in concreto prevalenti, tenendo conto sia della qualità che della quantità di lavoro svolto.
Nota a Cass. (ord.) 8 febbraio 2021, n. 2969
Matteo Iorio
In caso di mansioni promiscue, ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l’individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, la prevalenza non va determinata sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte ma tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purché non espletata in via sporadica ed occasionale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (ord. 8 febbraio 2021, n. 2969, parzialmente difforme da App. Roma n. 1076/2017) in relazione al caso di un lavoratore, impiegato nel settore delle telecomunicazioni, che lamentava il diritto al superiore inquadramento, e alle relative differenze retributive, per aver espletato mansioni superiori rispetto a quelle di adibizione.
In merito, la Cassazione ha ribadito che, nel caso in cui il dipendente svolga mansioni riconducibili a due diversi livelli (c.d. promiscue), l’inquadramento, in mancanza di specifiche regole dettate dalla contrattazione collettiva, dev’essere stabilito in base alle attività in concreto prevalenti, perché maggiormente significative sul piano professionale, combinando il criterio qualitativo con quello quantitativo (Cass. n. 6303/2011; Cass. n. 26978/2009). La qualifica, pertanto, va determinata con riferimento al contenuto della mansione primaria e caratterizzante, purché non sia svolta in maniera sporadica o del tutto occasionale.
L’accertamento in ordine al corretto inquadramento del lavoratore deve svilupparsi in tre fasi (c.d. percorso trifasico), consistenti:
- nell’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria;
- nell’accertamento delle attività lavorative in concreto svolte;
- nel confronto tra le funzioni effettivamente espletate e quelle previste dalla normativa contrattuale (Cass. n. 30580/2019; Cass. n. 8589/2015).
L’osservanza di tale criterio non richiede che l’organo giudicante si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ma è sufficiente che ciascuno dei momenti di accertamento, ricognizione e valutazione trovi concretamente ingresso nel ragionamento decisorio.
In attuazione di tali principi, la Corte ha censurato la pronuncia di merito che, nel rigettare le doglianze del dipendente al superiore inquadramento, non aveva dato conto della sequenza procedimentale percorsa per la descrizione delle qualifiche previste dal contratto collettivo di categoria (nella specie, ccnl per le imprese esercenti servizi di telecomunicazione), l’individuazione delle mansioni svolte ed il raffronto tra i risultati delle due indagini, né aveva esplicato le ragioni per le quali era stato ritenuto legittimo l’inquadramento del lavoratore nel livello posseduto, seppur in base ad una nozione di preminenza, dal momento che anche l’adozione di tale criterio valutativo richiede la compiuta enunciazione delle mansioni contrattualmente indicate nelle declaratorie dei singoli inquadramenti, cui confrontare le funzioni in concreto svolte.