Il legale che impugna in via stragiudiziale un licenziamento, dichiarandosi munito di procura negoziale scritta, non ha l’onere, fino all’eventuale richiesta del destinatario dell’impugnazione, di comunicarne gli estremi o documentarla entro sessanta giorni dal licenziamento.
Nota a Cass. 13 aprile 2021, n. 9650
Francesca Albiniano
Nell’ipotesi di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, mentre la ratifica del lavoratore, nei suoi estremi, deve essere comunicata o prodotta al datore di lavoro prima di sessanta giorni, pena la decadenza, altrettanto non è necessario per la procura preventiva scritta, che è sufficiente menzionare entro i termini, salvo esplicita richiesta del destinatario dell’impugnazione di ottenerne la comunicazione degli estremi o la documentazione della stessa.
Questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione 13 aprile 2021, n. 9650 (in linea con le S.U. della Cassazione n. 2179/1987 e difforme da App. Catanzaro n. 349/2018) con un’articolata motivazione nella quale si rileva che per quanto concerne l’impugnazione del licenziamento ai sensi dell’art. 6, co.1, L. n. 604/1966 (applicabile anche alle ipotesi previste della L. n. 183/2010, art. 32, co. 3 e 4, tra cui l’impugnativa del contratto di lavoro a termine oggetto del presente contenzioso) occorre tenere distinte tre ipotesi che sono disciplinate diversamente:
1) il difensore impugna stragiudizialmente l’atto datoriale per conto del lavoratore quando è già in possesso di una specifica procura. In tal caso, la procura per impugnare, ex art 6, L. n. 604/1966, deve avere la forma scritta (ex art. 1392 c.c.; v., tra tante, Cass. n. 9182/2014 e n. 15888/2012) e una data antecedente al compimento dell’atto stesso (v. Cass. n. 1444/2019 e Cass. n. 23603/2018); altrimenti l’operato del difensore, per rendere efficace l’impugnativa effettuata senza idonea procura, dovrà essere assoggettato al diverso regime della ratifica;
2) il difensore impugna senza essere provvisto di idonea procura, per cui il suo operato necessita di ratifica. In questa seconda ipotesi (in base all’art. 1399 c.c.), colui che abbia negoziato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli (v. art. 1398 c.c.) potrà vedere ratificato il negozio dall’interessato “con l’osservanza delle forme prescritte per la conclusione di esso”.
Nello specifico, la ratifica va comunicata o notificata al datore di lavoro prima della scadenza del termine di decadenza e, qualora “l’impugnativa sia proposta dal legale del lavoratore senza il rilascio da parte di quest’ultimo di specifica procura scritta, il successivo ricorso giudiziario, con la relativa procura al difensore stesso che abbia già posto in essere il detto atto, contenente la ratifica scritta del suo operato, deve essere notificato o comunicato al datore di lavoro nel termine di sessanta giorni”…posto che “le esigenze di certezza sottese alla fissazione dei termini di prescrizione e decadenza non sono conciliabili con l’instaurazione di una situazione di pendenza suscettibile di protrarsi in maniera indeterminata, ben oltre la loro scadenza, e la cui durata rimarrebbe nell’esclusiva disponibilità del dominus” (Cass. n. 9182/2014, cit. e n. 15888/2012, cit.).
3) Vi è poi una terza ipotesi relativa al caso in cui il difensore che impugna sia già munito di idonea procura del lavoratore.
In tal caso, il rappresentante spende un potere di cui è dotato. Sicché vale il principio secondo cui l’impugnativa stragiudiziale, ex art. 6, co.1, L. n. 604/1966, “può efficacemente essere eseguita in nome e per conto del lavoratore dal suo difensore previamente munito di apposita procura, senza che il suddetto rappresentante debba comunicarla o documentarla al datore di lavoro nel termine di sessanta giorni, perché, ferma la necessaria anteriorità della procura, è sufficiente che il difensore manifesti di agire in nome e per conto del proprio assistito e dichiari di avere ricevuto apposito mandato (in termini: Cass. n. 16416/2019; Cass. n. 1444/2019, cit.).
Infatti si è rilevato, in generale, che il rappresentante non è tenuto ad indicare (né in un primo momento né in un secondo), nel negozio che pone in essere, la fonte del potere rappresentativo di cui è investito. È infatti sufficiente che egli manifesti di agire in nome e per conto altrui e non in proprio (Cass. n. 3634/2017).
Non è possibile, cioè, “configurare in capo al rappresentante un obbligo, non previsto dalla legge, di comunicazione della fonte costitutiva del potere, perché l’esigenza di certezza sottesa alla fissazione di un termine di decadenza è già assicurata dalla dichiarazione del difensore di agire in nome e per conto del proprio assistito ed in forza di procura dallo stesso conferita” (Cass. n. 16416/2019, cit.).