Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 giugno 2021, n. 15476
Rapporto di lavoro, Dipendente Inps, Mansioni di dirigente
responsabile dell’area vigilanza, Differenze retributive
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Milano confermava la
sentenza del Tribunale di Monza che aveva parzialmente accolto il ricorso
proposto da A.P., dipendente dell’INPS con la qualifica di ottimizzatore
(funzionario di posizione apicale, Area C4, poi C5), e condannato l’Istituto a
pagare in suo favore le differenze retributive per lo svolgimento dal gennaio
2003 al marzo 2006 e dall’aprile 2007 al luglio 2007 di mansioni riconducibili
a quelle di dirigente responsabile dell’area vigilanza (quantificate in euro
43.000,00);
riteneva la Corte territoriale che, sulla base del
contratto nazionale di settore del 2001 e della struttura dell’area vigilanza
come delineata dalle stesse circolari dell’INPS (n. 131/2001 e n. 188/2001), la
preposizione a tale area avesse carattere dirigenziale e che, in particolare,
fosse stata attribuita al P. l’intera responsabilità relativa alla direzione
del servizio (e non semplicemente il ruolo di ottimizzatore, formalmente
attribuito);
sulla base dell’esame della prova testimoniale
affermava che il predetto avesse gestito con pienezza di responsabilità
l’organizzazione dell’area di assegnazione, sia sotto il profilo qualitativo
sia sotto quello quantitativo, essendo il punto di riferimento del personale,
al quale assegnava le pratiche, distribuendo il lavoro tra gli ispettori,
predisponendo il piano ferie sulla base delle relative richieste e delle
compatibilità con le necessità dell’ufficio, occupandosi della gestione dei
rapporti con gli enti esterni e partecipando alle riunioni regionali dove
rappresentava l’ufficio, ciò anche nel periodo in cui il ruolo di responsabile
dell’area era stato attribuito ad interim al direttore Z.;
2. avverso tale sentenza l’I.N.P.S. ha proposto
ricorso per cassazione con due motivi;
3. A.P. ha resistito con controricorso;
4. l’INPS ha depositato memoria.
Considerato che
1. va preliminarmente disattesa l’eccezione di
inammissibilità del ricorso per incertezza assoluta sui poteri del mandatario
formulata dal controricorrente; come da questa Corte già affermato (v. Cass. 4
luglio 2019, n. 18042; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3649) ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lett.
f), d.lgs. n. 165/2001 i dirigenti titolari di uffici dirigenziali
generali, comunque denominati, nell’ambito delle loro competenze (come definite
dall’articolo 4 dello stesso decreto legislativo) esercitano, fra gli altri, il
potere di promuovere e resistere alle liti, di conciliare e di transigere
(fermo restando quanto disposto dall’articolo 12, comma 1, della I. 3 aprile
1979, n. 103); di conseguenza è loro attribuito il potere di rilasciare al
difensore procura speciale per proporre ricorso in cassazione; nella specie, il
dott. S.S., nel rilasciare la procura speciale ai difensori dell’INPS ha
allegato di essere titolare dell’incarico di livello dirigenziale generale di
Direttore delle risorse umane, come tale nominato con determinazione del
commissario Straordinario n. 138 del 7 agosto 2014; la fonte diretta del potere
rappresentativo del dott. S. non è, allora, la determinazione n. 138/2014 – di
investitura nell’ufficio dirigenziale di livello generale – ma la legge e, in
particolare, il sopra citato art.
16, comma 1, lettera f), d.lgs. n. 165/2001 che, nel riordinare le norme in
tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, già entrate in
vigore con il d.lgs. n. 29/1993, ha previsto
che «i dirigenti generali promuovono e resistono alle liti che hanno il potere
di conciliare e transigere» (Cass. n. 15715/2012
e n. 3445/2004); quanto alla suddetta delibera, si rileva che ai sensi del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (anche nella versione
precedente alle modifiche di cui al d.lgs. 25
maggio 2016, n. 97) le pubbliche amministrazioni pubblicano per í titolari
di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, i medesimi dati
indicati per i titolari di incarichi politici: tra i dati pubblicati figura,
per quanto rileva in causa, l’atto di nomina del dirigente, con l’indicazione
della durata dell’incarico (si vedano gli artt. 14 e 15 di detto d.lgs. n.
33/2013);
la nomina del dirigente pubblico è, dunque, un fatto
soggetto a pubblicità legale; la controparte avrebbe dovuto, pertanto,
contestare specificamente la esistenza del potere rappresentativo del dott. S.,
allegando che il medesimo non era titolare, alla data di rilascio della
procura, dell’ufficio dirigenziale generale avente competenza sulle risorse
umane mentre si è solo limitata ad evidenziare che la procura alle liti era
stata conferita da soggetto diverso dal legale rappresentante dell’Istituto;
2. con il primo motivo l’Istituto denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa
applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. in relazione al c.c.n.l. INPS per
l’anno 2001, sottoscritto il 25/7/2001, violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 e
seguenti cod. civ. con riferimento alla circolare INPS n. 131/2001, nonché
violazione o falsa applicazione dell’art. 17 del c.c.n.l. 1998-2001, dell’art. 15, 1° comma, I. n. 88/89
e dell’art. 69, 3 comma,
d.lgs. n. 165/2001 ed ancora violazione o falsa applicazione degli artt. 2 e 27 del d.lgs. n. 165/2001,
dell’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, come sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998
e successivamente modificato dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, ora art. 52 d.lgs. n. 165/2001;
il ricorrente critica la decisione della Corte milanese
per essere andata in contrario avviso rispetto al consolidato orientamento di
questa Corte di legittimità, omettendo del tutto di considerare le norme
regolamentari dell’INPS e limitandosi ad esaminare le circolari n. 131/1998 e n. 188/2001 per affermare
che presso la struttura della direzione provinciale di Monza l’area di
vigilanza era affidata ad un dirigente o in mancanza assunta ad interim dal
direttore;
dopo aver trascritto nel motivo gli articoli del
c.c.n.i. 25/7/2001 rilevanti ai fini di causa, addebita alla Corte territoriale
di non avere esaminato l’intera disciplina dettata per l’attività di vigilanza
e, quindi, di non avere colto le differenze fra i compiti svolti dalla
Direzione Regionale e quelli assegnati alle Direzioni provinciali e sub
provinciali;
il ricorrente precisa, poi, che solo alla prima
competono il governo complessivo, la responsabilità dell’attività ed il
coordinamento a livello regionale, mentre alle altre è assegnata l’attuazione
delle linee di pianificazione e la realizzazione del piano operativo e che
detta distinzione incide sulla qualificazione degli uffici perché, mentre
l’area di vigilanza regionale deve essere necessariamente assegnata ad un
dirigente, quella provinciale o sub provinciale può essere affidata anche ad un
funzionario in possesso della qualifica di Ispettore Generale o di Direttore di
Divisione;
aggiunge ancora l’INPS che la Corte ha mal
interpretato la portata del c.c.n.i. 2001 e della circolare applicativa n.
131/2002 confondendo tra le attribuzioni contrattualmente riservate ai
funzionari apicali con la qualifica di ottimizzatore (cui appartiene il P.) e
le mansioni dell’area di vigilanza assunte ad interim dal direttore di sede;
rileva che la Corte territoriale ha anche violato la
normativa di cui all’art. 15 I. n. 88/1989 atteso che, nella fattispecie, non
si poteva neanche in astratto accertare la natura delle funzioni svolte dal P.
perché questi non aveva neppure la qualifica di ispettore di cui a detta norma
ma solo quella di funzionario apicale (C5) con funzioni di ottimizzatore e
svolgeva appieno le funzioni come descritte nel c.c.n.i. richiamato il quale
prevede, con riferimento alla Direzione provinciale e sub provinciale che: «Per
l’attività di organizzazione, coordinamento e monitoraggio dell’attività di
vigilanza, il Dirigente dell’area si può avvalere di un funzionario apicale o
in via eccezionale anche di un ispettore di vigilanza di particolare
professionalità per un periodo massimo di tre mesi per ottimizzare i flussi
comunicativi assicurando: – la predisposizione degli atti propedeutici
all’attività ispettiva;
l’acquisizione dei risultati; – i collegamenti con
le unità di processo interessate; – il monitoraggio dell’esito recupero crediti
e del contenzioso amministrativo e legale. Per tale periodo non compete alcun
trattamento indennitario aggiuntivo rispetto a quello del profilo di
appartenenza. Resta inteso che la programmazione e la gestione dell’attività
nonché la verifica dei comportamenti è di esclusiva competenza della funzione
dirigenziale che si avvarrà, come illustrato in sede di descrizione dei
profili, della collaborazione del personale ispettivo con profilo C4»;
rileva che la Corte territoriale avrebbe dovuto
scrutinare con rigore quali fossero le funzioni collegate alle mansioni
asseritamente svolte e soprattutto avrebbe dovuto individuare l’imputazione
delle responsabilità conseguenti e che censurabile è l’affermazione apodittica
dell’avvenuto svolgimento di funzioni dirigenziali in assenza di un
posto—funzione presente nell’organico della sede, ciò in violazione della
disciplina di riferimento sul riassetto organizzativo dell’Ente di cui al
Regolamento attuativo n. 799/1998 (doc. 15 del fascicolo INPS di primo grado);
3. con il secondo motivo l’Istituto denuncia omessa
pronuncia sul capo di appello –
autonomamente apprezzabile – relativo alla riorganizzazione dell’Istituto
mediante delibera n. 799/1998 dell’INPS con particolare riferimento al modello
dirigenziale ivi previsto ed all’organigramma nonché violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.:
sostiene che la Corte territoriale non ha tenuto conto dei rilievi mossi
dall’Istituto alla decisione di prime cure, incentrati sulla nuova struttura organizzativa
dell’Ente e non ha considerato le argomentazioni addotte a difesa dell’Ente in
punto di inesistenza di una specifica area di vigilanza di livello dirigenziale
nell’ambito delle sedi provinciali e sub provinciali;
4. il primo motivo di ricorso è fondato (v. in
fattispecie sovrapponibili Cass. 19 agosto 2019, n. 21474; Cass. 23 luglio
2019, n. 19927; Cass. 26 febbraio 2019, n. 5616; Cass.
15 gennaio 2018, n. 752);
5. va innanzitutto precisato che i contratti collettivi
integrativi, disciplinati dagli artt. 40 e 40 bis del d.lgs.
n. 165/2001, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, se pure di
rilievo nazionale in ragione della organizzazione dell’amministrazione
interessata, hanno carattere decentrato rispetto ai comparti e per essi non è
previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare
regime di pubblicità di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, art.
47, comma 8;
in sede di legittimità, pertanto, non è consentita
la interpretazione diretta di detti contratti, potendo essere unicamente
denunciata la violazione, da parte del giudice del merito, dei criteri di
ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362
e seguenti c.c. (in tal senso fra le più recenti Cass. 17 febbraio 2014 n.
3681);
nel caso di specie l’Istituto ricorrente ha
correttamente formulato la censura, poiché ha indicato i canoni esegetici
violati dalla Corte territoriale, alla quale ha sostanzialmente addebitato di
non avere considerato nella loro interezza le clausole contrattuali dedicate
alla attività di vigilanza e di non avere valutato, al fine di individuare la
volontà delle parti collettive, il
quadro normativo di riferimento e gli atti organizzativi adottati
dall’INPS nell’esercizio del potere conferitogli dall’art. 27 del d.lgs. n. 165/2001;
6. tanto chiarito, i rilievi sono fondati, poiché
nella interpretazione del contratto collettivo è necessario procedere al
coordinamento delle varie clausole, in quanto l’espressione senso letterale
delle parole va riferita all’intera dichiarazione negoziale e non soltanto ad
una parte della stessa (v. Cass. 19 settembre
2014, n. 19779);
è, altresì, centrale il canone di coerenza fra
contenuti normativi legali e contenuti normativi contrattuali (cfr. Cass. 7 aprile 2004, n. 8741) che assume
particolare rilievo nell’impiego pubblico contrattualizzato, alla luce del
disposto dell’art. 2 del
d.lgs. n. 165 del 2001;
6.1. va, poi, rilevato che il c.c.n.i. 25/7/2001, nel
disciplinare le competenze, l’organizzazione e le funzioni dell’attività di
vigilanza, stabilisce che compete alla Direzione Regionale «il governo
complessivo della responsabilità dell’attività di vigilanza ed il relativo
coordinamento a livello regionale» che comportano la determinazione delle linee
di indirizzo, la formulazione del piano annuale delle attività, la verifica dei
risultati dell’attività ispettiva, la distribuzione delle risorse sul
territorio, finalizzata anche ad assicurare l’uniformità dell’azione ispettiva;
quanto alla dotazione organica il contratto prevede che «presso ogni Direzione
Regionale è costituita un’area vigilanza da attribuire ad un dirigente in forza
alla direzione stessa, senza che ciò comporti la ridefinizione della relativa
pianta organica» e che «tale dirigente potrà essere coadiuvato da un art. 15 o,
in subordine, da un funzionario apicale (C4/ C5) di profilo amministrativo con
compiti di organizzazione coordinamento»;
alle direzioni provinciali e sub provinciali è, invece,
attribuita «l’attuazione delle linee di pianificazione regionale attraverso la
realizzazione del piano operativo assegnato dalla direzione regionale», alla
quale resta riservata la funzione di ‘regia’;
il contratto collettivo stabilisce, inoltre, che «presso
ciascuna direzione l’area di vigilanza è affidata ad un dirigente, senza che
ciò comporti la ridefinizione della relativa pianta organica o, in carenza, è
assunta ad interim dal direttore; la funzione, pur in presenza di un dirigente,
può essere attribuita anche ad un funzionario con la qualifica di ispettore
generale/direttore di divisione … resta inteso che la programmazione, la
gestione dell’attività nonché la verifica dei comportamenti è di esclusiva
competenza della funzione dirigenziale che si avvarrà, come illustrato in sede
di descrizione dei profili, della collaborazione del personale ispettivo con
profilo C/4»;
6.2. la Corte territoriale, nell’interpretare le
disposizioni contrattuali sopra richiamate, ne ha valorizzato solo una parte,
senza verificare la compatibilità del risultato esegetico raggiunto con la
possibilità, espressamente prevista dalle parti collettive, di attribuire la
“funzione”, anche in presenza di un dirigente, «ad un funzionario con qualifica
di ispettore generale/direttore di divisione» (invero, la norma pattizia già
sopra ricordata, nel disciplinare le funzioni della Direzione provinciale e sub
Provinciale, prevede che, «per
l’attività di organizzazione, coordinamento e monitoraggio dell’attività di
vigilanza, il Dirigente dell’area si può avvalere di un funzionario apicale o
in via eccezionale anche di un ispettore di vigilanza i particolare professionalità …»);
quanto ai compiti affidabili al personale del ruolo
ad esaurimento nell’ambito dell’attività di vigilanza, ha omesso di comparare
la organizzazione prevista per le
direzioni regionali con quella dettata per le sedi provinciali e sub
provinciali;
6.3. infine il giudice di appello non ha considerato
che le parti collettive hanno fatto chiaro riferimento alla pianta organica,
sicché, al fine di valutare se la funzione attribuita al P. potesse avere
valenza dirigenziale, occorreva esaminare (come evidenziato da questa Corte nei
precedenti sopra richiamati) il regolamento di organizzazione dell’ente,
adottato con la deliberazione n. 799/1998, e la circolare
INPS n. 17/1999, con i quali sono stati previsti il numero e le competenze
dei dirigenti da assegnare alle sedi provinciali e sub provinciali;
va osservato, al riguardo, che ai fini
dell’applicazione dell’art.
52 del d.lgs. n. 165/2001 sono necessarie l’allegazione e la prova della
pienezza delle mansioni assegnate, sotto il profilo qualitativo e quantitativo,
in relazione alle concrete attività svolte e alle responsabilità attribuite (v.
Cass. 19 aprile 2007, n. 9328), sicché ove la funzione dirigenziale comporti
una pluralità di competenze diverse, seppure interagenti fra loro, non è
sufficiente che il potere di direzione sia stato esercitato in relazione ad una
parte di detti compiti;
6.4. la sentenza impugnata ha, poi, finito per non
fare buon governo della disciplina di cui all’art. 15 I. n. 88/1989 e dell’art. 69, co. 3, d.lgs.
165/2001;
come già chiarito da questa Corte (Cass. 7 luglio
2015 n. 14038) ai funzionari apicali delle qualifiche ad esaurimento poteva
essere attribuita, per espressa previsione di legge, la funzione di direzione
di uffici di particolare rilevanza con un trattamento economico definito nel
primo contratto collettivo di comparto di cui all’art. 45 del d.lgs. n.
29/2003: in conseguenza l’assegnazione all’area di vigilanza delle direzioni provinciali
o sub provinciali non poteva legittimare la P.sa di differenze retributive,
atteso che «era previsto che il trattamento economico di questi particolari
dipendenti pubblici (sostanzialmente quadri, destinati poi a confluire nella
qualifica di dirigenti a seguito di procedure selettive) era demandato alla
contrattazione collettiva integrativa»;
in detto precedente, reso in fattispecie analoga di
attribuzione delle funzioni di responsabile dell’area vigilanza presso una sede
provinciale dell’INPS, si è altresì affermato che ciò era «quanto si è
verificato nella specie perché sulla base della contrattazione collettiva
integrativa a questi dipendenti, con qualifica apicale non dirigenziale, cui
era assegnata la direzione di uffici di particolare rilevanza, non riservati al
dirigente, oppure la reggenza di uffici la cui direzione era riservata a
dirigenti in attesa dell’espletamento della procedura selettiva per la
copertura del posto, era attribuito un trattamento economico aggiuntivo che non
necessariamente doveva coincidere con il trattamento economico da dirigenti» e
si è richiamato il principio affermato, in proposito, da Cass. 15 gennaio 2015,
n. 6161 secondo cui il diritto al compenso per lo svolgimento di mansioni
superiori spettante ai sensi dell’art. 52, comma 5, del d.lgs.
n. 165/2001, non si traduce in un rigido automatismo, con erogazione al
dipendente di un trattamento economico esattamente corrispondente alle mansioni
superiori, essendo sufficiente, anche per l’osservanza dell’art. 36 Cost., la somministrazione di un compenso
aggiuntivo rispetto alla qualifica di appartenenza, la cui determinazione può
essere derivata anche da una norma collettiva;
7. il secondo motivo è inammissibile;
8. non è configurabile il vizio di mancata pronuncia
su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non
espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di
accoglimento della P.sa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di
rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi
valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul
procedimento (art. 112 cod. proc. civ.), bensì
come violazione di legge (come, nella specie, l’INPS ha fatto con il primo
motivo di ricorso) e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di
legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività
del punto non preso in considerazione (v. in tal senso tra le più recenti Cass.
6 novembre 2020, n. 24953);
9. da tanto consegue che va accolto il primo motivo
di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo;
la sentenza impugnata va, pertanto, cassata in
relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Milano che, in
diversa composizione, procederà ad un nuovo esame nel rispetto dei criteri di
ermeneutica contrattuale e dei principi di diritto sopra richiamati e
provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità;
10. non sussistono le condizioni processuali di cui
all’art. 13, comma 1 quater d.P.R.
n. 115 del 2002.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara
inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano, in
diversa composizione.