La tempestività della contestazione disciplinare va valutata in relazione al momento in cui il datore di lavoro ha avuto una conoscenza certa del reato ascritto al dipendente, essendo insufficiente la sola informazione di garanzia.
Nota a Cass. 7 aprile 2021, n. 9313
Sonia Gioia
In tema di procedimento disciplinare, ai fini della decorrenza del termine per la contestazione dell’addebito, assume rilievo esclusivamente il momento in cui il datore di lavoro abbia acquisito una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare mediante la contestazione, che può essere considerata tardiva solo laddove la società datrice sia rimasta “ingiustificatamente inerte”, pur essendo in possesso degli elementi necessari per procedere. Sicché tale termine non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione 7 aprile 2021, n. 9313, in riforma della pronuncia di merito (App. Bari n. 1757/2018) che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato da un ente pubblico (INPS) ad un lavoratore, coinvolto in un procedimento penale, per violazione del principio di tempestività e immediatezza della contestazione.
Nello specifico, secondo la Corte distrettuale, il dies a quo per la valutazione della prontezza dell’intervento disciplinare doveva essere individuato, non nel momento in cui il Pubblico Ministero aveva esercitato l’azione penale mediante la richiesta di rinvio a giudizio (come sostenuto dall’INPS), ma già a partire dalla ricezione, da parte dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari (c.d. UPD), della comunicazione dell’informazione di garanzia, in quanto dotata di “tutti gli elementi utili ai fini del tempestivo esercizio dell’azione disciplinare”.
Al riguardo, la Cassazione ha precisato che, ai fini della contestazione del fatto, “è necessaria una notizia ‘circostanziata’ dell’illecito ovvero una conoscenza certa, da parte dei titolari dell’azione disciplinare, di tutti gli elementi costitutivi dello stesso”, che consenta, cioè, di formulare l’addebito in maniera puntuale e precisa, senza richiedere ulteriori accertamenti fattuali. Ciò, allo scopo di consentire al dipendente di comprendere l’accusa e approntare un’adeguata difesa (v., fra le tante, Cass. n. 32491/2018; Cass. n. 21193/2018; Cass. n. 16707/2018).
Tali caratteristiche, secondo la Corte, non possono essere rinvenute esclusivamente nel contenuto, per quanto puntuale, di una informazione di garanzia (ex art. 369 c.p.p.), altrimenti la contestazione “verrebbe a dipendere soltanto dalla denuncia di un determinato soggetto, in assenza del benché minimo riscontro in termini quantomeno di fumus di fondatezza della stessa”.
L’informazione di garanzia, infatti, pur dovendo indicare le norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto, è un atto che prelude ad una successiva attività di indagine e non ne presuppone alcuna già svolta, diversa dall’acquisizione della notizia criminis mediante la denuncia, ed è inviata alla persona sottoposta alle indagini (e alla persona offesa) esclusivamente in occasione del compimento di un’attività investigativa a cui ha diritto di partecipare il difensore, al fine di consentire all’indagato di farsi assistere dal legale di fiducia, ove ritenga di avvalersi di tale facoltà.
Pertanto, dal momento che la sola denuncia non (ancora) supportata da altri elementi istruttori “non è tale da consentire una completa ed autonoma valutazione in sede disciplinare né può consentire allo stesso incolpato un completo ed effettivo esercizio del diritto di difesa”, il dies a quo per la valutazione della tempestività dell’azione disciplinare va individuato, non nel momento in cui il datore di lavoro ha conoscenza dell’informazione di garanzia, ma da quando questi ha acquisito una piena cognizione del fatto contestato.
Nel caso di specie, la Corte ha cassato, con rinvio ad altro giudice in diversa composizione, la pronuncia di merito per aver fatto errata applicazione dei principi soprarichiamati e per aver ritenuto il licenziamento viziato anche per omessa audizione, nel corso del procedimento disciplinare, del dipendente che aveva chiesto uno spostamento dell’incontro per un impedimento a comparire per ragioni di salute.
In relazione a tale ultimo aspetto, la Corte, in linea con le doglianze dell’INPS, ha ribadito che la società datrice ha l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore di un differimento dell’audizione a difesa solo laddove la stessa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile, come nel caso di una “patologia così grave da risultare ostativa all’esercizio assoluto del diritto di difesa, dovendosi ritenere che le altre malattie non precludano all’incolpato altre forme partecipative” (v., ex multis, Cass. n. 15515/2019; Cass. n. 6555/2019; Cass. n. 5314/2017, annotata in q. sito da F. DURVAL).