Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 maggio 2021, n. 14390
Professionista, Avvocato, Obbligatorietà dell’iscrizione
alla Gestione separata, Esercizio abituale dela professione
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di
Bari ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato l’Avv. C.V.
non tenuta ad iscriversi presso la Gestione separata in relazione ai periodi
nei quali aveva prodotto un reddito inferiore ai minimi previsti per
l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Cassa Nazionale Forense.
2. La Corte, in
particolare, ha ritenuto che, sebbene non potesse in linea generale dubitarsi
dell’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata per coloro che
esercitano abitualmente la professione di avvocato e che non sono tenuti a iscriversi
presso la Cassa Nazionale Forense, il fatto che la professionista avesse
percepito redditi di importo inferiore a € 5.000,00 rappresentasse un indizio
della natura occasionale dell’attività svolta, rispetto al quale l’Istituto non
aveva dato prova alcuna a supporto della sua natura abituale.
3. Avverso tali
statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un unico
motivo di censura, successivamente illustrato con memoria.
4. L’Avv. C.V. ha
resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
5. Con l’unico motivo di
censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, commi 26 ss., I. n.
335/1995, 18, commi 1 e 2,
d.l. n. 98/2011 (conv. con I. n. 111/2011),
21 comma 8, I. n. 247/2012, e
44, d.l. n. 269/2003 (conv.
con I. n. 326/2003), per avere la Corte di
merito ritenuto che la produzione di un reddito inferiore alla soglia di €
5.000,00, di cui alla norma u/t. cit., costituisse elemento sintomatico
decisivo ai fini della valutazione dell’occasionalità della prestazione, senza
considerare le ulteriori incontestate circostanze quali l’iscrizione all’Albo
degli avvocati, la cui sussistenza fa presumere la compresenza di una serie di
circostanze tutte sintomatiche dell’abitualità nello svolgimento della
professione e la titolarità di partita IVA.
6. Il motivo è infondato
sebbene la motivazione della sentenza vada corretta.
7. Va premesso che,
ricostruendo la portata precettiva dell’art. 2, comma 26, I. n. 335/1995,
per come autenticamente interpretato dall’art. 18, comma 12, d.l. n. 98/2011
(conv. con I. n. 111/2011), questa Corte,
sulla scorta di Cass. S.U. n. 3240 del 2010,
ha avuto modo di affermare più volte che l’obbligo di iscrizione alla Gestione
separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante
dall’esercizio abituale (ancorché non esclusivo) ed anche occasionale (oltre la
soglia monetaria indicata nell’art.
44, comma 2, d.l. n. 269/2003, conv. con I. n.
326/2003) di un’attività professionale per la quale è prevista l’iscrizione
ad un albo o ad un elenco, tale obbligo venendo meno solo se il reddito
prodotto dall’attività professionale predetta è già integralmente oggetto di
obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento (così, espressamente, Cass. n. 32167 del 2018, in motivazione, cui
hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. nn. 519 del 2019, 317 e 1827 del 2020,
477 e 478 del 2021).
8. Trattasi di
affermazione che discende agevolmente dalla lettura del combinato disposto
degli artt. 2, comma 26, I. n.
335/1995, e dell’art. 44, d.l.
n. 269/2003, entrambi cit., il primo dei quali, per quanto qui rileva,
prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione a carico dei «soggetti che esercitino,
per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo,
di cui al comma 1 dell’articolo 49
del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni ed
integrazioni», mentre il secondo, a decorrere dal 10 gennaio 2004, estende tale
obbligo anche ai «soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale
[…] solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore
ad euro 5.000».
9. Nell’intento del
legislatore, reso palese dalla lettera delle disposizioni citate,
l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Gestione separata da parte di un
professionista iscritto ad albo o elenco è collegata, infatti, all’esercizio
abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un
reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento;
la produzione di un reddito superiore alla soglia di euro 5.000,00 costituisce
invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale
possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece
normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività
lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità.
10. Dirimente è, insomma,
il modo in cui è svolta l’attività liberoprofessionale, se in forma abituale o
meno; e se nell’accertamento di fatto di tale requisito ben possono rilevare le
presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della
partita IVA, dalle dichiarazioni rese ai fini fiscali o dall’organizzazione
materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, non è
meno vero che trattasi pur sempre di forme di praesumptio hominis, che non
impongono all’interprete conclusioni indefettibili, ma semplici regole di
esperienza per risalire al fatto ignoto da quello noto.
11. Sotto questo profilo,
deve escludersi che – come invece preteso dall’Istituto ricorrente – tali
regole di esperienza siano passibili di irrigidirsi in virtù della normazione
positiva dettata dagli artt. 61 e
69- bis, d.lgs. n. 276/2003, così da trapassare nel campo della presunzione
legale: tanto l’art. 61, comma 3,
d.lgs. n. 276/2003, nella parte in cui prevede che «sono escluse dal campo
di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l’esercizio
delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali», quanto
il successivo art. 69- bis,
comma 3, che esclude dalla presunzione di continuatività di cui al precedente
comma 1 le «prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività
professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine
professionale», sono preordinati a dettare discipline di favore per i committenti e i prestatori di attività
riconducibili ad una professione intellettuale per il cui esercizio sia
necessaria l’iscrizione ad apposito albo professionale, stabilendo
rispettivamente che esse non necessitano dell’individuazione di uno specifico
progetto per essere dedotte in un contratto di collaborazione e che, ai fini
fiscali, non possono presumersi continuative; si tratta, in altri termini, di
disposizioni che operano l’una nell’ambito dei rapporti tra le parti contraenti
e l’altra nei confronti dell’Erario, ma dalle quali non è possibile desumere
alcuna presunzione iuris et de iure tale per cui un’attività
libero-professionale che possa essere svolta solo previa iscrizione ad un albo
o elenco debba necessariamente qualificarsi come “abituale” ai fini
dell’iscrizione alla Gestione separata.
12. Resta piuttosto da osservare che, una
volta chiarito che il requisito dell’abitualità dev’essere accertato in punto
di fatto, valorizzando all’uopo le presunzioni ricavabili ad es.
dall’iscrizione all’albo, dalle dichiarazioni rese ai fini fiscali,
dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta
dal professionista a supporto della sua attività, ben può la percezione da
parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a €
5.000,00 rilevare quale indizio per escludere che, in concreto, l’attività sia
stata svolta con carattere di abitualità, così come in concreto ritenuto dalla
Corte territoriale nell’ulteriore ratio decidendi posta a supporto della
pronuncia: fermo restando che l’abitualità di cui si discute dev’essere
apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista,
coerentemente con la disciplina ch’è propria delle gestioni dei lavoratori
autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile dall’ammontare di
reddito prodotto, dal momento che ciò equivarrebbe a tornare ad ancorare il
requisito dell’iscrizione alla Gestione separata alla produzione di un reddito
superiore alla soglia di cui all’art.
44, d.l. n. 269/2003, cit., che invece, come detto, rileva ai fini
dell’assoggettamento a contribuzione di attività libero-professionali svolte in
forma occasionale, non si tratta che di un ragionamento presuntivo mediante il
quale si utilizzano circostanze note per risalire ad un fatto ignoto.
13. Ed è appena il caso di
soggiungere che, sebbene l’Istituto ricorrente abbia lamentato che, nel caso di
specie, non sarebbero state adeguatamente valorizzate ulteriori circostanze
fattuali acquisite al processo (come l’accensione di partita IVA e altre
desumibili dall’iscrizione all’albo, peraltro analiticamente esposte solo
nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c.), nulla della loro sussistenza è
dato leggere nella sentenza impugnata, né l’Istituto ha specificamente illustrato
in quale luogo e in quale grado del processo di merito esse sarebbero state
veicolate nel giudizio e discusse tra le parti, con la conseguenza che, per
questa parte, la censura deve reputarsi radicalmente inammissibile.
14. Corretta negli anzidetti
termini la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso va rigettato.
15. Segue coerente la
condanna alle spese, liquidate come in dispositivo, da distrarsi in favore
dell’avvocato B.B.E..
16. Sussistono i
presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove
dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00
per esborsi, euro 350,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e
rimborso forfetario del 15 per cento, da distrarsi in favore dell’avvocato
B.B.E..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.