Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2021, n. 15952
Rapporto di lavoro, Svolgimento di attività lavorativa nel
giorno di domenica nonché nella giornata del sabato, Prova, Indennità
sostitutiva di ferie non godute e per mancati riposi e permessi
Rilevato che
1. con sentenza n. 4376 depositata in data
18.10.2016 la Corte di appello di Roma confermando la pronuncia del Tribunale
della medesima sede, ha respinto la domanda di M.G. proposta nei confronti
della R. s.p.a. per il pagamento di euro 519.561,57 a titolo di indennità
sostitutiva di ferie non godute e di indennità per mancati riposi e permessi;
2. la Corte territoriale ha rilevato che
correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto specificamente
contestata, da parte della società, la richiesta di monetizzazione dei giorni
non goduti di riposo settimanale infrasettimanale, mancando la prova dello
svolgimento di attività lavorativa nel giorno di domenica nonché nella giornata
del sabato ed essendo emerso che gli ulteriori giorni di ferie e permessi non
erano stati usufruiti per volontà del lavoratore che non aveva dato riscontro
agli inviti avanzati in tal senso dalla R.; ha, inoltre aggiunto che lo stesso
appellante aveva allegato di aver ricoperto una elevata posizione nell’ambito
della struttura organizzativa della R., assimilabile a quella del dirigente, e
di aver avuto la possibilità di scegliere quando andare in ferie, in relazione
alle esigenze di servizio, ma non aveva provato la ricorrenza di necessità
aziendali assolutamente eccezionali ed ostative al godimento di ferie, riposi
non goduti e permessi, ivi inclusi quelli straordinari (come richiesto, per i
dirigenti o posizioni assimilabili, da consolidata giurisprudenza);
3. avverso questa pronuncia ricorre per cassazione
l’originario ricorrente prospettando cinque motivi di ricorso; la società
resiste con controricorso; entrambi le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
4. con il primo motivo il ricorrente deduce
violazione o falsa applicazione degli artt. 36
Cost., 2109 cod.civ., 10 d.lgs. n. 66 del 2003, 7 direttiva 88/2003/Ce, 115 cod.proc.civ., 7 e 23 c.c.n.I. giornalisti, 3 e 13
c.i.a. giornalisti R., in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 3, cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, trascurato
che la società non aveva contestato quanto espressamente dedotto al capitolo 14
del ricorso introduttivo del giudizio (ossia i giorni di ferie effettivamente
goduti dal 1987 al 2009), ove non è mai stata affermata la libertà del G. di
programmarsi le ferie, diritto irrinunciabile in relazione al quale gravano sul
datore di lavoro precisi obblighi sanciti dagli artt. 23 c.c.n.I. giornalisti e
13 c.i.a., al pari del riposo settimanale e infrasettimanale;
5. con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 36 Cost., 2109
cod.civ., 10 d.lgs. n. 66 del
2003, 7direttiva 88/2003/Ce,
115 cod.proc.civ., 7 e 23 c.c.n.I. giornalisti, 3 e 13
c.i.a. giornalisti R., in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 3, cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, trascurato
che l’orientamento giurisprudenziale elaborato in materia di ferie con riguardo
al dirigente o posizione assimilata esclude che sussista una presunzione, per
tutti i dirigenti, di piena autonomia decisionale nella scelta del sé e del
quando godere delle ferie, dovendo pur sempre dimostrare, il datore di lavoro,
che il dirigente è autorizzato a tale autodeterminazione, circostanza che non è
stata né allegata né provata;
6. con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 99, 112, 113, 115, 416 cod.proc.civ., 2697
cod.civ., 23 c.c.n.I.
giornalisti, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, trascurato che
la società non aveva contestato la domanda concernente i permessi straordinari
(spettanti in misura di cinque giorni lavorativi complessivi all’anno ex art. 23 c.c.n.I. giornalisti);
7. con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 99, 112, 113, 115 cod.proc.civ.,
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, ritenuto assorbito il profilo
della prescrizione del diritto vantato ma trascurando che l’eccezione di
prescrizione era stata sollevata dalla R. solo con riguardo alle ferie e che il
lavoratore aveva indicato, quale dies a quo della decorrenza della
prescrizione, la data di cessazione del rapporto per pensionamento (1.8.2009);
8. con il quinto motivo si denunzia violazione degli
artt. 2935, 2938
cod.civ., 10 d.lgs. n. 66 del
2003, 7 direttiva 88/2003/Ce,
23 c.c.n.I. giornalisti, 3 e
13 c.i.a. giornalisti R., in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dovendo ribadirsi che la
prescrizione, decennale, del diritto all’indennità sostitutiva delle ferie
comincia a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro;
9. i primi tre motivi di ricorso, che possono essere
trattati congiuntamente in quanto connessi, non sono meritevoli di
accoglimento;
10. preliminarmente, va rilevato, che in tema di
ricorso per cessazione, il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione;
il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso
proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,
ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto
che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (ex aliis Cass. 16 luglio 2010 n. 16698;
Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
11. nella specie è evidente che il ricorrente
lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta da parte dei giudici
di merito di primo e secondo grado in punto di valutazione delle allegazioni
delle circostanze di fatto, delle contestazioni di controparte e delle prove
acquisite, di fonte documentale e testimoniale, e dunque, in realtà, non
denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma
di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì
un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ., che –
nella presente ipotesi – sarebbe comunque inammissibile ricorrendo l’ipotesi di
“doppia conforme”, prevista dall’art.
348-ter, quinto comma, come novellato dal d.l.
n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n.
134 del 2012;
12. con riguardo ai profili residuali concernenti il
diritto irrinunciabile alla fruizione di ferie, riposi e permessi, il giudice
di appello ha richiamato a fondamento della decisione l’orientamento
consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il dirigente che,
pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza
da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di
riposo annuale, non ha diritto alla indennità sostitutiva a meno che non provi
di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali
assolutamente eccezionali e obiettive (Cass. n.
11786 del 2005; Cass. n. 13953 del 2009; Cass. n. 4920 del 2016; Cass. n. 23697 del 2017; e in motivazione con
riferimento alla dirigenza pubblica Cass. Sez. U.
n. 9146 del 2009 e Cass. n. 2000 del 2017).
13. l’orientamento deve essere qui ribadito, perché
resiste ai rilievi critici formulati dal ricorrente che, per contestare la
validità delle conclusioni alle quali questa Corte è pervenuta, ha fatto leva
sul principio della irrinunciabilità del riposo annuale sancito dalla Carta
Costituzionale, dal d.lgs. n. 66 del 2003
nonché dall’art. 7 della direttiva
2003/88/CE;
14. occorre premettere che la direttiva 93/104/CE, poi confluita nella direttiva 2003/88/CE, all’art. 7,
comma 2 prevede che “Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può
essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del
rapporto di lavoro”;
15. il divieto di monetizzazione, ripreso dal D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10,
comma 2 che alla direttiva ha dato attuazione, è evidentemente finalizzato a
garantire il godimento effettivo delle ferie, che sarebbe vanificato qualora se
ne consentisse la sostituzione con un’indennità, la cui erogazione non può
essere ritenuta equivalente rispetto alla necessaria tutela della sicurezza e
della salute, in quanto non permette al lavoratore di reintegrare le energie
psico-fisiche (si rimanda alla motivazione della recente sentenza n. 95 del 2016 Corte Cost. e alla
giurisprudenza ivi richiamata);
16. da ciò discende che l’eccezione al principio,
prevista nella seconda parte delle disposizioni sopra richiamate, opera nei
soli limiti delle ferie non godute relative al periodo ancora pendente al
momento della risoluzione del rapporto, e non consente la monetizzazione di
quelle riferibili agli anni antecedenti, perché rispetto a queste il datore di
lavoro doveva assicurare l’effettiva fruizione; una diversa interpretazione
finirebbe per rendere di fatto inoperante la regola generale, risolvendosi
nella previsione di una indiscriminata convertibilità pecuniaria del diritto,
anche se differita al momento della cessazione del rapporto.
17. ciò, peraltro, non significa che il lavoratore,
al quale il godimento delle ferie non sia stato in effetti garantito, resti
privo di tutela, perché sia in corso di rapporto che al momento della sua
risoluzione, potrà invocare la tutela civilistica e far valere l’inadempimento
del datore di lavoro che abbia violato le norme inderogabili sopra richiamate e
non gli abbia consentito di recuperare le energie psico-fisiche;
18. è noto, però, che l’inadempimento deve essere
addebitabile al soggetto nei cui confronti l’azione di danno viene esperita e
pertanto è necessario che il mancato godimento delle ferie sia derivato da
causa imputabile allo stesso datore di lavoro; questa condizione non si
verifica nel caso in cui il lavoratore, per la posizione apicale ricoperta
nell’azienda, pur avendo il potere di attribuirsi le ferie in piena autonomia,
senza condizionamento alcuno da parte del titolare dell’impresa, non lo
eserciti; in detta ipotesi, infatti, salva la ricorrenza di imprevedibili ed
indifferibili esigenze aziendali, la mancata fruizione finisce per essere la
conseguenza di un’autonoma scelta del dirigente, che esclude la configurabilità
di un inadempimento colpevole del datore;
19. la sentenza impugnata, che ha respinto la
domanda di monetizzazione alle ferie (permessi straordinari e riposi non
goduti) maturate in anni precedenti l’annualità del pensionamento, è, quindi,
conforme ai principi di diritto sopra richiamati;
20. Quanto poi alle condizioni che devono ricorrere
affinché possa trovare applicazione l’orientamento giurisprudenziale al quale
si è qui ritenuto di dare continuità, questa Corte ha anche affermato che
“ex art. 2697 cpv. c.c. il potere – in
capo al dirigente – di scegliere da se stesso tempi e modi di godimento delle
ferie costituisce eccezione da sollevarsi e provarsi a cura del datore di
lavoro, mentre l’esistenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali e
obiettive, ostative alla fruizione di tali ferie, integra controeccezione da
proporsi e dimostrarsi a cura del dirigente.” (Cass.
14.3.2016 n. 4920).
21. nel caso di specie, peraltro, detta regola di
riparto dell’onere probatorio è priva di rilevanza, perché la Corte
territoriale ha respinto la domanda avendo ritenuto accertato il potere di
autodeterminazione sulla base delle stesse ammissioni formulate dallo stesso
lavoratore, che ha dedotto di ricoprire una elevata posizione nell’ambito della
R., assimilabile a quella del dirigente, e di scegliere quando andare in ferie,
in relazione alle esigenze di servizio (pag. 6 della sentenza impugnata);
22. si tratta, quindi, di un accertamento di merito
non censurabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti concessi
dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c.,
n. 5 (non evocato dal ricorrente) che, come si è già detto, oltre ad essere
precluso in questa sede in considerazione della c.d. “doppia
conforme”, consente di denunciare solo l’omesso esame del “fatto
decisivo”, da non confondersi con la mancata o l’errata valutazione del
mezzo istruttorio destinato a provarlo;
23. il quarto ed il quinto motivo sono assorbiti a
fronte del mancato riconoscimento del diritto preteso;
24. il ricorso va, dunque, rigettato, e le spese di
lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
25. sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi e in euro 12.000,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.