Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 giugno 2021, n. 15802
Non genuinità dell’appalto di servizi, Esercizio del potere
direttivo da parte della committente, Motivazione, Assenza delle
argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, Escluso il vizio
revocatorio, Pronunzia sul motivo effettivamente intervenuta
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 27105 del 3 luglio/25 ottobre
2018 questa Corte ha respinto i ricorsi, principale ed incidentale, proposti da
S. – s.p.a. e da A.C. s.p.a. avverso la sentenza n. 2426/2012 della Corte
d’appello di Roma che aveva confermato la pronuncia del Tribunale della stessa
sede con la quale, in accoglimento delle domande formulate dagli attuali
controricorrenti, era stata accertata la non genuinità dell’appalto di servizi
intercorso fra S. e COS s.p.a. ( poi divenuta A.C. s.p.a.) ed era stata
dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato fra la società committente ed i lavoratori impiegati
nell’appalto.
2. La S. s.p.a. aveva formulato otto motivi di
ricorso e, per quel che rileva in questa sede, con il quarto, il quinto ed il
sesto motivo aveva censurato la sentenza gravata nella parte in cui aveva
qualificato illecito l’appalto, attribuendo rilievo a circostanze di fatto che
la società assumeva essere non idonee a dimostrare l’esercizio del potere
direttivo da parte della committente. In particolare, con il sesto motivo, la
ricorrente principale aveva denunciato la violazione dell’art. 2094 cod. civ. nonché degli artt. 1 e 3 Legge n. 1369/1960 e
sostenuto che l’esercizio del potere direttivo da parte dell’appaltatrice non
poteva essere escluso solo perché quest’ultima non aveva emanato direttive
specifiche sul contenuto della prestazione.
3. Questa Corte, nel respingere l’impugnazione, ha
ritenuto che la censura in parola fosse inammissibile per difetto di pertinenza
con le effettive ragioni del decisum in quanto il giudice d’appello aveva
fondato il proprio accertamento, non sulla mancanza di direttive impartite da
COS, bensì sul positivo riscontro dell’esercizio del potere da parte della
società committente.
4. Una volta respinti i ricorsi proposti dalle
società coinvolte nell’appalto, è stato ritenuto inammissibile per difetto di
interesse il ricorso incidentale di M.M. il quale, con un unico motivo, aveva
denunciato l’omessa pronuncia sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva,
sollevata in grado di appello perché egli, sebbene erroneamente inserito
nell’intestazione della sentenza del Tribunale, non era stato parte del
giudizio di primo grado.
5. S. s.p.a. domanda la revocazione della sentenza
sulla base di un unico motivo.
Resistono con controricorso i lavoratori indicati in
epigrafe ed A.C. s.p.a.. M.M., con ricorso incidentale, ripropone in questa
sede l’unico motivo del ricorso incidentale ritenuto inammissibile dalla
sentenza oggetto di revocazione sul rilievo che «l’accoglimento del motivo del
ricorso per revocazione potrebbe travolgere il ritenuto assorbimento…».
6. Tutte le parti hanno depositato memoria ed il
Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Ragioni della decisione
1. In via preliminare rileva il Collegio che secondo
l’ordinamento processuale vigente non sussiste per i magistrati che abbiano
pronunciato la sentenza impugnata per revocazione alcuna incompatibilità a
partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione qualora venga
denunciato, come nella fattispecie, un errore percettivo che, come tale, ben
può essere riparato anche dallo stesso giudice o collegio giudicante (Cass. n.
23498/2017).
2. Non può essere accolta la richiesta, formulata
dal difensore di M.M., di riunione della causa a quella iscritta al n. 10887/2019 R.G., perché i due giudizi di
revocazione non riguardano la medesima pronuncia né si ravvisano in concreto
profili di unitarietà sostanziale delle controversie o ragioni di economia
processuale tali da rendere opportuna la trattazione congiunta (Cass. S.U. n. 1521/2013 e Cass. S.U. n.
18050/2010).
3. Il ricorso principale di S. s.p.a. è incentrato
sull’erronea percezione, nella quale questa Corte sarebbe incorsa, del
contenuto della sentenza d’appello, dalla quale sarebbe derivata l’errata
dichiarazione di inammissibilità del sesto motivo. Sostiene la società che il
giudice d’appello aveva motivato la decisione anche attraverso il rinvio per relationem
alla motivazione della pronuncia resa dal Tribunale che, per escludere la
genuinità dell’appalto, aveva ritenuto determinante il mancato riscontro di
un’effettiva gestione del personale da parte della società appaltatrice ed
aveva a tal fine valorizzato la circostanza dell’omessa emanazione di direttive
sul contenuto della prestazione. Il motivo, con il quale era stato dedotto che
il potere direttivo si può manifestare anche in altro modo, era stato formulato
proprio in ragione del rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado,
rinvio non percepito da questa Corte che, in conseguenza dell’errore di
percezione, ha ritenuto non pertinente la questione prospettata.
4. Il ricorso è inammissibile.
L’errore rilevante ex art.
395 n.4 cod. proc. civ. consiste nella erronea percezione dei fatti di
causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di
un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di
causa, a condizione che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia
costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata
abbia statuito.
Muovendo da detta premessa questa Corte ha
evidenziato che: l’errore non può riguardare l’attività interpretativa e
valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice
rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti
di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini
ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione
erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza
l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa (Cass. 5.7.2004
n.12283; Cass. 20.2.2006 n. 3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008 n.
5075; Cass. 29.10.2010 n. 22171).
Sviluppando i richiamati principi si è ritenuto,
nelle pronunce più recenti delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U.
24.11.2020 n. 26674; Cass. Sez. Un. 10.11.2020 n. 25212; Cass. S.U. 27.11.2019
n. 31032; Cass. Sez. Un. 27.12.2017, n. 30994, Cass. Sez. Un. 16.11.2016 n.
23306), che restano fuori dal vizio revocatorio: gli errori formatisi sulla
base di un’assunta errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e
risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio
sul piano logico-giuridico; l’erronea comprensione del contenuto
giuridico-concettuale delle difese e l’inesatta qualificazione dei fatti ivi
esposti; l’errato apprezzamento di un motivo di ricorso, perché siffatto tipo
di errore, ove pure in astratta ipotesi fondato, costituirebbe un errore di
giudizio e non un errore di fatto.
E’ stato, in sintesi, affermato che «è esperibile,
ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., la revocazione per
l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia
deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio
tutte le volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta,
anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune
delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal
caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva
immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione
dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio.» (Cass. S.U. n. 31032/2019).
4.1. Sulla base dei principi sopra richiamati,
condivisi dal Collegio e qui ribaditi, si deve escludere l’ammissibilità del
ricorso principale, perché l’asserito errore sarebbe stato commesso da questa
Corte nell’individuazione della ratio decidendi della pronuncia gravata, ossia
nel compimento di un’attività valutativa, non meramente percettiva.
5. Alle considerazioni che precedono si deve, poi,
aggiungere che difetterebbe comunque nella fattispecie il nesso causale fra il
preteso errore ed il contenuto della decisione, ravvisabile solo qualora la
decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di
quell’errore, per ragioni di necessità logico-giuridica (cfr. Cass. n.
6038/2016).
Infatti, anche a voler ritenere che la sentenza
d’appello fosse stata in parte motivata per relationem e che ciò sia sfuggito a
questa Corte, il motivo doveva essere comunque dichiarato inammissibile, non
avendo la società ricorrente assolto all’onere di specifica indicazione,
imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.,
quanto alla motivazione della pronuncia di primo grado.
Va richiamato al riguardo il principio di diritto
affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui «ove la sentenza di
appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine di
ritenere assolto l’onere ex art. 366, n. 6, c.p.c.
occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo
giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad
essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare
che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso
i suoi doveri motivazionali» ( Cass. S.U. n. 7074/2017).
6. L’inammissibilità del ricorso principale comporta
l’assorbimento di quello incidentale di M.M., da qualificare condizionato
perché proposto sul presupposto che l’accoglimento del motivo del ricorso per
revocazione avrebbe potuto travolgere la sentenza revocanda anche nella parte
in cui aveva ritenuto assorbita l’impugnazione incidentale del medesimo M.
(pag. 2 del ricorso incidentale).
7. Le spese del giudizio di revocazione seguono la
soccombenza e vanno poste a carico della ricorrente principale nella misura
indicata in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n.
228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n.
4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge
per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente
principale.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale con
assorbimento del ricorso incidentale. Condanna la società ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di revocazione, liquidate per A.C. s.p.a. in
€ 200,00 per esborsi ed € 3.500,00 per competenze professionali, per M.M. in €
200,00 per esborsi ed € 3.500,00 per competenze professionali e per gli altri
controricorrenti in complessivi € 200,00 per esborsi ed € 3.500,00 per
competenze professionali, oltre, per tutti, rimborso spese generali del 1 5% e
accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso
principale, a norma del cit. art.
13, comma 1-bis, se dovuto