Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 maggio 2021, n. 14677
Licenziamento collettivo, Grave crisi di mercato, Calo del
fatturato, Violazione dei criteri di scelta, Infungibilità delle posizioni
lavorative
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma confermava la pronuncia
del giudice di prima istanza che aveva respinto la domanda proposta da R. C.
nei confronti di A. C. s.p.a. volta a conseguire la declaratoria di
illegittimità del licenziamento collettivo intimato in data 22/12/2016.
Nel pervenire a tale convincimento la Corte di
merito osservava, in via di premessa, che in ragione della grave crisi di
mercato, del calo del fatturato e dell’incremento delle perdite, A. C. s.p.a.
aveva avviato una prima procedura di riduzione del personale in data 21/3/2016
per circa tremila lavoratori dislocati presso le sedi di Roma, Napoli e
Palermo, successivamente revocata con accordo sindacale del 31/5/2016.
Con comunicazione del 5/10/2016, in ragione del
complessivo aggravamento della situazione di crisi aziendale, la società aveva
avviato una ulteriore procedura di licenziamento collettivo ex lege n.223/91 che contemplava un rinnovato
progetto di ristrutturazione che prevedeva la chiusura dal dicembre 2016, dopo
la scadenza del contratto di solidarietà attivato a maggio, delle Divisioni 1 e
2 del sito di Roma (con conservazione della Business Unit “ricerche di
mercato”) e dell’intera unità produttiva di Napoli, considerato che queste
sedi riportavano in media, perdite mensili pari, rispettivamente, ad euro
785.000 ed euro 288.000.
La successiva trattativa sindacale aveva condotto ad
un accordo in data 22/12/2016 che prevedeva un rinvio del licenziamento sino al
31/1/2017 per l’unità di Napoli, ed il recesso immediato per gli addetti alla
sede romana. Si trattava di accordo sottoscritto da tutte le parti sociali, con
esclusione soltanto delle RSU di Roma, il cui atteggiamento contrario
all’accordo non era tuttavia ostativo, per la rappresentatività garantita dai
firmatari di tutti i lavoratori interessati.
Avuto riguardo alla critica formulata dalla
lavoratrice con riferimento alla violazione dei criteri di scelta di cui all’art.5 comma 1 L.223/91 per
avere l’azienda delimitato il bacino di comparazione dei dipendenti da
licenziare alla sola sede di Roma, pur sussistendo fungibilità di mansioni con
i lavoratori addetti ad altre sedi, il giudice del gravame osservava che
l’accertato raggiungimento dell’accordo sindacale aveva comportato, in coerenza
coi dettami di cui all’art.5
c.1 L.223/91, la legittima determinazione dei criteri di scelta diversi da
quelli stabiliti per legge. In coerenza con la previsione normativa, era da
reputarsi legittimo il rilievo conferito dalla parte datoriale alle esigenze
tecnico-produttive ed organizzative per la concentrazione della scelta del
personale in esubero presso le sedi indicate che, sotto altro versante, si
sottraeva alle critiche di parte attrice in base ai principi invalsi nella
giurisprudenza di legittimità alla cui stregua qualora il progetto di
ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad una unità produttiva o ad
uno specifico settore aziendale, la comparazione fra i lavoratori non deve
interessare l’intera azienda ma può avvenire anche nel solo settore interessato
alla ristrutturazione, purchè le ragioni siano enunciate nella comunicazione ex
art.4 comma 3 L.223/91,
così come verificatosi nella specie.
La Corte distrettuale rimarcava, poi, che la
distanza fra le unità soppresse o ridotte e quelle non interessate dal processo
di riorganizzazione (ubicazione ad almeno 500 km di distanza delle sedi non
interessate: Rende, Milano, Palermo e Catania) assumeva rilievo, in base ai
dicta della Suprema Corte secondo cui la rilevante distanza geografica fra le
unità produttive costituisce un indice di infungibilità delle posizioni
lavorative, era tale da legittimare la scelta di delimitare l’ambito di
selezione alla sola unità produttiva soppressa.
Ribadiva, quindi, la specificità del contenuto della
comunicazione iniziale della procedura, osservando che la vacanza di ulteriori
75 posti presso altre sedi aziendali – della quale si lamentava l’omessa
enunciazione da parte aziendale – era stata invece considerata dalla società
nella comunicazione del 5/10/2016 che aveva rimesso all’esame congiunto con le
parti sociali l’adozione di eventuali trasferimenti.
Con riferimento alla comunicazione conclusiva, il
giudice del gravame ne rilevava la conformità a diritto, giacchè l’ambito della
platea del personale in esubero era stato circoscritto, in coerenza con la
comunicazione di avvio della procedura, a tutti i dipendenti della sede di Roma
che operavano in modalità inbound presso le Divisioni 1 e 2; nell’ottica
descritta nessuna comparazione doveva essere elaborata con gli altri
collaboratori in servizio in modalità outbound presso la Business Unit
“Ricerche di mercato” e presso la Direzione Centrale, i quali fra
l’altro, espletavano mansioni obiettivamente infungibili con quelle del
personale esodato.
Insufficiente a dimostrare la fungibilità con gli
operatori inbound era la prospettazione di parte appellante che non consentiva
di superare la diversità e non omogeneità del servizio reso rispetto a quello
fornito in modalità outbound attestata anche dalle deposizioni testimoniali
acquisite; né la reclamante aveva specificamente dedotto che le modalità di
esecuzione erano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi dei
singoli collaboratori.
In tale prospettiva non poteva avere rilievo la
mancata comparazione con i lavoratori co.co.co . addetti alla struttura
Business Unit, deputata alle ricerche di mercato e indagini statistiche outbound,
rimasta estranea ai dichiarati esuberi, stante la diversità e non omogeneità
del servizio reso inbound rispetto a quello outbound.
Avverso tale decisione R. C. interpone ricorso per
cassazione sostenuto da quattro motivi.
Resiste con controricorso la società intimata.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt.4 c.9 L. 223/1991,
violazione e falsa applicazione dell’art.434 c.p.c.,
omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia e nullità della
sentenza per violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il
pronunciato. Si deduce che in sede di reclamo si era sottolineato come la
società, nella comunicazione di avvio della procedura, non avesse esplicitato
il criterio delle esigenze tecnico produttive, comunicando solo i punteggi di
anzianità di servizio e carichi familiari per i lavoratori che aveva deciso di
licenziare in anticipo, senza evidenziare il confronto dei licenziati con i 75
non licenziati sul sito di Roma. La pronuncia al riguardo sarebbe stata
“assente in violazione del principio della corrispondenza fra chiesto e
pronunciato”.
2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa
applicazione dell’art.13 L.
300 del 1970 e violazione dell’art.4 comma 3 L. 223/1991. Si
critica la pronuncia per non aver rilevato l’omessa informazione su trasferimenti
e strumenti di integrazione salariale in relazione alla possibilità di
trasferimento di 75 lavoratori, comunicata dalla società soltanto con la
lettera di licenziamento. Nel ritenere che gli eventuali trasferimenti
volontari a sedi non colpite da esubero presupponevano proprio l’intervenuto
licenziamento, che sarebbe stato revocato solo successivamente in sede protetta
ed a fronte di una conciliazione, si deduce che la Corte di merito avrebbe
confuso una logica ex ante – secondo cui “i trasferimenti devono essere
dichiarati esplicitamente come mezzo di riduzione del numero dei licenziamenti,
anche se condizionati ad esigenze aziendali ma non ad una conciliazione
tombale” – con una logica di controllo sul nesso causale che è
funzionalmente ex post.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art.4 comma 3 L.223/1991
Si ribadisce la contraddittorietà della motivazione
su trasferimenti e ammortizzatori sociali ritenuti contemporaneamente compatibili
o incompatibili con la situazione concreta: mentre per gli ammortizzatori
sociali si programmava la prosecuzione per Palermo, per Roma e Napoli se ne
deduceva l’insostenibilità.
Si prospetta la incompletezza della lettera di
apertura della procedura di licenziamento collettivo per essere state le
informazioni fornite da parte aziendale non complete
4. Con il quarto motivo è denunciata violazione
dell’art.5 comma 1 L.223/1991.
Si stigmatizza la medesima statuizione sotto il
profilo della illogicità ed irragionevolezza dei criteri di scelta applicati e
della affermata impossibilità di ovviare ai licenziamenti mediante
trasferimenti dei lavoratori.
Si lamenta che la Corte di merito abbia considerato
effettivamente sussistenti i motivi addotti dalla società per giustificare la
delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta ai soli
dipendenti delle sedi coinvolte dalla procedura di licenziamento di cui è
causa, non avvedendosi della contraddittorietà delle ragioni addotte da A. C.
onde delimitare l’ambito territoriale dei licenziamenti.
5. I motivi, che possono congiuntamente trattars:
per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, non sono
fondati. Nella verifica di legittimità del licenziamento collettivo attuato da
A. C. s.p.a., in esito alla comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016, con
intimazione di recesso ai singoli lavoratori delle Divisioni 1 e 2 di Roma con
lettere del 22 dicembre 2016 e decorrenza dal 30 dicembre 2016, ritenuta dalla
sentenza della Corte d’appello di Roma ed impugnata in base agli enunciati
motivi, giova muovere da un principio orientativo unanimemente condiviso: la
cessazione dell’attività è scelta dell’imprenditore, che costituisce esercizio
incensurabile della libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost. (Cass.
22 dicembre 2008, n. 29936).
Sicché, la procedimentalizzazione dei licenziamenti
collettivi che ne derivino, secondo le regole dettate per il collocamento dei
lavoratori in mobilità dall’art.
4 I. 223/1991, applicabili per effetto dell’art. 24 della stessa legge,
ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività di
tale scelta (Cass. 22 marzo 2004, n. 5700; Cass. 6 settembre 2019, n. 22366).
E la previsione degli artt. 4 e 5 I. cit. di una
puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento
datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento
innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato
ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa
imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante
alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione
e consultazione secondo una . metodica già collaudata in materia di
trasferimenti di azienda; da ciò discende che i residui spazi di controllo
devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi
di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell’operazione
(compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato
ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso): con la conseguente
inammissibilità, in sede giudiziaria, di censure intese a contestare specifiche
violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5, senza fornire la
prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni
sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra
i lavoratori, che investano l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla
presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione
dell’attività produttiva (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; Cass. 3 marzo 2009, n. 5089; Cass. 26 novembre
2018, n. 30550).
7. Sulla base di questa premessa occorre allora
scrutinare la legittimità dell’operazione compiuta da A. C. s.p.a., che, dopo
una prima procedura, avviata con la comunicazione del 21 marzo 2016,
riguardante 2.988 lavoratori in esubero dislocati presso le sedi di Palermo,
Roma e Napoli e revocata per accordo con le organizzazioni sindacali il 31
maggio 2016, ha aperto la procedura in esame, a seguito di un peggioramento
della crisi nei siti di Roma e Napoli.
E ciò essa ha disposto con la suddetta comunicazione
del 5 ottobre 2016, che ha illustrato le ragioni che rendevano necessario il
licenziamento di 1.666 lavoratori delle Divisioni 1 e 2 di Roma e di tutti gli
845 dell’unità produttiva di Napoli, con applicazione dei criteri di scelta per
comparazione del personale operante con profilo equivalente all’interno di
ciascuno dei predetti siti interessati dagli esuberi: così limitandone la
platea alle due divisioni romane e all’unità produttiva partenopea e applicando
i criteri di scelta per comparazione del personale operante con profilo
equivalente all’interno di ciascuno dei siti.
8. Va subito detto che, in applicazione del
principio generale suenunciato, le ragioni tecniche, organizzative e
produttive, salva la ricorrenza delle ipotesi sopra indicate, non possono
essere sindacate né risulta siano state oggetto di contestazione.
Le questioni che si pongono all’esame di questa
Corte attengono allora, in scansione logicamente sequenziale: a) alla
completezza informativa della comunicazione di apertura; b) alla legittimità di
individuazione della platea degli esuberi limitatamente a singole unità
produttive (per quel che qui interessa: le due divisioni romane), anziché in
riferimento all’intero complesso aziendale; c) all’individuazione e
applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori, anche in correlazione con la
fungibilità o meno delle loro mansioni.
9. Come noto, la comunicazione di apertura della
procedura, con la quale l’impresa manifesti la volontà di esercitare la facoltà
di procedere ad una riduzione del personale alle organizzazioni sindacali
aziendali e alle rispettive associazioni di categoria (art. 4, secondo comma I. 223/1991),
deve contenere le indicazioni prescritte dall’art. 4, terzo comma I. cit. E
segnatamente: a) i motivi che determinano la situazione di eccedenza; b) i
motivi tecnici, organizzativi e produttivi per i quali non risultino possibili
rimedi alternativi ai licenziamenti; c) il numero, la collocazione aziendale e
i profili professionali del personale eccedente e di quello abitualmente impiegato; d) i tempi di attuazione del programma
di riduzione del personale e delle eventuali misure programmate per
fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dei licenziamenti.
Essa deve, infatti, adempiere compiutamente
l’obbligo di fornire le informazioni specificate dal citato art. 4, terzo comma, così da
consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e
consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale,
valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero:
sicché, l’inadeguatezza delle informazioni, che abbia potuto condizionare la
conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le
previsioni del medesimo art. 4,
determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a
norma dell’art. 4,
dodicesimo comma (Cass. 16 gennaio 2013, n. 880;
Cass. 3 luglio 2015, n. 13794). Ciò che comunque conta, in funzione
dell’esercizio del controllo dell’iniziativa imprenditoriale concernente il
ridimensionamento dell’impresa (non più, come detto, esercitato ex post dal
giudice, ma) devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, è l’idoneità in
concreto della comunicazione a renderle effettivamente edotte degli aspetti
individuati nel citato art.4,
terzo comma, in modo da escludere maliziose elusioni dei poteri di controllo
delle organizzazioni sindacali (Cass. 18 novembre
2016, n. 23526, con richiamo, tra le altre, di: Cass. 6 ottobre 2006, n.
21541; Cass. 21 febbraio 2012, n. 2516).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha
accertato la completezza della comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016,
ritenendola esaustiva per la sua ampia articolazione nei punti specificamente
enumerati, sulla scorta di argomentazione congrua, a sostegno di
un’interpretazione, riservata esclusivamente al giudice di merito,
assolutamente plausibile (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 3 settembre
2010, n. 19044), neppure censurata con indicazione dei canoni interpretativi
violati, né tanto meno di specificazione delle ragioni né del modo in cui si
sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14
giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350), così censurando il
risultato interpretativo in sé (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio
2016, n. 10891), pertanto insindacabile in sede di legittimità.
10. In particolare, nella comunicazione in esame, A.
C. s.p.a. ha specificamente circoscritto il progetto di ristrutturazione e
ridimensionamento aziendale alle unità produttive di Roma e Napoli, indicando
analiticamente le ragioni ostative ad un’estensione della comparazione al
personale impiegato presso le unità produttive non toccate da tale progetto
(Milano, Palermo, Catania, Rende): con delimitazione pertanto delta platea
“al personale operante con profilo equivalente all’interno di ciascuno dei
siti produttivi interessati dagli esuberi (Roma e Napoli), in ragione della
chiusura totale delle Divisioni 1 e 2 (per quanto riguarda Roma) e dell’intero
sito (per quanto riguarda Napoli)”. In particolare, in essa si legge che
“la società ritiene incompatibile con l’attuale situazione di grave
criticità aziendale l’applicazione dei criteri di scelta all’intero organico
aziendale”; e ciò per “la distanza geografica di queste due unità
produttive dagli altri siti aziendali”, che renderebbe “insostenibile
sul piano economico, produttivo e organizzativo l’applicazione dei criteri di
scelta sull’intero organico aziendale, richiedendo tempi di attuazione e delle
modifiche organizzative talmente complesse da compromettere il regolare
svolgimento dei servizi … finendo per aggravare ulteriormente la situazione
di squilibrio strutturale in cui versa l’azienda … “; inoltre,
l’impossibilità di una comparazione del personale a livello dell’intera azienda
è giustificata dall’avere “ciascun sito produttivo … caratteristiche
tali da rendere infungibili le risorse ivi presenti con il personale collocato
presso le altre sedi, in quanto le commesse … non possono essere agevolmente
spostate da un sito all’altro (e quindi da una popolazione professionale
all’altra) senza l’attuazione di interventi formativi, organizzativi e
logistici incompatibili con la situazione economica in cui versa
l’azienda” (come si legge a pag.9 della sentenza).
È noto che l’individuazione dei lavoratori da
licenziare debba avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed
organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei Criteri previsti da
contratti collettivi o con accordi sindacali, ovvero, in mancanza, dei criteri,
tra loro concorrenti, dei carichi di famiglia, di anzianità e (nuovamente)
delle esigenze tecnicoproduttive ed organizzative (art. 5 I. 223/1991).
Sicché, “in via preliminare, la delimitazione
del personale “a rischio” si opera in relazione a quelle esigenze
tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la
comunicazione di cui all’art.
4, terzo comma cit.; è ovvio che, essendo la riduzione di personale
conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e
qualitativamente ottimale dell’impresa per addivenire al suo risanamento, dalla
medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea
del personale da selezionare. Ma va attribuito il debito rilievo anche alla
previsione testuale della norma secondo cui le medesime esigenze tecnico
produttive devono essere riferite al “complesso aziendale”; ciò in
forza dell’esigenza di ampliare al massimo l’area in cui operare la scelta,
onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di discriminazioni a danno
del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più
si restringe l’ambito della selezione … La delimitazione dell’ambito di
applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque
consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che
si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, terzo comma, quando
cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può
essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori
oggetto della scelta. Per converso, non si può, invece, riconoscere, in tutti i
casi, una necessaria corrispondenza tra il dato relativo alla
“collocazione del personale” indicato dal datore nella comunicazione
di cui all’art. 4 e la
precostituzione dell’area di scelta. Il datore infatti segnala la collocazione
del personale da espungere (reparto, settore produttivo … ), ma ciò non
comporta automaticamente che l’applicazione dei criteri di scelta coincida
sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori interessati siano sempre
esclusi dal concorso con tutti gli altri, giacché ogni delimitazione dell’area
di scelta è soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze
tecnico produttive ed organizzative che la giustificano. … ove il datore,
nella comunicazione di cui all’art.
4, indicasse che tutto il personale in esubero è collocato all’interno di
un unico reparto, essendo solo questo oggetto di soppressione o di
ristrutturazione, non sarebbe giustificato limitare l’ambito di applicazione
dei criteri di scelta a quegli stessi lavoratori nel caso in cui svolgessero
mansioni assolutamente identiche a quelle ordinariamente svolte anche in altri
reparti, salva la dimostrazione di ulteriori ragioni tecnico-produttive ed
organizzative comportanti la limitazione della selezione. Ed ancora, quando la
riduzione del personale fosse necessitata dall’esistenza di una crisi che
induca alla riduzione, genericamente, dei costi, non vi sarebbe, quanto meno in
via teorica, alcun motivo di limitare la scelta ad uno dei settori
dell’impresa, e quindi la selezione andrebbe operata’ in relazione al complesso
aziendale. Con il che si può spiegare, nell’art. 5 citato, la duplicità –
altrimenti scarsamente comprensibile – del richiamo alle “esigenze tecnico
produttive ed organizzative”, perché, nella prima parte, esse si
riferiscono all’ambito di selezione, mentre, nella seconda parte, le medesime
esigenze concorrono poi nel momento successivo, con gli altri criteri … alla
individuazione del singolo lavoratore (salvo che non operino altri criteri
concordati con i sindacati). … pertanto, va dato rilievo non alla categoria
di inquadramento, ma al profilo professionale … “(Cass. 19 maggio 2005, n. 10590, che ha ritenuto
corretta la soluzione della Corte di appello di Roma di valorizzazione
dell’accordo sindacale nella parte in cui aveva individuato l’ambito dei
reparti interessati dall’eccedenza di personale, con accertamento in fatto
dell’inesistenza di posizioni lavorative fungibili e conseguente esclusione
della possibilità di comparazione anche con gli altri operai, siccome in
possesso di una diversa professionalità).
11. Nella prospettiva così prefigurata, questa Corte
ha affermato, con indirizzo interpretativo consolidato: a) la legittima
delimitazione della platea, qualora il progetto di ristrutturazione si
riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, ben potendo le esigenze
tecnico-produttive ed organizzative costituire criterio esclusivo nella
determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purché il datore
indichi nella comunicazione prevista dall’art.4, terzo comma citato sia
le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in
questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento
ad unità produttive vicine, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali
di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. 9 marzo 2015, n. 4678; Cass. 12 settembre 2018, n. 22178; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387); b) la funzione
dell’accordo sindacale (che ben può essere concluso dalla maggioranza dei
lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li
rappresentino, senza che occorra l’unanimità) di determinazione negoziale dei
criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, nella regolamentazione delegata
dalla legge (come evidenziato dalla sentenza Corte
Cost. 22 giugno 1994, n. 268), dovendo rispettare non solo il principio di
non discriminazione (art. 15
I. 300/1970), ma anche il principio di razionalità, sicché i criteri
concordati devono avere caratteri di obiettività e di generalità, oltre che di
coerenza con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori (Cass. 20 marzo 2013, n. 6959; Cass. 5 febbraio 2018, n 2694); c) la legittima
limitazione della platea dei lavoratori interessati, qualora il progetto di ristrutturazione
aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno
specifico settore dell’azienda, agli addetti ad essi sulla base soltanto di
oggettive esigenze aziendali, purché siano dotati di professionalità
specifiche, infungibili rispetto alle atre (Cass.
11 luglio 2013, n. 17177; Cass. 12 gennaio
2015, n. 203; Cass. 1 agosto 2017, n. 19105; Cass.
11 dicembre 2019, n. 32387).
Ebbene, nel caso di specie, la Corte capitolina, con
argomentazione congrua, articolata e attenta ad ogni sviluppo della fase
negoziale (così risultando la sua interpretazione insindacabile in sede di
legittimità, per le ragioni più sopra illustrate in riferimento alla
comunicazione di apertura), ha accertato la conclusione di un accordo della
società datrice con le organizzazioni sindacali sulla “limitazione di
applicazione dei criteri legali alle sole sedi da sopprimere di Roma e di
Napoli, meglio specificandolo come legittima determinazione di criteri di
scelta diversi da quelli stabiliti per legge, e, in particolare, il legittimo
rilievo soltanto alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del
complesso aziendale, senza considerare i criteri del carico di famiglia e
dell’anzianità di servizio, così limitando la scelta ad un solo settore o ad
una sola o più sedi e non con riferimento a tutti i dipendenti in servizio
nell’azienda: in corrispondenza con quanto comunicato nella lettera di apertura
(“Si precisa sin d’ora che i criteri di scelta saranno applicati
comparando il personale operante con profilo equivalente all’interno di
ciascuno dei siti produttivi interessati dagli esuberi (Roma e Napoli), in
ragione della chiusura totale delle Divisioni 1 e 2 (per quanto riguarda Roma)
e dell’intero sito (per quanto riguarda Napoli”).
E ciò in applicazione del principio, secondo cui il
meccanismo previsto dagli artt.
5 e 24 I. 223/1991 (in
base ai quali i criteri di selezione del personale da licenziare, ove non
predeterminati secondo uno specifico ordine stabilito da accordi collettivi,
devono essere osservati in concorso tra loro), se impone al datore di lavoro
una loro valutazione globale, non esclude tuttavia che il risultato comparativo
possa essere quello di accordare prevalenza ad uno e, in particolare, alle
esigenze tecnicoproduttive, essendo questo il criterio più coerente con le
finalità perseguite attraverso la riduzione del personale: sempre che
naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la
cui esistenza sia provata in concreto
dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie (Cass. 19 maggio 2006, n. 11886).
Inoltre, la Corte d’appello ha ritenuto che tale
accordo non sia discriminatorio, né contrario a ragionevolezza (Cass. 20 marzo 2013, n. 6959).
Non appare poi corretto il riferimento, pure
adombrato, ad una sorta di identificazione “fotografica” dei
dipendenti prescelti, posto che essa si configura nell’ipotesi, qui non
ricorrente, di una comunicazione datoriale contenente soltanto i nomi dei
licenziandi e le relative qualifiche, un semplice cenno a precedenti incontri
con le organizzazioni sindacali, solo marginalmente relativi ai motivi tecnici
della necessaria riduzione, in violazione delle dettagliate prescrizioni,
funzionali alla valutazione da parte sindacale dell’opportunità di chiedere
l’esame congiunto della situazione e dei possibili rimedi (Cass. 30 ottobre 1997, n. 10716; Cass. 29 dicembre 2004, n. 24116).
Benché la questione in esame potesse già ritenersi
risolta, la Corte capitolina si è tuttavia onerata di rispondere alla doglianza
di non ragionevolezza della limitazione della platea dei lavoratori da
licenziare. E ciò ha fatto, sempre con argomentazioni adeguate e coerenti con
la fattispecie in esame e i principi di diritto regolanti la materia, sul
ravvisato presupposto della distanza geografica (oltre cinquecento chilometri)
di queste due unità produttive dagli altri siti aziendali (criterio ritenuto
sufficiente da: Cass. 31 luglio 2012, n. 13705),
combinato con quello della infungibilità delle mansioni.
Secondo l’insegnamento giurisprudenziale di
legittimità sopra richiamato, qualora la ricorrenza delle effettive ragioni
tecnico-produttive e organizzative sia stata giustificata (e comunicata), la
delimitazione della platea è legittima, ove appunto non sia trascurato, nella
scelta dei lavoratori impiegati nel sito soppresso o ridotto, “il possesso
di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà
organizzative” (così: Cass. 11 luglio 2013,
n. 17177, in motivazione con ampi richiami di precedenti conformi; cui
adde: Cass. 19 maggio 2005, n. 10590; Cass. 9 marzo 2015, n. 4678; Cass. 12 settembre 2018, n. 22178). Nel caso di
specie, l’infungibilità delle mansioni è stata individuata nella peculiarità di
ogni sito produttivo, in ragione delle commesse trattate (in particolare:
Trenitalia, Eni), ognuna esigente una diversa e specifica formazione: dovendo
il personale inbound avere una conoscenza della committente, tale da porlo in
grado di rispondere alle domande della clientela telefonica, specificamente
calibrate sul servizio reso, né consistendo l’attività di addetti al settore
interno, appunto inbound, in una omogenea e neutrale ricezione di telefonate. E
ciò per l’impossibilità di un loro agevole spostamento dall’uno all’altro sito
(e quindi da una popolazione professionale all’altra), senza l’attuazione di
interventi formativi, organizzativi e logistici incompatibili con la situazione
economica dell’azienda, in quanto “insostenibile sul piano economico,
produttivo e organizzativo, richiedendo tempi di attuazione e delle modifiche
organizzative talmente complesse da compromettere il regolare svolgimento dei
servizi … finendo per aggravare ulteriormente la situazione di squilibrio
strutturale in cui versa l’azienda … “: per giunta, tra sedi aventi regimi
di orario molto diversificati (dal tempo parziale da quattro a sei ore, al
tempo pieno). Occorre poi osservare come l’esigenza formativa di ogni
lavoratore, se comporti, da una parte, un costo indubbio per l’azienda, induca,
dall’altra, per il primo l’acquisizione di un bagaglio di conoscenze e di
esperienze nuovo, che ne diversifica e incrementa la professionalità, così
rendendolo idoneo a mansioni che non ‘sono più omogenee alle precedenti svolte.
Sicché, l’equivalenza delle mansioni, tale da
configurare un mero passaggio indifferenziato tra lavoratori su diverse
commesse, neppure risponde a un dato di realtà.
In ogni caso, esso costituisce accertamento in
fatto, che il giudice di merito, cui è riservato in via esclusiva, ha compiuto
dandone adeguato conto, in esatta applicazione dei principi di diritto
enunciati: pertanto, esso è insindacabile in sede di legittimità. Infine,
neppure calza il riferimento, sempre nel caso in cui sia mancato l’accordo con
i sindacati sui criteri di scelta, all’irrilevanza dei costi aggiuntivi
connessi al trasferimento del personale già assegnato alle sedi soppresse
siccome argomento estraneo al tenore testuale dell’art. 5 I. 223/1991 (Cass. 11 luglio 2013, n. 17177; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387).
Nel caso di specie, non si tratta, infatti, di
singoli e ben individuati trasferimenti personali, bensì di 1.666 lavoratori, e
quindi di un trasferimento collettivo, il quale presuppone una procedura
concordata in sede sindacale con formazione di graduatorie redatte in base a
criteri predeterminati (Cass. 23 novembre 2010
n.23675; Cass. 19 marzo 2014 n.6325); ma
le organizzazioni sindacali neppure si sono mostrate interessate alle misure
organizzative (anche trasferimenti, se compatibili con le esigenze aziendali),
per le quali la società aveva dichiarato la propria disponibilità (al punto V
della comunicazione di apertura del 5 ottobre 2016), non raccolta dalle prime.
L’alternativa prospettata (anche se poi non
concretamente praticata dai lavoratori neppure nella limitata forma proposta
dall’impresa di disponibilità, comunicata con la lettera di recesso, di
revocare, in via collaborativa per ridurre sia pure minimamente l’impatto
sociale, fino a settantacinque licenziamenti nei confronti dei lavoratori
richiedenti per iscritto di essere trasferiti presso i siti di Catania, di
Rende o di Milano: risultati soltanto diciassette) .è stata rappresentata, per
l’entità della sua dimensione, fin dalla comunicazione di apertura della
procedura, come insostenibile sul piano economico, produttivo e organizzativo,
siccome esigente tempi di attuazione e modifiche organizzative talmente
complesse da compromettere il regolare svolgimento dei servizi, con
aggravamento ulteriormente della situazione di squilibrio strutturale
dell’azienda.
Sicché, di fronte ad una situazione, comunicata in
modo esplicito ed esauriente alle organizzazioni sindacali e con le stesse
negoziata, talmente grave da pregiudicare la stessa sostenibilità dell’attività
d’impresa e quindi da comportarne la cessazione, qualora diversamente
affrontata, risulta inammissibile (come anticipato all’esordio del ragionamento
motivo) ogni censura intesa ad investire l’autorità giudiziaria di un’indagine
sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione
dell’attività produttiva (né tanto meno di ragioni per una diversa allocazione
delle commesse nell’ambito della propria organizzazione territoriale), senza
fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle
organizzazioni sindacali e di un’adozione discriminatoria dei lavoratori delle
procedure: ciò davvero impingendo direttamente sulla libertà di iniziativa di
impresa, garantita dall’art. 41 Cost.
12. Il ragionamento argomentativo svolto ha il suo
coerente sviluppo finale nella conclusione di una corretta individuazione ed
applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori.
Infatti, la limitazione alla sola platea dei
lavoratori inbound delle due divisioni romane, per accordo sindacale e comunque
per ragionevole misura in riferimento alla verificata infungibilità delle
mansioni svolte dai predetti e con quelle del personale inbound delle altre
sedi, ha comportato l’adozione (comunicata sia in sede di apertura che di
chiusura della procedura di mobilità, a norma dell’art. 4, terzo e nono comma I.
223/1991: Cass. 28 ottobre 2009, n. 22825)
di un criterio (puntualmente indicato anche nelle modalità applicative, oltre
che nell’individuazione dei criteri di selezione del personale, anche nella
specificazione del suo concreto modo di operare: Cass.
19 settembre 2016, n. 18306; Cass. 10 ottobre 2018, n. 25100), diverso da
quelli legali operanti sull’intero complesso aziendale, consistente nelle
esigenze – tecnico-produttive e organizzative (legittimo, ancorché difforme da
quelli, perché rispondente a requisiti di obiettività e razionalità: Cass. 20 febbraio 2013, n. 4186; Cass. 28 marzo 2018, n. 7710; Cass. 10 ottobre
2018, n. 25100). Ed esso ne assorbe ogni altro, posto che, per effetto della
deliberata chiusura delle due divisioni romane, tutti i lavoratori addetti ad
esse sono stati licenziati, ad eccezione di quarantaquattro lavoratrici madri,
per il divieto posto dall’art. 54
d.Ig. 151/2001.
In definitiva, al lume delle superiori
argomentazioni, che assorbono ogni doglianza anche con riferimento alla dedotta
violazione della disciplina introdotta dal d. Igs.
n.81/2015, il ricorso è respinto.
La regolazione delle spese inerenti al presente
giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo
liquidata.
Trattandosi
di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 ricorrono le
condizioni per dare atto – ai sensi del comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002 – della
sussistenza dei presuppcsti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per
esborsi ed euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
ove dovuto.