Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2021, n. 14691

Rapporto di lavoro, Riconoscimento a fini giuridici ed
economici dell’intera anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di
provenienza, Riduzione sostanziale del trattamento retributivo, Disparità di
trattamento con i lavoratori già in servizio presso il cessionario

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Catania, giudice del rinvio
a seguito della sentenza di questa Corte n. 12363/2012, ha riformato la
sentenza n. 840/2005 con la quale il Tribunale di Caltanissetta aveva accolto
il ricorso proposto da R.C., appartenente al personale amministrativo, tecnico
ed ausiliario della scuola (ATA), ed aveva dichiarato il diritto della stessa
ex art. 8, comma 2, della legge
n. 124/1999 al riconoscimento a fini giuridici ed economici dell’intera
anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di provenienza,
condannando, di conseguenza, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca al pagamento delle differenze retributive con decorrenza dal gennaio
2000;

2. la Corte territoriale, riassunti i fatti di
causa, ha premesso che la sentenza rescindente, con la quale era stata cassata
la sentenza n. 300/2007 della Corte d’Appello di Caltanissetta che aveva
rigettato la domanda, aveva demandato al giudice del rinvio di accertare se al
momento del passaggio dall’ente locale allo Stato si fosse verificata una
riduzione sostanziale del trattamento retributivo ed aveva precisato che il
confronto doveva essere globale, cioè non limitato ad uno specifico istituto, e
che non potevano assumere rilievo eventuali disparità di trattamento con i
lavoratori già in servizio presso il cessionario;

3. la Corte territoriale ha evidenziato che, sulla
base del principio di diritto enunciato dalla pronuncia rescindente, non poteva
trovare accoglimento la domanda, ancora riproposta in sede di rinvio, di
riconoscimento integrale dell’anzianità pregressa al fine di ottenere un
trattamento retributivo pari a quello di un dipendente statale con eguale
anzianità, posto che il criterio, escluso dall’art. 1, comma 218, della legge n.
266/2005 non era stato ritenuto necessario per conformare l’ordinamento
interno al diritto dell’Unione;

4. il giudice del rinvio ha poi rilevato che le
generiche allegazioni, contenute nell’originario ricorso introduttivo, in
merito ad un peggioramento subito per effetto del passaggio, non trovavano
riscontro nella documentazione prodotta perché dall’esame dei cedolini paga
relativi al periodo immediatamente precedente (settembre/dicembre 1999) e
successivo (gennaio 2000) al trasferimento nei ruoli statali emergeva che il
complessivo trattamento retributivo corrisposto alla C. era rimasto immutato;

5. ha ritenuto, pertanto, inammissibile la richiesta
di consulenza tecnica d’ufficio in ragione del suo carattere esplorativo;

6. per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso R.C. sulla base di due motivi, ai quali non ha opposto difese il
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, rimasto intimato.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ., violazione
e falsa applicazione degli artt. 394 e 384 cod. proc. civ. con conseguente «violazione e
falsa applicazione della legge 23/12/2005
poiché in violazione del precetto del 1° comma dell’art.
117 della Costituzione e dell’art.
6 Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà
fondamentali nonché in violazione delle generali norme di interpretazione;
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso
e decisivo per il giudizio»;

1.1. sostiene che la Corte territoriale, in quanto
giudice del rinvio, doveva limitarsi ad applicare il principio affermato nella
sentenza rescindente e non fornire una nuova interpretazione dell’art. 1, comma 218, della legge n.
266/2005, tra l’altro in contrasto con quanto affermato dalla Corte di
legittimità e dalla Corte di Giustizia con la sentenza
del 6 settembre 2011;

2. la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 nn.3 e 5 cod. proc. civ., addebita alla
sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 61, 424 e 441 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 384 e 394 cod.
proc. civ., nonché «motivazione omessa e contraddittoria circa un fatto
decisivo per il giudizio»;

2.1. sostiene la ricorrente che il peggioramento
retributivo non poteva essere escluso perché «il mancato riconoscimento di una
anzianità di così molti anni doveva e deve necessariamente portare ad una
differenza retributiva peggiorativa a far data dal trasferimento al MIUR» ed
aggiunge che l’indagine doveva essere condotta nel rispetto dei principi
indicati dalla Corte di Giustizia, disponendo, eventualmente, l’invocata
consulenza tecnica d’ufficio;

3. il ricorso è inammissibile in entrambe le sue
articolazioni; occorre premettere che, in caso di ricorso proposto avverso la
sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione la portata del
decisum della pronuncia rescindente, la Corte di cassazione, nel verificare se
il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa
enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione
decisa ed al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte (Cass. n.
3955/2018);

4. nel caso di specie questa Corte, con la sentenza
n. 12363/2012, pronunciata all’esito degli interventi della Corte di Giustizia
( sentenza 6 settembre 2011 in causa C-108/10,
Scattolon) e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza 7 giugno 2011,
Agrati), non ha affatto demandato al giudice del rinvio di disapplicare la legge n. 266/2005, art. 1, comma 218,
perché in contrasto con gli artt. 117 Cost. e 6 CEDU né ha affermato che, in caso
di accertata reformatio in peius, doveva essere integralmente riconosciuta
l’anzianità posseduta, perché ha chiesto al giudice del merito di «verificare
la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del
trasferimento» ed i criteri fissati ai fini della comparazione sono solo quelli
indicati al punto 11 della pronuncia, ove si precisa che il confronto deve
essere globale, riferito al momento del passaggio, e che non rilevano eventuali
disparità di trattamento con i dipendenti già in servizio presso il
cessionario;

5. il richiamato accertamento è stato effettuato dal
giudice del rinvio che, come evidenziato nello storico di lite, da un lato ha
rilevato che la ricorrente aveva solo genericamente affermato che era stato
leso il suo diritto a conservare il trattamento stipendiale in precedenza
goduto, dall’altro ha esaminato la documentazione prodotta ed ha accertato che
dal confronto fra le retribuzioni percepite prima e dopo il trasferimento non
emergevano sostanziali differenze;

6. il ricorso, nella parte in cui addebita alla
Corte territoriale il vizio motivazionale e di avere erroneamente rigettato la
richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, è inammissibile perché la censura
esorbita dai limiti del riformulato art. 360 n. 5
cod. proc. civ. (applicabile alla fattispecie ratione temporis perché la
sentenza impugnata è stata pubblicata il 18 novembre 2016) che attribuisce
rilievo solo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la
cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che
abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia;

6.1. l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto
tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma,
quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie astrattamente rilevanti;

6.2. il motivo, quindi, è validamente formulato ai
sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. solo
qualora il ricorrente indichi il “fatto storico”, il cui esame sia
stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso
risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia
stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività” (Cass. S.U. n. 8053/2014;
Cass. S.U. n. 9558/2018; Cass. S.U. n.
33679/2018; Cass. S.U. n. 34476/2019);

6.3. le richiamate condizioni non ricorrono,
all’evidenza, nella fattispecie perché il fatto storico, il cui accertamento è
stato demandato dal giudice del merito, è stato esaminato dalla Corte
territoriale;

7. la ricorrente, inoltre, nel sostenere che «il
mancato riconoscimento di una anzianità di così molti anni doveva e deve
necessariamente portare ad una differenza retributiva peggiorativa», mostra di
non comprendere la ratio della sentenza rescindente e della pronuncia della
Corte di Giustizia perché il peggioramento retributivo vietato dalla Direttiva 77/187 CEE può sussistere solo qualora
emerga che la retribuzione goduta presso l’ente di provenienza fosse superiore
a quella liquidata dal cessionario;

8. il ricorso, anche nella parte in cui denuncia la
violazione dell’art. 117 Cost. in relazione
all’art. 6 della CEDU, finisce
per rimettere in discussione il principio di diritto affermato dalla pronuncia
rescindente che, resa dopo l’intervento della Corte di Giustizia e della Corte
E.D.U. (la sentenza è stata pubblicata il 18 luglio 2012, successivamente alla
pubblicazione della sentenza Agrati ed altri contro Italia del 7 giugno 2011),
ha ribadito l’efficacia retroattiva dell’art. 1
della legge n. 266/2005, ha richiamato i quattro interventi del Giudice delle
leggi, che hanno escluso profili di illegittimità costituzionale della norma di
interpretazione autentica; ha ritenuto che il complesso normativo fosse,
appunto, costituito dalle leggi n. 124/1999 e 266/2005 e che, sulla base del diritto
eurounitario, come interpretato dalla Corte di Lussemburgo, la domanda potesse
trovare accoglimento solo nell’ipotesi di accertato peggioramento retributivo
sostanziale;

8.1. a norma dell’art.
384, primo comma, cod. proc. civ., l’enunciazione del principio di diritto
vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente
preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o
di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tener conto di
eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni
Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l’esattezza del
principio affermato dal giudice di legittimità (cfr. fra le tante Cass. n.
11290/1999; Cass. n. 16518/2004; Cass. n. 23169/2006; Cass. n. 17353/2010;
Cass. n. 1995/2015);

8.2. dall’irretrattabilità del principio di diritto
discende che la Corte di Cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso
la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare muovendo dalla
regula iuris in precedenza enunciata, perché l’efficacia vincolante, che si
estende anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto
di giudicato implicito interno (Cass. n. 17353/2010 e Cass. n. 20981/2015), viene meno solo qualora la
norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pronuncia rescindente, sia
stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta
inapplicabile per effetto di ius superveniens (cfr. fra le tante Cass. n.
20128/2013; Cass. n. 13873/2012; Cass. n. 17442/2006);

8.3. tali ultime condizioni non ricorrono nel caso
di specie, perché le sentenze della Corte EDU successive a quella Agrati ne
hanno ribadito il principio e, pertanto, il quadro normativo è rimasto immutato
rispetto a quello apprezzato dalla sentenza rescindente, che ha con chiarezza
indicato i limiti del giudizio di rinvio, subordinando l’accoglimento dell’originaria
domanda all’esito dell’accertamento di fatto, effettuato dalla Corte
territoriale in termini negativi per l’originaria ricorrente;

9. in via conclusiva il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile;

10. non occorre provvedere sulle spese del giudizio
di cassazione perché il Ministero non ha svolto attività difensiva, rimanendo
intimato;

11. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n.
228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n.
4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge
per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2021, n. 14691
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