Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 maggio 2021, n. 20928

Reati tributari, Sostituto d’imposta, Omesso versamento
ritenute fiscali su redditi di lavoro dipendente, Soglia di punibilità, Somme
escluse dal computo, Certificazioni non consegnate, Redditi non pagati
nell’anno

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza in data 9.1.2020 la Corte di Appello
di Caltanissetta ha integralmente confermato la pronuncia resa all’esito del
primo grado di giudizio dal Tribunale di Enna che ha condannato A.B. alla pena
di sei mesi di reclusione, ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 10 bis d. Igs. 74/2000 per
omesso versamento nel termine previsto ex lege, in qualità di legale
rappresentante della B. s.r.I., delle ritenute, quale sostituto di imposta,
sulle retribuzioni versate ai propri dipendenti riferite all’anno 2013 nella
misura risultante dalla certificazione rilasciata ai sostituiti di € 230.620,
30 superiore alla soglia di punibilità.

2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha
proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione
articolando quattro motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.

2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al
vizio di violazione di legge riferito all’art. 10 bis d. Igs. 74/2000 e al
vizio motivazionale, che l’affermazione di responsabilità si fondi
esclusivamente su quanto attestato nei Modelli 770 semplificati prodotti dalla
pubblica accusa, sebbene venga con motivazione soltanto apparente affermata la
sussistenza di ulteriori elementi documentali di riscontro, dei quali manca,
invece, qualsiasi indicazione.

Conseguentemente, in difetto di alcun elemento
concreto che attesti la consegna da parte del sostituto di imposta delle
certificazioni relative alle ritenute operate ai “sostituiti”,
neppure evincibile dall’ammissione dell’omesso versamento da parte
dell’imputato che mai ha dichiarato di aver consegnato la suddetta
documentazione ai propri dipendenti, non può, secondo la difesa, ritenersi
sussistente l’elemento materiale del reato in contestazione

2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al
vizio di violazione di legge riferito all’art. 10 bis d. Igs. 74/2000 e al
vizio motivazionale, la sussistenza dell’elemento soggettivo in ragione della
grave crisi economica, con ricorrenti carenze di liquidità, attraversata
dall’azienda che aveva determinato l’impossibilità di adempiere agli obblighi
tributari, nonché come affermato dai dipendenti escussi causato un ritardo
anche nel versamento delle retribuzioni dovute ai dipendenti.

Ritenendo che suddetta crisi integrasse una causa
sopravvenuta ed incolpevole, nessun rimprovero poteva essere mosso, secondo
quanto eccepito dalla difesa, all’imputato che aveva ritenuto,
nell’impossibilità di fronteggiare le varie partite di debito, di privilegiare
il pagamento dei salari rispetto al pagamento delle imposte.

2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al
vizio di violazione di legge riferito all’art. 131
bis cod. pen. e al vizio motivazionale, che all’esito dell’espletata
istruttoria e, segnatamente dalla relazione del consulente della difesa, era
emerso un debito di gran lunga inferiore rispetto a quello indicato
nell’imputazione in € 279.552,39, dovendo da esso scomputarsi non solo le
sanzioni e gli interessi, così arrivandosi alla cifra di € 230.620,30, ma
altresì gli importi corrispondenti alle retribuzioni non pagate in quello
stesso anno di imposta pari ad € 45.255,47, di talché il debito effettivo per
le ritenute non versate ammontava ad € 185.364, 47, dal quale andava
ulteriormente scomputato in credito di imposta di € 22.992,36 maturato
dall’imputato. Lamenta che malgrado tali inequivoche risultanze la Corte di
Appello fosse incorsa in un macroscopico travisamento della prova, avendo
ritenuto che non potesse essere effettuata la compensazione della somma di €
45.255,83 in quanto mai riconosciuta, laddove, trattandosi di importo
corrispondente alle retribuzioni non versate, lo stesso avrebbe dovuto essere
sottratto, e non compensato, dalla cifra, al netto di sanzioni e di interessi,
di € 230.620,30: tale errore essendosi inevitabilmente riversato sull’entità
della somma complessivamente non versata, aveva portato ad un evidente vizio
motivazionale, ben più contenuto risultando lo scostamento dell’omesso
versamento dalla soglia di punibilità di € 150.000, ulteriormente riducibile in
considerazione della compensazione con il riferito credito di imposta, onde del
tutto censurabile deve ritenersi ad avviso della difesa il diniego della causa
di non punibilità per la particolare tenuità del fatto. si evidenzia peraltro
sul punto la manifesta illogicità della motivazione resa che, nel sottolineare
come l’imputato avesse sempre ostinatamente respinto le proprie responsabilità,
cadeva in aperta contraddizione con la precedente affermazione secondo cui
“l’imputato aveva sostanzialmente ammesso i fatti”.

2.4. Con il quarto motivo lamenta, in relazione al
vizio di violazione di legge riferito agli artt. 62-bise 175 cod. pen.e al vizio motivazionale, che le argomentazioni spese per negare le
attenuanti generiche e la non menzione della condanna siano soltanto apparenti.
Quanto alle prime contesta la mancanza di elementi positivi, avendo la difesa
invocato sia la grave crisi attraversata dalla società, sia la corretta
condotta processuale dell’imputato che aveva ammesso i fatti spiegando le
ragioni del proprio inadempimento, e contrappone al ritenuto non modesto
disvalore della condotta il travisamento della prova sull’entità dello
scostamento tra le somme non versate e la soglia di punibilità. Quanto invece
alla non menzione lamenta che la motivazione resa sia apodittica non venendo
spiegate le ragioni per le quali la concessione del beneficio non sarebbe
idonea a favorire il ravvedimento dell’imputato

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso, essendo risultato fondato il primo
motivo di impugnazione, deve essere accolto, con rinvio, e salvo l’assorbimento
di tutti i successivi motivi di censura.

Occorre premettere che, risultando gli omessi
versamenti delle trattenute sulle retribuzioni del personale dipendente
contestati all’imputato in qualità di sostituto di imposta riferiti all’anno di
imposta 2013, trova applicazione la disposizione precettiva dell’art. 10 bis d. Igs. 74/2000 vigente
al momento dei fatti, ovverosia la versione precedente al testo introdotto a
seguito della entrata in vigore dell’art. 7, comma 1, lettera b), del d.
Igs. n. 158 del 2015, che puniva la condotta di “chiunque non
versa(va) entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione
annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione
rilasciata ai sostituiti”.

Mentre la disposizione nel testo attualmente vigente
prevede che la condotta penalmente rilevante si perfezioni con la sola
omissione del pagamento all’Erario degli importi delle somme, risultanti dalla
dichiarazione presentata dal sostituto di imposta – in quanto le stesse
risultino anche solo semplicemente “dovute sulla base della stessa
dichiarazione o dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, ampliando così
l’ambito della rilevanza penale della condotta, estendendola anche alla
fattispecie in cui vi sia stata solamente la dichiarazione del sostituto di
imposta e non anche il rilascio delle certificazioni ai sostituiti, secondo,
invece, la disposizione antecedente alla modifica legislativa, la semplice
attività di omissione del versamento delle imposte dovute sulla base della
dichiarazione presentata dal sostituto di imposta era penalmente irrilevante:
come infatti affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, definitivamente
sugellata dalla pronuncia a Sezioni Unite del 3 marzo 2017, n. 10509, il
delitto di omesso versamento di ritenute certificate presentava una componente
omissiva, rappresentata dal mancato versamento nel termine delle ritenute
effettuate, ed una precedente componente commissiva, consistente, a sua volta,
in due distinte condotte, costituite dal versamento della retribuzione con
l’effettuazione delle ritenute e dal rilascio ai sostituiti delle
certificazioni prima dello spirare del termine previsto per la presentazione
della dichiarazione quale sostituto d’imposta, con la significativa
precisazione che, essendo il rilascio delle certificazioni ai sostituiti di
imposta un elemento costitutivo del reato, esso non poteva essere surrogato
sotto il profilo probatorio o comunque dimostrato in sede giudiziale dall’avvenuta
presentazione da parte del sostituto del modello 770.

Di tale consolidato principio ermeneutico la Corte
peloritana non risulta tuttavia aver fatto buon governo, avendo ritenuto
sostanzialmente sufficiente, ai fini dell’affermato perfezionamento del reato,
la mera presentazione dei Modelli 770 semplificati prodotti dalla pubblica
accusa. Pur affermando in termini teorici l’inidoneità del solo contenuto della
dichiarazione di cui ai modelli suddetti con riferimento alla citata pronuncia
delle Sezioni Unite, non viene, però, fornita alcuna dimostrazione
dell’avvenuto rilascio al personale dipendente delle certificazioni attestanti
le ritenute operate dall’imputato quale sostituto di imposta: invero la
semplice menzione nella sentenza impugnata di “ulteriori elementi
documentali di riscontro” non chiarisce se sussista, né quale sia la
documentazione attestante la componente commissiva della condotta necessaria al
perfezionamento della fattispecie criminosa in contestazione, sembrando per
contro che il successivo passaggio relativo all’ammissione dell’omesso
versamento da parte del prevenuto, a riprova secondo i giudici del gravame
della sua colpevolezza, finisca con lo smentire l’avvenuta consegna della
suddetta documentazione ai sostituiti, trattandosi di circostanza sulla quale
costui non risulta aver reso alcuna dichiarazione. Né maggior fondamento riveste
ai fini della configurabilità della condotta penalmente rilevante la
deposizione, su cui fa leva la sentenza di primo grado, di una dipendente
dell’azienda che ha riferito in ordine all’omesso versamento delle trattenute,
dato questo certamente pacifico e ciò nondimeno insufficiente a delineare la
sussistenza della tipicità della condotta richiesta per la configurabilità del
reato.

Deve, infatti, rilevarsi che la disposizione in
ipotesi violata prevede, come detto, che la pars commissiva del reato in discorso
consista nell’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestati
gli importi trattenuti dal sostituto di imposta; in tale espressione, cioè nel
“rilascio”, ritiene il Collegio che non debba intendersi
esclusivamente la formazione, quand’anche perfezionatasi attraverso la loro
sottoscrizione, delle certificazioni in questione, ma sia comprensiva anche
dell’avvenuta loro esternazione rispetto alla stretta sfera di influenza del
redattore di esse attraverso la materiale consegna delle stesse ai rispettivi
destinatari.

Militano, del resto, a conferma di tale
interpretazione non soltanto il dato testuale appena riportato, ma altresì
argomenti di carattere logico funzionale: essendo, infatti le certificazioni in
questione finalizzate a consentire ai sostituiti di documentare il prelievo di
imposta da loro subito per opera del sostituto, è logicamente evidente che esse
assolvono la loro funzione solo in quanto siano concretamente pervenute nella
disponibilità del sostituito, dovendo ritenersi che le stesse anteriormente a
tale evento siano tamquam non essent.

La fondatezza del motivo di ricorso in esame – con
assorbimento dei motivi di impugnazione non esaminati – impone conseguentemente
il rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di
Caltanissetta

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo
giudizio ad altra Sezione della Corte dì appello di Caltanissetta.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 maggio 2021, n. 20928
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