Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 giugno 2021, n. 16084

Liquidazione coatta amministrativa, Fondo Integrativo
Pensioni, Trattamento pensionistico, Riconoscimento del diritto alla
rivalutazione monetaria

 

Fatti di causa

 

1. Con la sentenza n. 1130 depositata 111 giugno
2016 la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato l’appello proposto da S. spa,
in liquidazione coatta amministrativa, avverso la sentenza del Tribunale di
Palermo, la quale aveva ammesso, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis c. 1 cod.civ., P. M., dipendente
della S. s.p.a. e iscritto al relativo Fondo Integrativo Pensioni (anche FIP o
Fondo, di seguito), allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa
della S. s.p.a., per le somme corrispondenti ai contributi sulla retribuzione
pensionabile, posti a carico della S. e per i contributi direttamente versati
dal M. al Fondo, ai sensi dell’art. 4 lettere a) e b) del Regolamento dello
stesso Fondo, oltreché per gli interessi legali e la rivalutazione monetaria
con decorrenza dal 1.11.1996 (coincidente con il giorno successivo alla
cessazione del FIP) e sino alla liquidazione dell’attivo mobiliare, quanto agli
interessi, e sino alla data di deposito dello stato passivo, quanto alla rivalutazione
monetaria.

2. La Corte territoriale, per quanto oggi rileva, ha
ritenuto che: l’opposizione proposta dal lavoratore avverso lo stato passivo
non era tardiva in quanto la Cancelleria non aveva comunicato il decreto di
fissazione dell’udienza di comparizione, con conseguente non imputabilità al M.
della violazione del termine previsto dall’art. 87 del d.lgs. n. 385 del 1993;
la natura di retribuzione differita, sia pure con funzione previdenziale,
propria dei trattamenti pensionistici integrativi comportava il riconoscimento
del diritto alla rivalutazione monetaria e, ai sensi dell’art. 2751 bis n. 1 cod.civ., la loro ammissione al
passivo in via privilegiata; i crediti vantati dal M. erano suscettibili di
rivalutazione dall’inizio della procedura concorsuale sino al deposito dello
stato passivo, per effetto dell’art.
201 della L.F., che sancisce l’applicabilità alla procedura di liquidazione
coatta amministrativa di tutte le disposizioni contenute nel titolo II, capo
III, sez. II di tale legge, con rinvio operato al testo vigente del citato art. 59 legge fall., così come
modificato per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del
1989; gli interessi legali sui crediti privilegiati di lavoro, nella procedura
fallimentare, ai sensi dell’art.
54 c. 3 e dell’art. 55 c. 1 della L.F., erano dovuti senza il limite
temporale previsto per la rivalutazione monetaria, e, quindi, dalla maturazione
del titolo al saldo.

3. Avverso questa sentenza la S. s.p.a., in
liquidazione coatta amministrativa, ha proposto ricorso per cassazione,
affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito
con controricorso M. P.

4. Il Procuratore Generale ha depositato
requisitoria scritta ed ha concluso per l’accoglimento del primo motivo e per
il rigetto del secondo e del terzo motivo.

5. La prima sezione civile di questa Corte, con
l’ordinanza interlocutoria n. 10986 pubblicata il 9 giugno 2020, ha rimesso la
causa al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’eventuale
assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art.
374, c. 3 cod.proc.civ. Il ricorso è stato, perciò, assegnato a queste
Sezioni Unite.

6. L’ordinanza di rimessione ha dato atto che le
questioni poste con il ricorso per cassazione sono già state trattate da queste
Sezioni Unite con la sentenza n. 4684 del 2015
e, con specifico riferimento all’ammissione al passivo della liquidazione
coatta amministrativa della S., con la sentenza n.
6928 del 2018.

7. Essa ha rilevato che la sentenza da ultimo
richiamata ha affermato che: a) il trattamento pensionistico erogato dal Fondo
Integrativo Pensioni (FIP) in oggetto ha natura previdenziale, ma ad esso non è
applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi
previsto dalla I. n. 412 del 1991,
art. 16, c.6, in quanto non è corrisposto da un ente gestore di forme di
previdenza obbligatoria, ma da un datore di lavoro privato;

8. b) essendo il credito de quo previdenziale, ai
relativi accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle
obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si
configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria e, quindi, gli
interessi legali devono essere calcolati sul capitale rivalutato, con scadenza
periodica dal momento dell’inadempimento fino a quello del soddisfacimento del
credito, mentre il diritto alla rivalutazione monetaria ha come dies ad quem
quello del momento in cui è divenuto esecutivo lo stato passivo della LAC;

c) alla affermata natura previdenziale del credito
consegue che esso, nell’ammissione allo stato passivo della liquidazione coatta
amministrativa della S. s.p.a., non è assistito da privilegio.

9. L’ordinanza di rimessione ha ritenuto che il
principio sub c) non è coordinato con quello sub b) e osserva che, se il
credito nella specie insinuato non è assistito da privilegio, essendo l’art. 55 della legge
fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267)
applicabile anche alla liquidazione coatta amministrativa (art. 201 di detto decreto)
(Sez. Un., n. 1670 del 1982), il corso di interessi e rivalutazione dovrebbe
arrestarsi alla data del provvedimento che ha disposto la liquidazione (cfr. Sez. 1, n. 12551 del 2014). Ciò, peraltro,
“alla condizione che le Sezioni Unite non vogliano rimeditare
l’orientamento contrario alla natura privilegiata del credito, questione
attinta dal primo motivo di ricorso”.

10. Avviata la causa per la trattazione innanzi a
queste Sezioni Unite, il P.M. ha depositato memoria scritta ai sensi dell’art. 23 c. 8 del d.l. 28 ottobre
2020 n. 137, come conv. nella I. 18 dicembre
2020 n. 176, e ha concluso per l’accoglimento del primo e del secondo
motivo e per il rigetto del terzo motivo. La ricorrente ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Sintesi dei motivi

11. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ., la
violazione dell’art. 2117 cod.civ., dell’art. 9
bis c. 1 della I. n. 166 del 1996, dell’art. 8 del d.lgs. n. 124 del 1993
e dell’art. 2751 bis cod.civ.

12. Imputa alla Corte territoriale di avere errato
nel riconoscere la natura giuridica di retribuzione differita ai contributi
versati al F.I.P., e di avere ammesso il relativo credito allo stato passivo in
via di privilegio.

13. Richiamata la sentenza di queste Sezioni Unite n. 4684 del 2015, nella parte in
cui ha affermato la natura previdenziale e non retributiva dei contributi
versati ai Fondi di previdenza complementare, sostiene che le prestazioni del
Fondo Integrativo Pensione di S. s.p.a. non rientrano tra quelle previdenziali
a carattere obbligatorio in ragione della natura privatistica di quest’ultimo e
che, pertanto, i relativi crediti non sono riconducibili alla previsione di cui
all’art. 2751 bis cod.civ.

14. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ.,
violazione dell’art. 80 T.U.B.,
dell’art. 55 L.F., dell’art. 420, c. 3 cod.proc.civ.

15. Asserisce che la natura previdenziale del
credito del controricorrente e la tipologia del Fondo (fonte privata con
contributi a carattere non obbligatorio) non ne consentono l’ammissione in
privilegio e che, in conseguenza, il corso degli interessi deve arrestarsi alla
data di dichiarazione della liquidazione coatta amministrativa di essa S. (5
settembre 1997).

16. Contesta, inoltre, alla Corte territoriale di
avere errato nell’ estendere alla quota di riscatto, prevista dall’art. 10 del d.lgs. n. 124 del
1993, l’art. 429 c. 3 cod.proc.civ e assume
che la natura previdenziale di tale prestazione esclude l’applicabilità della
rivalutazione monetaria di cui all’art. 429 c. 3
cod.proc.civ.

17. Sostiene, inoltre, che la circostanza che l’art. 16 della I. n. 412 del 1991
abbia stabilito il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria
per le forme di assistenza previdenziale obbligatoria non consente, a
contrariis, di applicare il cumulo alle forme di previdenza ed assistenza di
natura privatistica; tanto sul rilievo che nessuna disposizione di legge e
nemmeno le sentenze le sentenze della Corte
Costituzionale n. 156 del 1991 e n. 459 del 2000
hanno reso applicabile l’art. 429 c. 2 (recte,
c.3) alle prestazioni di previdenza integrativa e complementare di fonte
privata.

18. Aggiunge che l’applicabilità dell’art. 429 cod.proc.civ. dipende esclusivamente
dalla natura retributiva delle prestazioni in esso contemplate.

19. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 87 del d.gs n. 385 del 1993,
e l’inosservanza del principio della durata ragionevole del processo di cui
all’art. 111 della Costit. alla luce dell’art. 6 CEDU.

20. Asserisce che il M., nonostante la mancata
comunicazione, prescritta dall’art.
87 c. 3 T.U.B., da parte della cancelleria del Tribunale del provvedimento
di fissazione dell’udienza di prima comparizione, fissata per il 6.7.2000,
avrebbe dovuto attivarsi e monitorare l’esito del ricorso in opposizione e che
la sua inerzia, protrattasi sino al 20.10.2004, data di deposito del nuovo
ricorso in opposizione, aveva comportato la decadenza dall’opposizione.

Esame dei motivi

21. Il terzo motivo di ricorso deve essere trattato
in via prioritaria, in ragione della sua valenza preliminare rispetto all’esame
di tutte le altre censure.

22. La ricorrente, infatti, denunciando la
violazione e falsa applicazione dell’art. 87 del d.lgs. n. 385 del 1993,
nonché del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 della Costituzione nonché dell’art. 6 CEDU, assume che la Corte
territoriale avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità del ricorso in
opposizione allo stato passivo, perché il M. non aveva coltivato il ricorso in
opposizione proposto il 12.2.1999.

23. Il motivo è infondato.

24. L’ art.
87 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia), nel testo, applicabile ratione temporis alla vicenda
dedotta in giudizio, antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1 c. 29 del d.lgs. 16 novembre
2015, n. 181, detta la disciplina delle opposizioni allo stato passivo.

25. Al comma 3, dopo avere stabilito che tutte le
cause relative alla stessa liquidazione devono essere assegnate a un unico
giudice istruttore, dispone che “il giudice istruttore fissa con decreto
l’udienza in cui i commissari e le parti devono comparire davanti a lui, dispone
la comunicazione del decreto alla parte opponente almeno quindici giorni prima
della data fissata per l’udienza e assegna il termine per la notificazione del
ricorso e del decreto ai commissari e alle parti.

L’opponente deve costituirsi almeno cinque giorni
liberi prima dell’udienza, altrimenti l’opposizione si reputa
abbandonata”.

26. Il dato testuale della disposizione innanzi
indicata, nella parte in onera la Cancelleria di comunicare alla parte
opponente il decreto con il quale il giudice ha fissato l’udienza di
comparizione e ha assegnato il termine per la notificazione del ricorso e del
pedissequo decreto, non lascia spazio a dubbi interpretativi in ordine alla non
imputabilità all’opponente dell’omesso rispetto dei termini nel caso in cui la Cancelleria
non abbia provveduto a comunicare il decreto.

27. E’, infatti, evidente che nell’assetto
costituzionale che garantisce il diritto di agire in giudizio e il dritto di
difesa (art. 24 Cost.), ove un termine sia prescritto
per il compimento di un’attività .processuale, la cui omissione si risolva per
la parte in pregiudizio della situazione tutelata, deve essereassicurata
all’interessato la conoscibilità del momento di iniziale decorrenza del termine
stesso, onde poter utilizzare, nella sua interezza, il tempo assegnatogli, pena
la violazione del diritto di azione e di difesa.

28. Diversamente, la parte sarebbe vincolata al
rispetto di oneri processuali, che non è in grado di assolvere, non avendo
avuto conoscenza del provvedimento del giudice, salvo l’uso di una diligenza
ben superiore a quella “normale” che la Corte costituzionale ha
ritenuto doverosa per la conoscibilità di un evento processuale (C. Cost. n. 34 del 1970; C. Cost. n. 159 del 1971;
C. Cost. n. 14 e n.
15 del 1977; C. Cost. n. 303 del 1985; C. Cost. n. 255 e n. 156 del 1986;
C. Cost., C. Cost. n. 120 del 1986; C. Cost. n. 223/1993; C. Cost. n. 144 del
1996).

29. In particolare, con riguardo al caso in esame,
l’opponente allo stato passivo, potrebbe, infatti, conoscere del provvedimento
giudiziale che fissa l’udienza di comparizione e assegna il termine per il
compimento delle attività processuali di cui è onerata, soltanto attraverso un
accesso quotidiano negli Uffici della Cancelleria e, per di più, per un tempo
indefinito, posto che l’art. 87
c. 3 cit. non impone al giudice nessun termine, nemmeno ordinatorio, per la
pronuncia del decreto di comparizione delle parti.

30. Deve escludersi, poi, che le conseguenze
pregiudizievoli per il diritto di difesa possano essere superate accedendo alla
tesi che il termine di adempimento delle attività processuali che gravano sulla
parte opponente sia di tipo ordinatorio.

31. Ciò perché la ritenuta non perentorietà del
termine consentirebbe di escludere, che pur dopo il suo decorso, resti preclusa
alla parte opponente la notificazione del decreto, ma non la porrebbe, certo,
al riparo dalle conseguenze che, con particolare riguardo ai procedimenti di
impugnazione, possono riconnettersi alla violazione del termine a comparire
che, proprio in dipendenza della non tempestiva conoscenza del decreto,
l’appellante non fosse stato in grado di rispettare (Corte
Cost. n. 15 del 1977).

32. I principi affermati dalla Corte costituzionale
nelle sentenze sopra richiamate sono stati fatti propri da questa Corte,
relativamente alle norme riguardanti i giudizi di impugnazione (nella
liquidazione coatta amministrativa, dopo la fase amministrativa con la
partecipazione del creditore mediante istanze ed osservazioni, l’eventuale
opposizione ha carattere impugnatorio dell’atto amministrativo del commissario liquidatore
ed apre la fase giurisdizionale, Cass. 12551/2014),
le quali prevedano termini di decadenza.

33. E proprio in una prospettiva di interpretazione
adeguatrice ai valori costituzionali delle norme concernenti materie e riti tra
loro diversi, questa Corte ha costantemente affermato, che se è innegabile che
il legislatore possa condizionare l’esercizio di atti di difesa giudiziale al
rispetto di termini, anche a pena di improcedibilità o di inammissibilità,
nondimeno, in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale
dei diritti, non è lecito presumere che una tale conseguenza sia prevista
implicitamente in situazioni nelle quali non risulti, al contempo, garantito
alla parte onerata dal rispetto del termine la tempestiva conoscenza del
momento dal quale esso prende a decorrere ( Cass. Sez. Un. n. 5700/2014 e Cass.
Sez. Un. n.9558/2014, in tema di equa riparazione; Cass. Sez. Un. n. 25494/2009
in materia di impugnazione di lodo arbitrale; Cass. n. 9394/2011, in materia di
opposizione al decreto di liquidazione degli onorari al difensore).

34. Il canone ermeneutico della tutela del diritto
di difesa ha ispirato anche la decisione di questa Corte
n. 3082 del 2011 (cfr. anche Cass. n. 12172/2020).

35. E’ ben vero che nella giurisprudenza di
legittimità il principio costituzionale della ragionevole durata del processo
(art. 111 c. 2) è divenuto punto costante di riferimento nell’ermeneutica delle
norme, in particolare di quelle processuali, e nella individuazione del
rispettivo ambito applicativo. Esso, infatti, ha condotto a privilegiare, pur
nel doveroso rispetto del dato letterale, opzioni contrarie ad ogni inutile
appesantimento del giudizio (tra le tante, Cass.
Sez. Un. n. 20604/2008; Cass. Sez. Un. Cass.n. 4636/febbraio 2007).

36. Nondimeno, questa Corte ha precisato che il
principio del giusto processo non si esplicita nella sola durata ragionevole
dello stesso e ha ritenuto necessario prestare la massima attenzione ad evitare
di sanzionare comportamenti processuali ritenuti non improntati al valore
costituzionale della ragionevole durata del processo, a scapito degli altri
valori in cui, pure, si sostanzia il processo equo, quali il diritto di difesa,
il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto ad un giudizio.

37. D’altra parte, la stessa Corte Europea di
Strasburgo, pur sottolineando che ad essa non compete un sindacato sull’
interpretazione e sull’applicazione della regola emessa a livello nazionale,
ammette poi le limitazioni all’accesso ad un giudice solo in quanto
espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di
proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (tra le altre, Omar
c. Francia, 29 luglio 1998; Bellet c. Francia, 4 dicembre 1995), ha affermato
anche in particolare che ritenere l’irricevibilità di un ricorso non articolato
con la specificità richiesta configura un eccessivo formalismo (Walchi c.
Francia, 26 luglio 2007); ed ha posto in rilievo l’esigenza che le limitazioni
al diritto di accesso ad un giudice siano stabilite in modo chiaro e
prevedibile, e, dunque, alla stregua di una giurisprudenza non ondivaga o non
specifica ( Faltejsek c. Rep. Ceca, 15 agosto 2008).

38. La soluzione della questione all’odierno esame
non può, dunque, prescindere dagli principi innanzi richiamati e non consente
di affermare, come prospetta l’odierna ricorrente, che l’inerzia
dell’opponente, protrattasi per cinque anni possa essere sanzionata con la
improcedibilità anche nella ipotesi in cui difetti la comunicazione del decreto
del giudice di fissazione dell’udienza di comparizione e di assegnazione dei
termini per la notifica del decreto, comunicazione disposta dall’art. 87 c. 3 cit. 39. Tra le
parti era incontroverso (nel giudizio di merito) ed è indiscusso oggi che la
Cancelleria non comunicò al M. il decreto con il quale il giudice aveva fissato
l’udienza di comparizione delle parti, comunicazione, come detto, dovuta ai
sensi dell’art. 87 c. 3 del
d.lgs. n. 385.

40. Deve, in conseguenza, affermarsi la correttezza
della statuizione della Corte territoriale, che ha escluso che la mancata notifica
del ricorso in opposizione, e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza
di comparizione delle parti, alla liquidazione coatta amministrativa
comportasse l’improcedibilità dello stesso ricorso in opposizione.

41. Pertanto, il terzo motivo del ricorso deve
essere rigettato.

42. Il primo ed il secondo motivo di ricorso devono
essere trattati congiuntamente in ragione della connessione logico giuridica
delle questioni che essi pongono (natura retributiva o previdenziale dei
contributi versati al Fondo, ammissione del credito concernente la restituzione
di tali contributi allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa
in via privilegiata ovvero in via chirografaria, regime del cumulo di interessi
e rivalutazione e decorrenza).

43. Il primo motivo, diversamente da quanto
prospetta il controricorrente, è ammissibile.

44. Il giudicato si può formare solo in relazione ai
capi della sentenza completamente autonomi rispetto a quelli investiti
dall’impugnazione, perché fondati su autonomi presupposti di fatto e di
diritto, tali da  consentire che ciascun
capo conservi efficacia precettiva, anche se gli altri vengono meno. La
suddetta autonomia non ricorre rispetto ai meri passaggi motivazionali, oppure qualora
venga in rilievo un presupposto necessario di fatto o di diritto che,
unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (tra le
molte, Cass. n. 4905/2021, Cass. n. 27560/2020; Cass.
n. 5552/2020; Cass. n. 16836/2019,.Cass. n. 24358/2018, Cass. n.21566/2017, Cass. n.
726/2006).

45. Questa Corte ha anche precisato che la locuzione
giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del
giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto,
dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura,
motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione
sull’intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno,
impone al giudice di  verificare la norma
applicabile e la sua corretta interpretazione (Cass. n. 16853/2018, Cass. n.
24783/2018, Cass. n. 12202/2017).

46. Deve, inoltre, osservarsi che è consolidato
nell’orientamento di questa Corte (tra le altre, Cass. n. 4905/2021, cit.,
Cass. n 34026/2019) il principio per il quale il giudicato si forma anche sulla
qualificazione giuridica data dal giudice all’azione, quando essa abbia
condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la parte
interessata abbia omesso di proporre specifica impugnazione sul punto. Ma, è
stato precisato, che non si può formare giudicato sulla qualificazione –
giuridica quando l’appellante abbia formulato difese di merito incompatibili
con essa, pur non avendola impugnata espressamente.

47. Ebbene, con riguardo alla fattispecie in esame,
va rilevato che dalla sentenza impugnata emerge in modo chiaro ed inequivoco
che la liquidazione amministrativa con l’atto di appello non si era limitata a
domandare il rigetto delle domande proposte dal M., ma aveva chiesto
“comunque il rigetto della richiesta di riconoscimento del
privilegio”  (sentenza impugnata,
pg. 3 primo rigo), aveva contestato la statuizione del giudice di primo grado, che
aveva riconosciuto il diritto alla rivalutazione monetaria in concorso con gli
interessi legali, “deducendo che la contribuzione che spetta all’iscritto,
che cessa senza diritto a pensione non riveste natura pensionistica e,
pertanto, mancano i presupposti per riconoscere alla stessa la natura di retribuzione
differita” (sentenza impugnata, pg. 3 secondo capoverso).

48. La sentenza impugnata (sentenza impugnata, pg. 5
u.cpv., pg. 6 primo e secondo rigo), ha anche affermato che i trattamenti
pensionistici integrativi hanno natura giuridica di retribuzione differita, sia
pure con funzione previdenziale” e che, pertanto “contrariamente a
quanto affermato dall’appellante, correttamente il primo giudice ha
riconosciuto la rivalutazione monetaria ed aveva ammesso il credito in via
privilegiata, ai sensi dell’art. 2751 bis n. 1 c.
c.”.

49. E’, quindi, evidente che le contestazioni
formulate in appello dalla liquidazione coatta amministrativa, quanto alla
spettanza del cumulo degli interessi con la rivalutazione monetaria ed alla
ammissione del credito in via privilegiata, affermata dal giudice di primo
grado, hanno impedito il passaggio in giudicato anche della statuizione che ha
attribuito al credito natura retributiva e, su questa premessa, ha ritenuto
applicabile l’art. 2751 bis n. 1 cod.civ. Si
tratta, infatti, di difese che, sul piano logico giuridico, erano in contrasto
con la qualificazione retributiva del credito e con la sua natura di credito
assistito dal privilegio generale.

50. Nel merito il primo motivo è fondato.

51. Sulla natura previdenziale o retributiva del
credito concernente i versamenti effettuati dal datore di lavoro alla cd.
Previdenza complementare.

52. Con la sentenza del
9 marzo 2015 n.. 4684, queste Sezioni Unite hanno risolto il contrasto
esistente in seno alla Suprema Corte, concernente la natura dei versamenti
effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa o complementare (la
fattispecie concreta esaminata concerneva la questione della loro computabilità
o meno ai fini del trattamento di fine rapporto e dell’indennità di anzianità),
affermandone il carattere previdenziale (e, per tal via, hanno escluso la
computabilità nel TFR e nell’indennità di anzianità).

53. Nella menzionata sentenza, la linea di
demarcazione tra previdenza obbligatoria (ex lege) e previdenza integrativa o
complementare (ex contractu) è stata individuata nel carattere generale,
necessario e non eludibile della prima, a fronte della natura eventuale delle
garanzie della seconda, che sono fonte di prestazioni aggiuntive rivolte a
vantaggio esclusivo delle categorie di lavoratori aderenti ai patti
incrementativi dei trattamenti ordinari, e in relazione alla quale non opera il
principio dell’automatismo delle prestazioni.

54. È stato anche ritenuto che, anche prima della
riforma della previdenza complementare del 1993, i versamenti effettuati in
favore dei fondi di previdenza non possono essere considerati di natura
retributiva. Tanto, sul rilievo che gli stessi non sono corrisposti ai
dipendenti ma erogati direttamente al fondo.

55. Al già menzionato principio questa Corte si è
conformata nelle numerose sentenze pronunciate in fattispecie nelle quali, come
in quella in esame, i lavoratori dipendenti della S. s.p.a., iscritti al
relativo Fondo Integrativo Pensioni, avevano chiesto l’ammissione, in via
privilegiata, allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della
S. s.p.a., delle somme corrispondenti ai contributi versati al F.I.P. dalla
datrice di lavoro (tra le molte, Cass. sez. Lav. n. 25958/2017, n. 20829/2017, n. 20828/2017, n. 20775/2017, n.
20717/2015, n. 18041/2015).

56. La natura previdenziale dei contributi versati
dalla S. al FIP è stata nuovamente ribadita da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 6928/2018 (p.14 lett. a)), alle quali
era stata sottoposta (Ordinanza della VI Sezione Civile I n. 20512/2017) la
questione, qualificata “di massima di particolare importanza”
relativa alla applicabilità o meno del divieto di cumulo di rivalutazione
monetaria ed interessi legali, previsto dall’art.
16 c. 6 della I. n. 412 del 1991, anche ai crediti – maturati da
lavoratore, con riguardo alle somme versate nei fondi integrativi, come quello
di cui si tratta nel presente giudizio (su cui, più diffusamente di seguito)

57. Al principio per il quale i versamenti
effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa o complementare
hanno natura previdenziale e non retributiva deve essere data continuità,
perché sono condivisibili le ragioni esposte nelle sentenze innanzi richiamate,
ragioni che devono intendersi qui richiamate ex art.
118 disp. att. cod.proc.civ., che non risultano efficacemente contrastate
nel controricorso e che trovano conforto nelle pronunce della Corte
costituzionale, che ha ricondotto all’alveo dell’art.
38 c. 2 della Costituzione la funzione della previdenza complementare, in
ragione del suo concorso alla realizzazione dell’obiettivo dell’adeguatezza dei
mezzi al soddisfacimento delle esigenze di vita in caso di infortunio,
malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione volontaria (Corte Cost. n.
303/2000, Corte Cost. n. 319/2001, C. Costit. n.
218/2019).

58. Natura chirografaria o privilegiata dei
versamenti effettuati da S. al FIP

59. Dalla affermata natura previdenziale delle
contribuzioni dei datori di lavoro ai Fondi di previdenza complementare
consegue che non è possibile accordare ai crediti correlati a detta
contribuzione il privilegio di cui all’art. 2751
bis n. 1, riservato, come recita la rubrica della disposizione, ai
“Crediti per “retribuzioni e provvigioni, crediti dei coltivatori
diretti, delle società o enti cooperativi e delle imprese artigiane”,
indicati nei nn. da 1 a 5 ter, nei termini precisati dalla Corte costituzionale
con le sentenze n. 326/1983, n. 1/1998 e n.
220/2002.

60. Deve, anche, escludersi che la riconducibilità
del sistema della previdenza complementare al principio affermato dall’art. 38 c. 2 della Costituzione (cfr.p. n. 57 di
questa sentenza), consenta di applicare ai crediti correlati ai contributi
versati dal datore di lavoro ai Fondi di previdenza complementare il regime del
privilegio previsto dagli art. 2753 e 2754 cod.civ.

61.
L’art. 2753 cod.civ. (Crediti per contributi di assicurazione obbligatoria per
l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti) limita, infatti, l’attribuzione del
carattere di privilegio generale ai Soli crediti “derivanti dal mancato
versamento dei contributi ad istituti, enti o fondi speciali, compresi quelli
sostituiti o integrativi, che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria
per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti”.

62.
L’art. 2754 cod.civ. (Crediti per contributi relativi ad altre forme di
assicurazione), attribuisce la garanzia del privilegio generale anche ai
crediti per contributi relativi ai contributi dovuti “per forme di tutela
previdenziale e assistenziale diverse da quelle indicate dal precedente
articolo”.

63. L’espressione di apertura “Hanno pure
privilegio” che si legge nell’art. 2754
cod.civ. attesta, in modo inequivoco, lo stretto legame di continuità tra
le due norme destinate a garantire in modo completo e coerente le  contribuzioni dovute al sistema della
previdenza obbligatoria e la finalità di chiusura del sistema di garanzia
propria dell’art. 2754 cod.civ.

64. In altri termini, le disposizioni contenute
negli artt. 2753 e 2754
cod.civ. sono diverse solo per l’oggetto del fischio: invalidità, vecchiaia
e superstiti indicate nell’art. 2753; forme di tutela previdenziale e
assistenziale diverse da quelle indicate dal precedente articolo, indicate
nell’art. 2754, ma entrambe giustificano
l’attribuzione del privilegio generale di cui all’art.
2751 cod.civ. solo nell’ambito delle forme di “assicurazione generale
obbligatoria (Cass. 25173/2015).

65. Deve osservarsi che il privilegio previsto dall’ art. 2754 cod.civ. trova anch’esso
giustificazione nel fatto che l’interesse pubblico al reperimento ed alla
conservazione delle fonti di finanziamento della previdenza sociale è il
medesimo, indipendentemente dall’oggetto del rischio coperto e ciò spiega la
ragione per la quale non è applicabile ai contributi dovuti agli enti privati
che gestiscono forme integrative di previdenza ed assistenza, non essendo gli
stessi dovuti in base alla legge, ma in forza della contrattazione collettiva
(Cass. 19792/2015, Cass. n. 15676/2006; Cass n. 12821/1998).

66. In conclusione, una diversa lettura dell’art. 2754 cod.civ., volta a ritenere che esso
metta insieme sia previsioni legali di contributi di assicurazione obbligatoria
per evenienze diverse da invalidità, vecchiaia e superstiti, sia forme di
assicurazione volontaria, oltreché contraria al chiaro ed inequivoco dato
testuale e sistematico, determinerebbe una protezione così aperta da risultare
indiscriminata ed irrazionale, perché gioverebbe anche ad interessi non
riconoscibili ex ante in una disciplina pubblicistica o, più semplicemente, di
predeterminazione normativa, che proprio l’obbligatorietà dell’assicurazione,
da cui muove con chiarezza l’articolo 2753 cod.civ.
tende, invece, ad attuare.

67. In conclusione, il primo motivo, nei diversi
profili di censura in cui è articolato, deve essere accolto.

68. Il secondo motivo è fondato nei termini e nei
limiti che sono indicati di seguito

69. Sul cumulo di rivalutazione monetaria e
interessi legali.

70. L’ attrazione della previdenza complementare
(cfr p. n.57 di questa sentenza) nell’orbita dell’art.
38 c. 2 della Costituzione non elide la linea di demarcazione, tra
previdenza obbligatoria (ex lege) e previdenza integrativa o complementare (ex
contractu), individuata, come detto, nel carattere generale, necessario e non
eludibile della prima, a fronte della natura eventuale delle garanzie della
seconda, che sono fonte di prestazioni aggiuntive, rivolte a vantaggio
esclusivo delle categorie di lavoratori aderenti ai patti incrementativi dei
trattamenti ordinari.

71. Il divieto di cumulo tra interessi e
rivalutazione monetaria sui crediti è stato introdotto, dall’art. 16 c. 6 della legge 30 dicembre
1991 n. 412, per le forme di gestione di previdenza obbligatoria per
un’esigenza di salvaguardia del bilancio statale.

72. Il diritto alla rivalutazione monetaria del
credito previdenziale di natura non pubblicistica deriva dall’intervento della
Corte Costituzionale, la quale, con sentenza n.
156/1991 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 442 cod.proc.civ., nella parte in cui non
prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di
somme di denaro per  crediti relativi a
prestazioni di previdenza sociale, deve determinare gli interessi a tasso
legale dovuti e il maggior danno eventualmente subito dal titolare del credito
per la diminuzione di valore del credito a causa della svalutazione monetaria.

73. Dunque, l’equiparazione ai crediti di lavoro di
quelli previdenziali non aventi natura pubblicistica (ovviamente ai. fini
dell’applicazione della rivalutazione monetaria) deriva dal già menzionato
intervento della Consulta e non da un’interpretazione a contrariis dalla L. n. 412 del 1991, art. 16,
comma 6.

74. Come già detto, la previdenza complementare
presenta, pur sempre, caratteristiche strutturali che la differenziano rispetto
a quella obbligatoria: le risorse necessarie al perseguimento delle sue
finalità sono estranee al bilancio pubblico e tanto spiega la sua sottrazione
al principio dell’automatismo delle prestazioni postulato dall’art. 2116 cod.civ., che ne limita l’applicazione,
attraverso il richiamo espresso dell’art. 2114
cod.civ., alla sola previdenza ed assistenza obbligatoria.

75. L’estraneità alle risorse finanziarie pubbliche
costituisce, ad un tempo, la ragione per la quale non trova applicazione, sui
crediti correlati alla contribuzione ed alle correlate prestazioni, il divieto
di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi legali.

76. Va pertanto confermato il principio affermato da
queste Sezioni Unite nella sentenza n. 6928 del 2008, nella parte in cui ha
affermato (p. 14 lett. a)) che al trattamento pensionistico erogato dai fondi
pensione integrativi, pur avendo natura previdenziale, fin da quando tali fondi
sono stati istituiti, non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione
monetaria ed interessi previsto dall’art. 16,
comma 6, della I. n. 412 del 1991.

77. Alle argomentazioni spese nella menzionata
sentenza, da intendersi qui richiamate ai sensi dell’art.
118 disp. att. cod.proc.civ., deve essere aggiunto quanto segue.

78. E’ innegabile che, nell’ambito della previdenza
complementare, contribuzione e prestazione sono indubbiamente concettualmente
distinte, ma, pur sempre intimamente correlate: la contribuzione mira a
predisporre le risorse economiche e finanziarie da destinare all’erogazione
delle prestazioni, in un sistema sottratto, come detto, al principio
dell’automaticità delle prestazioni, il quale, in quanto espressione del
principio di solidarietà della previdenza pubblica, allenta in quest’ultima il
nesso tra contribuzione e prestazione.

79. Pur nella diversità strutturale del sistema di
previdenza obbligatoria, rispetto a quella complementare, nei termini descritti
innanzi, deve ritenersi che anche nell’ ambito di quest’ultima, non è dato
distinguere tra le due obbligazioni, quella di versamento dei contributi e
quella di erogazione della prestazione né, tampoco, di affermare che abbia
natura pecuniaria la seconda e non anche la prima.

80. Occorre considerare che l’art. 11 del d. Igs, 21 aprile n.
124 del 1993, applicabile ratione temporis (l’intero decreto è stato
abrogato dall’ art. 21 comma 8 del
d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252), disciplina, in modo dettagliato, le
vicende del Fondo e prevede (c.1) che “nel caso di scioglimento del fondo
pensione per vicende concernenti i soggetti tenuti alla contribuzione, si
provvede alla intestazione diretta della copertura assicurativa in essere per
coloro che fruiscono di prestazioni in forma pensionistica” mentre per gli
altri destinatari si applicano le disposizioni di cui all’art. 10 il quale prevede alla
lett. c) “il riscatto della posizione individuale”.

81. Il pagamento della contribuzione versata al
Fondo, nei casi nei quali la prestazione non possa essere erogata per la
cessazione del Fondo, coincide in sostanza con il riscatto, previsto dalla
legge (artt. 10 e 11 del
d.lgs. n. 124 del 1993) della contribuzione versata dal datore di lavoro a
favore del lavoratore, per ampliarne la tutela previdenziale, e resta estraneo
all’istituto disciplinato dall’art. 2033 cod.civ.

82. In conclusione, il secondo motivo di ricorso
deve essere rigettato nella parte in cui addebita alla Corte territoriale di
avere errato nell’estendere l’art. 429
cod.proc.civ. alla quota dei contributi riscattati e nell’ avere escluso
l’operatività del divieto di cumulo di cui all’ art. 16 c. 6 della I. n. 412 del 1991.

83. Decorrenza di rivalutazione monetaria ed
interessi legali

84. Il secondo motivo è fondato nella parte in cui
imputa alla Corte territoriale la violazione dell’art. 80 T.U.B. e dell’art. 55 della L.F.

85. Al principio per il quale il credito non .è
assistito da privilegio (cfr. supra dal p. n. 58 al p. n. 67 di questa
sentenza), in virtù dell’art. 55
della L.F., applicabile anche alla liquidazione coatta amministrativa (art. 201 della stessa L.F., art. 83 c. 2, d.l.gs. 10 settembre
1993, n. 385, nel testo vigente alla data del 5 settembre 1997, allorchè
provvedimento è stata disposta la 
liquidazione coatta amministrativa, applicabile ratione temporis),
consegue che, in continuità con il principio affermato da questa Corte ( Cass. n. 12551/2014) il corso di interessi e di
rivalutazione monetaria deve  arrestarsi
alla data del provvedimento che ha disposto la liquidazione coatta
amministrativa (nella fattispecie in esame il 5 settembre 1997) e non, come
affermato dalla sentenza impugnata alla data di deposito dello stato passivo.

86. Sulla scorta delle considerazioni svolte vanno
affermati i principi di diritto che seguono:

87. “Nell’ambito della procedura della
liquidazione coatta amministrativa, G 317 la mancata notifica da parte
dell’opponente del decreto con il quale il giudice istruttore designato fissa,
ai sensi dell’art. 87 c. 3 del
d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, nel testo antecedente alle modifiche
apportate dall’art. 1 c. 29 del
d.lgs. 16 novembre 2015, n. 181, l’udienza in cui i commissari e le parti
devono comparire davanti a lui, e assegna il termine per la notificazione del
ricorso e del decreto ai commissari e alle parti, non produce effetti
preclusivi, allorché l’opponente non abbia avuto conoscenza del termine
indicato per la notifica, perché la Cancelleria non gli ha comunicato il decreto
citato”.

88. “I versamenti del datore di lavoro nei
fondi di previdenza complementare – sia che il fondo abbia personalità
giuridica autonoma, sia che consista in una gestione separata del datore stesso
– hanno natura previdenziale e non retributiva.”

89. “Al credito correlato alle contribuzioni
dei datori di lavoro ai Fondi di previdenza complementare, non è applicabile il
divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dall’art. 16, comma 6, della I. n. 412 del
1991, in quanto non è corrisposto da un ente gestore di forme di previdenza
obbligatoria, ma da un datore di lavoro privato”.

90. “Nella procedura della liquidazione coatta
amministrativa, in virtù dell’art.
55 della L.F., dell’ art.
201 della stessa L.F., dell’ art.
83 c. 2, d.l.gs. 1 settembre 1993, n. 385, nel testo applicabile ratione
temporis, il corso di interessi e di rivalutazione monetaria sui crediti non
assistiti da privilegio deve arrestarsi alla data del provvedimento che ha
disposto la liquidazione”.

91. Sulla scorta dei siffatti principi, va accolto
il primo motivo di ricorso e,  nei limiti
e nei termini sopra esposti, va accolto anche il secondo motivo di ricorso,
mentre va rigettato il terzo motivo di ricorso.

92. La sentenza impugnata deve essere cassata in
ordine ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di Appello di
Palermo, in diversa composizione, che farà applicazione dei principi di
diritto, innanzi enunciati.

93. Le spese del giudizio di legittimità vanno
dichiarate compensate, in ragione del contrasto giurisprudenziale.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso.

Accoglie parzialmente il secondo motivo di ricorso.

Rigetta il terzo motivo di ricorso.

Cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi
accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di Palermo, in diversa
composizione.

Dichiara compensate le spese del giudizio di
legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 giugno 2021, n. 16084
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