Il divieto di assunzione a tempo indeterminato in assenza di una procedura concorsuale si applica anche alle società a partecipazione pubblica con la conseguenza che, in caso di nullità del contratto a termine, il lavoratore ha diritto ad una tutela soltanto risarcitoria.
Nota a Cass. 11 maggio 2021, n. 12421
Sonia Gioia
Il reclutamento di personale da parte di società a partecipazione pubblica, affidatarie di servizi pubblici, deve avvenire mediante l’esperimento delle procedure concorsuali o selettive previste dall’art. 35, D.LGS. 30 marzo 2001, n. 165 (c.d. Testo Unico del Pubblico Impiego), sicché la violazione di tali disposizioni, aventi carattere imperativo, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime imprese e il lavoratore interessato ha diritto esclusivamente al risarcimento del danno. Ciò, anche nei casi di accertamento giudiziale della nullità di contratti a termine stipulati con aziende municipalizzate o società a totale partecipazione pubblica.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione 11 maggio 2021, n. 12421 (difforme da App. Perugia n. 51/2016) in relazione al caso di una lavoratrice impiegata a tempo determinato presso una società in house che chiedeva l’accertamento della nullità del contratto a termine e la conseguente conversione in rapporto a tempo indeterminato.
In merito, la Corte distrettuale, nel confermare la pronuncia del giudice di prime cure, aveva dichiarato la nullità della clausola relativa al termine finale apposto al contratto di impiego, in quanto “generica e contradditoria” (ai sensi dell’art. 1, D.LGS. 6 settembre 2001, n. 368, applicabile ratione temporis), condannando la società al ripristino del rapporto di lavoro e al risarcimento del danno (liquidato in 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione) ed escludendo, per l’effetto, l’operatività del divieto di assunzione a tempo indeterminato in assenza di procedura concorsuale, sul presupposto che la società datrice non potesse essere qualificata quale pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 1, co. 2, D.LGS. n. 165/2001.
Al riguardo, la Cassazione ha precisato che l’assunzione di prestatori da parte di società che gestiscono servizi pubblici locali a partecipazione pubblica “sono obbligate al rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l’assunzione di personale dipendente”, dovendosi assicurare il rispetto del principio fondamentale in materia di reclutamento di lavoratori della Pubblica Amministrazione, vale a dire l’accesso mediante pubblico concorso (art. 97, co. 3, Cost.) anche nelle società che, per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente private, possono essere assimiliate, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici (Corte Cost. n. 29/2006).
La violazione delle procedure di evidenza pubblica per l’assunzione di manodopera nella Pubblica Amministrazione non può determinare la costituzione di rapporti di impiego a tempo indeterminato con i medesimi enti pubblici (c.d. tutela ripristinatoria) e il lavoratore interessato ha diritto al solo ristoro dei danni (c.d. tutela risarcitoria), la cui concreta quantificazione compete al giudice di merito (art. 36, co. 5, D.LGS. n. 165 cit.).
Ne consegue che, in caso di accertamento giudiziale della nullità di contratti a tempo determinato, nel settore pubblico è preclusa la conversione del rapporto a termine illegittimo in contratto a tempo indeterminato, attesa la prevalenza dell’interesse generale alla selezione pubblica imparziale e meritocratica del personale rispetto a quello del singolo prestatore (ex multiis, Cass. n. 25400/2020; Cass. n. 23580/2019; Cass. n. 21378/2018).
Nel caso di specie, la Cassazione, nel censurare la pronuncia di merito, ha statuito che, a fronte della nullità della clausola appositiva del termine finale al contratto di impiego, la dipendente non aveva diritto alla conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma soltanto al risarcimento del danno, non potendo trovare applicazione le regole sanzionatorie previste per il settore privato, considerata la natura “sostanzialmente pubblicistica” della società datrice.