Nel passaggio del personale ATA allo Stato non si configura un peggioramento retributivo se non vengono calcolate voci occasionali ed accessorie.
Nota a Cass. (ord.) 27 maggio 2021, n. 14819
Maria novella Bettini
Nel passaggio dei dipendenti in conseguenza del trasferimento di attività (nella specie passaggio dall’ente locale allo Stato del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola (ATA)), “l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporterebbe un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito”.
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (27 maggio 2021, n. 14819, conforme ad App. Milano; nello stesso senso, Cass. S.U. n. 22800/2010; Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014).
La Corte precisa che nel trasferimento d’impresa, stante il principio di irriducibilità della retribuzione, (cfr. fra tante Cass. n. 29247/2017 e Cass. n. 4317/2012), si può ravvisare un peggioramento sostanziale (impedito dalla tutela della Direttiva eurounitaria 77/187 CE) della posizione dei lavoratori coinvolti “solo qualora, all’esito della comparazione globale, emerga una diminuzione «certa» del compenso che sarebbe stato corrisposto qualora il rapporto fosse proseguito con il cedente nelle medesime condizioni lavorative, sicché non possono essere apprezzati gli importi, che se pure occasionalmente versati prima del passaggio, non costituivano il «normale» corrispettivo della prestazione, perché, in quanto legati a variabili inerenti alle modalità qualitative e quantitative di quest’ultima, non erano entrati nel patrimonio del lavoratore, che sugli stessi non avrebbe potuto fare sicuro affidamento neppure qualora la vicenda modificativa non fosse stata realizzata”.
Peraltro, nell’interpretare l’art. 31, D.Lgs. n. 165/2001 (circa il passaggio dei dipendenti in conseguenza del trasferimento di attività), la Cassazione ha affermato, con orientamento ormai consolidato, che “le disposizioni normative e contrattuali finalizzate a garantire il mantenimento del trattamento economico e normativo acquisito, non implicano la totale parificazione del lavoratore trasferito ai dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione, in quanto la prosecuzione giuridica del rapporto se, da un lato, rende operante il divieto di reformatio in peius, dall’altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore”.
I giudici ribadiscono pertanto il principio, (v. anche Cass. nn. 3663, 6345, 7470 del 2019) secondo cui i premi ed i compensi incentivanti previsti dagli artt. 17 e 18 del ccnl 1° aprile 1999 per il personale del comparto regioni ed enti locali “non possono avere rilevanza ai fini del cd. maturato economico, perché si tratta di voci del trattamento accessorio correlate ad effettivi incrementi di produttività e di miglioramento dei servizi, ossia di emolumenti non certi nell’an e nel quantum”.
Per altro verso, l’anzianità pregressa non può essere fatta valere per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass. S.U. n. 22800/2010, cit.e Cass. n. 25021/2014, cit.), né può essere opposta al nuovo datore al fine di ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, poiché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative (cfr. Cass. n. 4389/2020 e sugli scatti di anzianità Cass. n. 32070/2019).
In definitiva, quindi, in caso di passaggio di personale conseguente al trasferimento di attività, le voci retributive che concorrono a formare la base di calcolo ai fini della quantificazione dell’assegno personale sono quelle corrisposte in misura fissa e continuativa, “non già gli emolumenti variabili o provvisori sui quali, per il loro carattere di precarietà e di accidentalità, il dipendente non può riporre affidamento, o perché connessi a particolari situazioni di lavoro o in quanto derivanti dal raggiungimento di specifici obiettivi e condizionati, nell’ammontare, da stanziamenti per i quali è richiesto il previo giudizio di compatibilità con le esigenze finanziarie dell’amministrazione” ( cfr. fra tante Cass. n. 31148/2018; Cass. n. 18196/2017).
Nella fattispecie, per sostenere la tesi di un peggioramento sostanziale, verificatosi nonostante il riconoscimento dell’assegno personale, i ricorrenti avevano fatto leva sulla mancata valorizzazione del premio incentivante, ossia di una voce del trattamento accessorio priva dei requisiti di fissità e di continuità, che devono ricorrere ai fini del rispetto del divieto di reformatio in peius.