Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 giugno 2021, n. 15624
CORTE DI CASSAZIONE – Sez. VI
civ. – Ordinanza 04 giugno 2021, n. 15624
Lavoro domestico, Cessazione, Prosecuzione del rapporto con
le caratteristiche della subordinazione, Accertamento
Rilevato che
E. T. aveva convenuto in giudizio V. A., quale erede
del padre G. A., deceduto il 9.2.2013, per sentir accertare, previa
declaratoria della natura subordinata del rapporto di lavoro domestico
intercorso dall’1.4.1999 al 9.2.2013, il proprio diritto alle differenze
retributive a lei dovute a titolo di straordinario, indennità sostitutiva delle
ferie non godute, tredicesima mensilità e T.F.R. per la complessiva somma di
Euro 252.883,10 oltre rivalutazione ed interessi come per legge e di oneri
contributivi non versati per complessivi Euro 16.044,00; il Tribunale di
Palermo adito aveva accolto la domanda per la somma inferiore di Euro
196.517,44 in relazione al periodo 1.1.2004 – 9.2.2013 avendo ritenuto, in base
alla CTU contabile, che fino al 2003, la retribuzione corrisposta alla T. fosse
stata congrua in rapporto alle modalità di svolgimento della prestazione;
avverso la sentenza di primo grado V. A. proponeva
ricorso assumendo che, successivamente alla comunicazione (avvenuta in data
31.12.2003) della cessazione del rapporto dì lavoro intercorrente tra la propria
madre, sig.ra M. ed E.T., nessun rapporto di lavoro domestico era proseguito
alle dipendenze del padre G.A.;
la Corte territoriale ha accolto il ricorso,
affermando che il vincolo lavorativo rivendicato dalla T. si era protratto
soltanto fino alla formale cessazione del rapporto, e che in relazione ad esso
la statuizione del Tribunale, secondo cui le pretese retributive rivendicate
dalla T. erano infondate, era passata in giudicato; ha, quindi, limitato la
propria indagine al periodo successivo (1.1.2004-9.2.2013), al fine di
verificare se, in seguito alla morte della madre di V. A. con cui si era
instaurato l’originario rapporto di lavoro domestico, questo fosse proseguito
di fatto con G. A. con le medesime caratteristiche del precedente;
espletata prova testimoniale, la Corte d’appello é
giunta alla conclusione che non sussistevano elementi decisivi a conferma della
circostanza che E. T. avesse svolto mansioni di fatto quale domestica o badante
alle dipendenze di G. A.; ciò che emergeva pienamente era, di contro,
l’esistenza di un rapporto affettivo sentimentale tra i due, comprovato,
altresì, dalla stipula, da parte di G. A., di sette polizze vita in favore di
E. T., dalla richiesta di variazione del beneficiario (sempre in favore di E.
T.) per altre sei polizze, nonché per altre cinque in favore della di lei
figlia; infine dal fatto che G. A. avesse assunto il ruolo di garante per un
prestito personale ottenuto dalla stessa T. pagandone i ratei mensili fino
all’estinzione;
di conseguenza, la Corte territoriale ha accolto la
domanda di V. A., dichiarando infondate le pretese economiche della T. quanto
al periodo 1.1.2004-9.3.2013;
la cassazione della sentenza è domandata da E. T.
sulla base di due motivi;
V. A., quale erede di G. A., ha depositato controricorso;
l’Inps ha depositato procura speciale in calce al
ricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., parte
ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 c.c. e 112
c.p.c. violazione tra chiesto e pronunciato”; la sentenza gravata
sarebbe andata ultra petita stabilendo che tra la comunicazione all’ente
previdenziale della cessazione del rapporto di lavoro con la ricorrente
(1/1/2004) e la data del decesso della moglie di G. A. (7/09/2004) era mutata
la connotazione del rapporto, senza che, in relazione al predetto segmento
temporale neppure la stessa difesa di E. T. avesse chiesto il rigetto della
domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., denuncia
“Violazione e falsa applicazione degli artt.
2094 e 2697 c.c., 113, 115 e 116 c.p.c. in ordine a prova testimoniale de
relato actoris e in tema di elementi di prova
contestati e non contestati, travisamento della prova”, per erronea
applicazione dei principi che presiedono al riconoscimento della natura
subordinata del rapporto di lavoro e di quelli relativi alla prova della loro
esistenza;
afferma che la prova della presunta relazione
sentimental, che giustificherebbe la gratuità del rapporto fra la ricorrente e
G. A., sarebbe stata tratta da una testimonianza inutilizzabile ai fini
probatori, perché basata su quanto riferito dalla stessa appellante;
il primo motivo è inammissibile;
la ricorrente non ha prodotto e non ha trascritto
integralmente l’atto introduttivo del giudizio d’appello ove avrebbe contestato
l’appartenenza del segmento temporale gennaio-settembre 2004 al thema
decidendum, né ha localizzato in quale fase del giudizio avrebbe dedotto
l’estraneità di esso alla materia del contendere; neppure gli stralci dell’atto
processuale contenuti nel ricorso per cassazione si rivelano idonei a sostenere
adeguatamente la doglianza contenuta nel primo motivo;
in conformità a quanto ripetutamente affermato da
questa Corte, il ricorso per cassazione, in ragione del principio di
specificazione e di allegazione di cui agli artt.
366 n. 4 e 369 n. 6 cod. proc. civ., deve
contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si
chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la
valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità dì far rinvio
ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti
attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n.11603 del 2018; Cass.
n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006); anche a voler prescindere dalla
genericità della censura, comunque, nel caso in
esame, la denunciata violazione dell’art.
112 cod. proc. civ. non sussiste, atteso che il giudice dell’appello ha
svolto una valutazione del rapporto intercorrente fra G. A. ed E. T. per il
periodo che va dalla cessazione formale del rapporto di lavoro, comunicata
all’Inps dallo stesso G. A., in qualità di tutore della moglie, il 31.12.2003
fino alla data del decesso di quest’ultimo;
questo essendo il periodo temporale considerato
oggetto del contenzioso dalla Corte territoriale, la specifica circostanza
dedotta quale causa del vizio di ultrapetizione (ossia che il rapporto di
lavoro tra T. e M., madre di V.A., fosse durato fino a gennaio 2004, data di
formale cessazione del rapporto ovvero fino a settembre 2004, data della morte
di questa) rimane priva di rilevanza ai fini dell’esito del giudizio;
il secondo motivo è del pari inammissibile là dove
si chiede a questa Corte di riconsiderare la declaratoria della qualificazione
del rapporto di lavoro come svolto benevolentiae vel affectionis causa;
la Corte territoriale, sulla base delle prove
documentali e testimoniali esaminate, ha accertato che la lavoratrice, che
sarebbe stata a ciò onerata, non aveva dimostrato che il rapporto di lavoro,
dopo la formale cessazione, era proseguito di fatto con le caratteristiche
della subordinazione alle dipendenze di G. A. e, ha aggiunto anche, stante la
pretesa della T., con orario aumentato da giorni alterni a sette giorni su
sette;
la doglianza della ricorrente appare diretta ad
ottenere una rivalutazione del merito, inibita in questa sede;
dando attuazione al costante orientamento di questa
Corte, va ritenuto “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si
deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà,
alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare
una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non
consentito, terzo grado di merito.” (Cass.
n.18721 del 2018; Cass. n.8758 del 2017);
quanto, infine, all’erronea valutazione del
materiale probatorio, per la asserita inutilizzabilità delle testimonianze rese
in giudizio, essa è erroneamente sussunta sotto il vizio di violazione di
legge;
secondo la giurisprudenza consolidata di questa
Corte la violazione del precetto di cui all’art.
2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3, cod. proc. civ., soltanto
qualora il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da
quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie
basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni; là dove invece,
come nel caso qui esaminato, oggetto di censura è la valutazione del giudice
circa le prove proposte dalle parti, quest’ultima è sindacabile in sede di
legittimità entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. n. 18092 e
Cass. n.17313 del 2020; Cass. n.13395 del 2018);
in definitiva, il ricorso va dichiarato
inammissibile; le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo,
seguono la soccombenza in favore della parte costituita;
non si provvede sulle spese in favore dell’Inps, il
quale non ha svolto attività difensiva;
in considerazione dell’inammissibilità del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna E. T. al
rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore di V. A., in proprio
e quale erede di G. A., che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 5.000,00 a
titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria
del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.