Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 maggio 2021, n. 15121
Contratti di lavoro interinale, Conversione in rapporti di
lavoro subordinato a tempo indeterminato, Mancata osservanza dell’accordo
sindacale
Rilevato che
La Corte d’appello di Roma confermava la pronuncia
del giudice di prima istanza che, in parziale accoglimento delle domande
proposte da M.V.D. nei confronti della J.C. s.p.a., aveva accertato la mancata
osservanza da parte di quest’ultima dell’Accordo Sindacale siglato in data 25/2/2005
e dichiarato la intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato dal 3/2/2006, ordinando la riammissione in servizio dei
ricorrente e condannando la società alla , corresponsione di un’indennità pari
a 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Nel pervenire a tale convincimento la Corte
territoriale premetteva che il lavoratore era stato assunto in data 8/9/2000 in
qualità di operaio cat. E/3, prima con contratti di lavoro interinale e
successivamente, in virtù di due contratti a tempo determinato. Deduceva che il
lavoratore aveva prospettato la violazione da parte datoriale, dell’Accordo
sindacale siglato il 25/2/2005 con il quale la società si era obbligata a
convertire in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, quelli di almeno trenta
lavoratori, nel rispetto dei criteri di scelta costituiti da esigenze
tecnico-produttive ed organizzative, e dalla maggiore durata dell’attività
svolta alle dipendenze o comunque utilizzata dalla società; si era infatti
doluto the la società, in violazione dei criteri summenzionati, aveva accordato
preferenza nella conversione del contratto di lavoro, ad altri lavoratori
dotati di minore esperienza lavorativa in azienda.
Osservava la Corte, condividendo l’iter motivazionale
percorso dal primo giudice, che la prospettazione dell’originario ricorrente
aveva rinvenuto positivo riscontro alla stregua della medesima documentazione
prodotta da parte della società, essendo emerso che il personale cui era stata
riservata detta conversione contrattuale, possédeva il medesimo inquadramento
contrattuale ed una anzianità lavorativa inferiore a quella del D., laddove
nulla era stato dedotto da parte datoriale in ordine alle “esigenze
tecnico-organizzative”.
Avverso tale decisione interpone ricorso per
cassazione la J.C. s.p.a. sulla base di quattro rhotivi successivamente
illustrati da memoria ex art.380 bis c.p.c.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt.112, 115, 414 e 420 c.p.c. in relazione all’art.360 comma primo nn.3 e 4 c.p.c.
Ci si duole che la Corte distrettuale abbia ritenuto
che il lavoratore avesse contestato l’applicazione di entrambi i criteri
dell’accordo, ivi compreso quello attinente alle esigenze
tecnico-organizzative, erroneamente interpretando il ricorso introduttivo del
giudizio.
Si deduce la genericità della contestazione di
violazione dell’accordo sindacale sotto il profilo dei criteri di selezione del
personale, formulata dal D.; si osserva quindi che in mancanza di una valida
critica al criterio delle esigenze tecnico-organizzative e produttive poste a
fondamento dell’azione, la pronunzia impugnata era da ritenersi affetta da
error in procedendo perché, in violazione dei precetti sanciti dall’art.112 c.p.c., il giudicante aveva pronunciato
d’ufficio su eccezione che solo la parte avrebbe potuto proporre.
2. In via di subordine con il secondo motivo, si
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.112,
115, 414 e 420 c.p.c. in i relazione all’art. 360 comma primo nn.3 e 4 c.p.c.
Si assume che, anche ove si ritenessero impugnati
entrambi i criteri di cui all’accordo sindacale, la domanda attorea andrebbe
comunque rigettata essendo stato vulnerato il principio processuale alla cui
stregua “la parte che chiede al giudice un determinato provvedimento, è
tenuta ad allegare tutte le circostanze e gli elementi di fatto che
giustificano la proposizione della domanda”.
Si deduce che la mera affermazione di violazione dei
criteri previsti dall’accordo sindacale senza null’altro specificare con
riferimento al criterio delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative, non
era sufficiente ad integrare l’onere di allegazione richiesto dall’art. 414 c.p.c.
3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi
per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi
per le ragioni di seguito esposte.
Non può sottacersi, in via di premessa, il rilievo
circa la ricorrenza di profili di inammissibilità delle censure, connessi alla
tecnica redazionale adottata, che reca la mescolanza e la sovrapposizione di
mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi
contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 4,
c.p.c., così dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo
motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da … irredimibile
eterogeneità” (vedi ex plurimis Cass.
6/5/2016 n. 9228) e realizzando una negazione della regola della chiarezza
che comporta un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei
motivi, le parti concernenti le separate censure.
4. Deve, in ogni caso escludersi (con riferimento in
particolare al primo motivo) che sia configurabile nella statuizione impugnata,
un error in procedendo.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, il principio
di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, è da ritenersi violato ogni
qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri
uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum”
e “causa petendi”), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un
bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o
virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti (vedi ex
multis Cass. 3/7/2019 n. 17897).
E’ stato altresì affermato il principio, al quale si
intende dare continuità, in base al quale l’interpretazione della domanda
spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto
che una certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel “thema
decidendum”, tale statuizione, ancorché erronea, non può essere
direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il
giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione
debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione
non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima
motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si
configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico
relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (cfr. Cass.
13/8/2018 n.20718, Cass. 27/10/2015 n.21874).
L’interpretazione della domanda è, dunque, compito
del giudice di merito e implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione
– così come avviene per ogni operazione ermeneutica – ha il potere di
controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo
procedimento e della logicità del suo esito (vedi Cass. 14/5/2018 n.11631 ,
Cass. 10/9/2013, n. 20727; Cass. 9/9/2008 n. 22893),
ed il risultato di tale operazione che deve riguardare la valutazione
complessiva dell’atto (ex plurimis, vedi Cass. n. 20727/2013) non è sindacabile
in sede di giudizio di legittimità se congruamente motivato.
Nello specifico la Corte distrettuale ha proceduto
alla ricostruzione della domanda tramite la lettura complessiva dell’atto e la
valutazione delle conclusioni ivi rassegnate ritenendo – secondo un
procedimento logico congruamente motivato – che fosse stato puntualmente
censurato dal ricorrente il procedimento seguito dalla società, volto alla
individuazione del personale per il quale disporre la conversione del contratto
a termine in contratto a tempo indeterminato, sulla base del duplice criterio
enunciato in sede di accordo sindacale.
5. Al riguardo, la società lamenta ulteriormente
l’inadempimento da parte del ricorrente, agli oneri di allegazione sanciti dall’art.414 c.p.c. con riferimento alla. enunciazione
dei criteri di scelta indicati nell’accordo sindacale, che si assumevano
violati.
Anche sotto siffatto versante la censura non è
condivisibile.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, invero, i
dati fattuali, interessanti sotto diverso profilo la domanda attrice, devono
tutti essere esplicitati in modo esaustivo o in quanto fondativi del diritto
fatto valere in giudizio o in quanto volti ad introdurre nel giudizio stesso circostanze
di mera rilevanza istruttoria, non potendosi negare la necessaria circolarità,
per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di
contestazione ed oneri di prova; circolarità attestata dal combinato disposto
dell’art. 414 nn. 4 e 5 e dall’art. 416, 3^ comma, c.p.c. (cfr. al riguardo Cass.
17/4/2002 n.5526, Cass. S.U. 17/6/2004 n.11353, Cass.
4/10/2013 n. 22738).
In tale prospettiva, ed in applicazione dei
ricordati dicta, la Corte distrettuale ha congruamente interpretato l’atto
introduttivo del giudizio, qualificando come specifica l’indicazione del
criterio di scelta (esigenze tecnico-organizzative), alla quale non aveva corrisposto,
secondo l’onere gravante sulla parte convenuta ai sensi dell’art.416 c.3 c.p.c., la benché minima contestazione
da parte societaria, la quale aveva omesso di esplicare le ragioni
tecnico-organizzative che avevano presieduto alla assunzione del personale a
tempo indeterminato.
Quale argomento di chiusura, il giudice del gravame
ha quindi puntualmente osservato come il primo giudice avesse precisato che le
assunzioni di personale con minore anzianità del ricorrente avevano riguardato
lavoratori aventi il suo medesimo inquadramento contrattuale e come detta
statuizione non fosse stata censurata dalla società, dovendo in tal guisa
ritenersi circostanza acquisita, che anche il criterio delle ragioni
tecnico-organizzative – la cui violazione era stata puntualmente denunciata in
ricorso e non era risultata oggetto di specifica contestazione da parte
datoriale – era stato in concreto vulnerato.
In definitiva, sotto tutti i delineati aspetti, le
doglianze formulate dalla società non sono condivisibili e vanno pertanto,
disattese.
6. Gli ultimi due motivi, sotto il profilo di
violazione e falsa applicazione degli artt. 112,
115, 345 e 437 c.p.c. (terzo motivo) e di violazione e falsa
applicazione degli artt.112, 1362, 1363, 1364, 1371, 2697 e 2729 c.c.
(quarto motivo) in relazione all’art.360 comma
primo n.3 c.p.c., attingono la statuizione con la quale i giudici del
gravame hanno dichiarato inammissibile e, comunque, respinto la denuncia
formulata dalla società in grado di appello, in ordine alla inapplicabilità al
D. dell’accordo, perché riguardante un settore, il M.D., di cui il lavoratore non
faceva parte, essendo addetto al diverso settore P.
Si critica in particolare la statuizione con la
quale la Corte di ‘merito ha dichiarato inammissibille per novità, la
contestazione avanzata dalla società, sul rilievo che nello specifico non era
stata formulata una eccezione in senso stretto che soggiaceva ai limiti sanciti
dall’art.437 c.p.c., ma una eccezione in senso
lato che si confrontava con la allegazione da parte del ricorrente, di uno
degli elementi costitutivi del diritto affermato. Quanto alla reiezione della
medesima contestazione, si prospetta la violazione dei canoni ermeneutici
applicabili agli atti contrattuali, argomentandosi che i giudici di merito non
avrebbero conferito adeguato rilievo al criterio letterale al quale l’esegesi
giurisprudenziale conferisce invece, valenza prioritaria rispetto agli altri
canoni applicabili, soggettivi ed oggettivi.
Si deduce che l’accordo sindacale in oggetto, era da
reputarsi limitato al solo settore M.D. ed era ispirato “dalla
preoccupazione per i riflessi occupazionali derivanti dalla prossima riduzione
dì tale reparto”. Si fa – inoltre richiamo alla ulteriore clausola
negoziale secondo cui i contenuti dell’accordo sarebbero stati
“estensibili ad alcune particolari situazioni della Divisione P.” e
si osserva che, se le parti avessero voluto concludere un accordo applicabile
all’intero stabilimento, quindi sia alla divisione P. (cui apparteneva il
ricorrente), sia alla divisione M.D., detta clausola non avrebbe avuto alcuna
ragion d’essere.
7. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi
siccome connessi non sono meritevoli di accoglimento.
Ed invero, al di là di ogni considerazione inerente
alla contestazione avanzata dalla società con riferimento al dichiarato profilo
di novità della questione attinente alla sfera di applicabilità dell’Accordo
sindacale al solo settore M.D., e con specifico riferimento alla esegesi
dell’atto in concreto elaborata dai giudici del gravame, devono richiamarsi i
consolidati principi enunciati da questa Corte, in base ai quali è riservata al
giudice di merito l’interpretazione dell’accordo aziendale, in ragione della
sua efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti
collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della, Corte di
Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod.
proc. civ., come modificato dal d.lgs. n. 40
del 2006), sicché essa non è censurabile in sede di legittimità se non per
vizio di motivazione o per violazione di canoni ermeneutici (vedi Cass. n.. 2625 del 4/2/2010, Cass. 8/2/2010
n.2742, Cass. 15/2/2010 n.3459, Cass. 18/3/2016 n.5461 in motivazione).
A tale riguardo è stato altresì precisato che ai
fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente
l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria
la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo
e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato.
Né, per sottrarsi al sindacato, di legittimità, è
necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o
la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o
più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto
l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del
fatto che ne sia stata privilegiata un’altra.
Non è sufficiente, in definitiva, una semplice
critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera
prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a
quella adottata dal giudicante (vedi per tutte Cass. 22/2/2007 n.4178, Cass.6/6/2013 n. 14318, Cass. 10/2/2015 n.2465).
Tuttavia, è proprio questo quanto verificatosi nel
caso di specie.
La critica mossa all’interpretazione della
declaratoria contrattuale per come articolata è generica, in quanto difetta la
allegazione, con riferimento alla violazione dei canoni interpretativi, del
modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato,
così sostanziandosi nella mera allegazione di una diversa (e più favorevole)
interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante.
Essa si risolve, dunque, in una mera enunciazione di
natura contrappositiva, inidonea ad inficiare la solida e congrua
argomentazione elaborata dal giudice del gravame il quale, nell’esercizio della
attività ermeneutica ad esso riservata, aveva rimarcato come il tenore
letterale dell’Accordo in nessun modo specificasse che “l’obbligo di
conversione avrebbe riguardato solo ed , esclusivamente i lavoratori impegnati
nel M.D.C.”, precisando ulteriormente che la sua stessa attuazione aveva
riguardato anche lavoratori del reparto P.
8. In definitiva, sotto tutti i profili sinora
delineati, il ricorso non può ritenersi meritevole di condivisione.
La regolazione delle spese inerenti al presente
giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo
liquidata. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio
2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi dell’art. 13 DPR 115/2002 della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per
esborsi ed euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.