Giurisprudenza – TRIBUNALE DI ASTI – Sentenza 04 giugno 2021
Lavoro, Trasferimenti e licenziamenti collettivi, Assenza
del flusso informativo e di consultazione sindacale, Condotte discriminatorie
Motivi della decisione
Con ricorso ex art. 414
c.p.c. depositato il 21.1.2020 la F. ha chiesto accertarsi la
antisindacalità della condotta posta in essere da D.S.P. s.r.l. e consistita
specificamente:
– nell’avere unilateralmente disapplicato il CCNL
Turismo, Distribuzione, Servizi sottoscritto dalla F. e richiamato nelle
lettere di assunzione, per sostituirlo con il CCNL sottoscritto dalla Cisal con
l’Ampit e Cidec;
– nell’avere attuato misure organizzative, quali
trasferimenti e licenziamenti collettivi nonché conciliazioni collettive, in assenza
del flusso informativo e di consultazione sindacale previsto dall’art. 3, comma
9°, del CCNL TDS;
– nell’aver posto in essere condotte
discriminatorie, per aver attuato trasferimenti collettivi nei confronti dei
lavoratori della sede di Roma al fine di indurre i predetti lavoratori ad
accettare, con conciliazioni collettive, la sostituzione del CCNL con
condizioni peggiorative.
Si è costituita in giudizio D.S.P. s.r.l. chiedendo
il rigetto del ricorso. Ha dedotto, in particolare, la società che:
– la scelta aziendale di applicare, a far data dal
1.3.2019, ad una parte dei dipendenti (gli addetti del magazzino) il CCNL
Fisal, in luogo del CCNL TDS precedentemente applicato, era giustificato
nell’ambito del più ampio processo di riorganizzazione dei magazzini, che
prevedeva il potenziamento del magazzino di C.B. a dispetto di quello di Roma e
la omogeneizzazione e armonizzazione dei contratti di lavoro degli addetti al
magazzino, con differenziazione del settore logistica rispetto al settore
commercio;
– la modifica del CCNL applicato ai rapporti di
lavoro non aveva creato ripercussioni negative sulle retribuzioni dei
lavoratori, i quali avevano mantenuto i medesimi livelli retributivi goduti in
precedenza;
– i lavoratori destinatari dei trasferimenti verso
la sede di C.B. avevano liberamente sottoscritto verbali di transazione con
l’assistenza dei legali di fiducia;
– non sussistevano i presupposti dimensionali per
l’applicazione alla resistente degli obblighi informativi previsti dall’art. 3
comma 9°, del CCNL TDS;
– la società resistente non era mai stata iscritta a
Confcommercio, associazione datoriale firmataria del CCNL TDS e detto contratto
era scaduto al momento della decisione datoriale di sostituirlo con il CCNL
Fisal, sicchè, detta modifica doveva ritenersi legittima, ben potendo la
società esercitare il recesso da un contratto collettivo scaduto.
Fallito il tentativo di conciliazione la causa è
stata discussa previo deposito di note conclusive.
Il ricorso, nei limiti di seguito indicati, è
fondato.
È pacifico tra le parti che la società resistente ha
applicato ai proprio dipendenti, prima del marzo 2019, il CCNL Turismo,
Distribuzione, Servizi, espressamente richiamato nei contratti di assunzione
con i propri dipendenti.
L’applicazione di detto contratto collettivo è
stata, inoltre, espressamente ribadita dalla resistente nell’accordo del 7
febbraio 2018 siglato davanti al Ministero del Lavoro, accordo che prevedeva
l’accesso alla Cigs e lo svolgimento di incontri di verifica per monitorare
l’evolversi della situazione di crisi aziendale (doc. 8 quinquies fascicolo
ricorrente).
Con comunicazione del 14.2.2019 D.S.P. ha comunicato
alla o.s. ricorrente e alle altre associazioni di categoria firmatarie del CCNL
TDS il “Passaggio al CCNL Cisal Servizi” con comunicazione del seguente tenore
“La D.S.P. s.r.l. comunica che a partire dal 1 marzo 2019 per il settore
logistica e magazzini adotterà il CCNL dei dipendenti di Aziende e cooperative
esercenti attività del settore servizi. Pertanto a partire da tale data, non
verrà più applicato ai dipendenti l’attuale CCNL del Commercio per i dipendenti
da aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi” (doc 10 fascicolo
ricorrente).
Detta decisione, assunta dalla società resistente in
via unilaterale, senza preventiva comunicazione di incontro o consultazione con
le o.s., è stata giustificata in giudizio, da un lato, con la mancata
iscrizione di D.S.P. s.r.l. a Confcommercio, associazione datoriale firmataria
del CCNL TDS e, dall’altro lato, con la già compiuta scadenza di tale contratto
collettivo al momento della scelta datoriale di sostituirlo con il CCNL Fisal.
Tuttavia tali argomentazioni non appaiono fondate,
in primo luogo, poiché la società resistente – a prescindere dalla propria
iscrizione alla Confcommercio – si è pacificamente obbligata all’applicazione
del CCNL TDS e, in secondo luogo, poiché alla data della decisione datoriale di
sostituzione del CCNL quest’ultimo doveva ritenersi ancora valido ed efficace.
Sul punto va infatti ricordato il consolidato
orientamento della Suprema Corte, recentemente ribadito con la sentenza n. 21537 del 2019, secondo cui “nel
contratto collettivo di lavoro la possibilità di disdetta spetta unicamente
alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di
norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta; al singolo
datore di lavoro, pertanto, non è consentito recedere unilateralmente dal
contratto collettivo, neppure adducendo l’eccessiva onerosità dello stesso, ai
sensi dell’art. 1467 c.c., conseguente ad una
propria situazione di difficoltà economica, salva l’ipotesi di contratti
aziendali stipulati dal singolo datore di lavoro con sindacati locali dei
lavoratori” (Cass. 19.4.2011 n. 8994 e, già
prima, Cass. 7.3.2002 n. 3296, e Cass. 15863/2002 richiamate da Cass. 7.11.2013
n. 25062), con la precisazione che “Ne segue che non è legittima la
disdetta unilaterale da parte del datore di lavoro del contratto applicato
seppure accompagnata da un congruo termine di preavviso. Solo al momento della
scadenza contrattuale sarà possibile recedere dal contratto ed applicarne uno
diverso a condizione che ne ricorrano i presupposti di cui all’art. 2069 c.c.” (Cfr., in tali termini, Cass.
n. 25062/2013 cit.).
Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, la
facoltà di recesso da un contratto collettivo va riconosciuta al datore di
lavoro ove il contratto sia stipulato a tempo indeterminato e senza
predeterminazione del termine di scadenza, atteso che il contratto stesso non
può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, altrimenti vanificandosi la
causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina,
da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve
essere parametrata su una realtà socio-economica in continua evoluzione; in
ogni caso, anche in tale ipotesi, il principio enunciato è valido sempre che il
recesso sia esercitato nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza
nell’esecuzione del contratto e non siano lesi i diritti intangibili dei
lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole ed entrati in
via definitiva nel loro patrimonio (in questi termini si esprime la sentenza n. 21537 del 2019, richiamando sul punto
i precedenti Cass. 25 febbraio 1997, n. 1694; Cass.
18 ottobre 2002, n. 14827; Cass. 20 settembre 2005, n. 18508; Cass. 20
dicembre 2006, n. 27198; Cass. 20 agosto 2009, n. 18548; Cass. 28 ottobre 2013, n. 24268).
Tuttavia, ove un termine di scadenza sia previsto
nel contratto collettivo, detto termine deve ritenersi vincolante e nessun
principio o norma dell’ordinamento induce a ritenere consentita l’applicazione
di nuovo CCNL prima della prevista scadenza di quello in corso di applicazione,
che le parti si sono impegnate a rispettare, sicchè deve ritenersi illegittima la
disdetta unilaterale del contratto applicato da parte del datore prima della
sua scadenza e deve escludersi la possibilità del recesso dal contratto ante
tempus, con conseguente impossibilità di applicazione di nuovo diverso CCNL
(così Cass. n. 21537 del 2019).
Quanto poi alla valutazione dei termini di validità
ed efficacia del contratto collettivo scaduto, la recente pronuncia della Corte di Cassazione. n. 3672 del 2021 dopo aver
richiamato l’insegnamento espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza 11325 del 2005 – secondo cui i contratti
collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell’autonomia
negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale
concordato dalle parti e la disposizione dell’art.
2074 c.c., sulla perdurante efficacia del contratto collettivo scaduto fino
a che non sia intervenuto un nuovo regolamento collettivo, non si applica ai
contratti collettivi post-corporativi – ha tuttavia precisato che la cessazione
dell’efficacia del contratto collettivo discende dalla scadenza del termine;
detta “scadenza”, tuttavia, va individuata alla luce delle complessive
pattuizioni delle parti, tenuto conto anche della eventuale previsione di
clausole di ultrattività. Infatti, ove nel contratto si preveda la perdurante
efficacia del contratto “fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL”,
essa va intesa nel senso che parti originariamente stipulanti abbiano inteso
vincolarsi al contenuto del contratto sottoscritto fino alla nuova negoziazione
e sottoscrizione, prevedendo espressamente un termine finale di efficacia.
Ne discende che in tale ipotesi non trova
applicazione il principio della libertà del recesso unilaterale, prevista
soltanto per le ipotesi di mancata indicazione di un termine di scadenza del
contratto collettivo di diritto comune.
Applicando i suesposti principi al caso di specie,
deve rilevarsi che il CCNL TDS del 30.3.2015 prevedeva effettivamente una
clausola di ultrattività, essendo previsto all’art. 259, secondo comma, che “Il
contratto si intenderà rinnovato secondo la durata di cui al primo comma se non
disdetto, tre mesi prima della scadenza, con raccomandata A. R. In caso di
disdetta il presente contratto resterà in vigore fino a che non sia stato
sostituito dal successivo contratto nazionale.”
Il comma primo del medesimo articolo, quanto alla
durata del contratto prevedeva che “Le parti, alla luce del principio di
ultravigenza condiviso nei precedenti rinnovi e preso atto che il precedente
contratto cessa la sua vigenza in data 31 Marzo 2015, concordano che il
presente contratto decorre dal 01/04/2015 e avrà vigore fino a tutto il
31/12/2019” (cfr. doc. 18 fascicolo ricorrente).
In proposito, sebbene – come rilevato dalla
resistente – il termine finale del 31.12.2019 sia stato introdotto, in luogo
della precedente scadenza fissata al 31.7.2018 (doc. 10 fascicolo resistente),
a seguito dell’accordo siglato dalle parti in data 13.5.2019 (cfr nota in calce
all’art. 259 (cfr. doc. 18 fascicolo ricorrente), non può comunque negarsi la
perdurante efficacia del CCNL anche nel febbraio 2019 (momento in cui la
resistente ha comunicato la disapplicazione del CCNL TDS) proprio in ragione
della clausola di ultrattività già prevista dal secondo comma dell’art. 259 e
della mancata stipula a quella data del nuovo contratto.
Il recesso unilaterale comunicato dalla società
resistente in data 14.2.2019 durante la vigenza del contratto collettivo cui
aveva deciso di aderire deve pertanto ritenersi illegittimo.
L’illegittimità del recesso risulta inoltre dalle
modalità con cui detto recesso è stato effettuato.
Il recesso è infatti avvenuto mediante mera
comunicazione, inviata alle o.s., della decisione già assunta unilateralmente
dalla società, in assenza di preventiva informazione e consultazione con
riferimento alla modifica del CCNL applicato e alle più ampie scelte di
riorganizzazione aziendale.
È invero pacifico e documentalmente provato che nel
dicembre 2018 D.S.P. s.r.l. abbia provveduto a licenziare 3 addetti al
magazzino di Roma e a gennaio 2019 abbia comunicato il trasferimento a C.B. per
i restanti 4 addetti, così di fatto accentrando sulla sede di C. tutte le
attività di logistica, dapprima suddivise tra i due magazzini (docc. 19. 20
fascicolo ricorrente e 3 fascicolo resistente).
Dopo aver disposto altresì il mutamento di CCNL
applicato, la resistente ha infine raggiunto con i 4 lavoratori addetti al
magazzino di Roma degli accordi transattivi in sede sindacale (presso la sede
CISAL) che prevedevano l’accettazione da parte dei lavoratori dell’applicazione
del CCNL Cisal a fronte della revoca del trasferimento.
Ebbene, anche tali provvedimenti sono stati assunti
dalla resistente senza alcuna informazione e consultazione con le oo.ss., in
spregio di quanto previsto dall’art.
4 del d.lgs. 25/2007 e dall’art. 3, comma nono, del CCNL TDS.
Il d. lgs. 25/2007, applicabile alle imprese, tra le
quali l’odierna resistente, che impiegano almeno 50 lavoratori, prevede all’art. 4 che: “1. Nel rispetto dei
principi enunciati all’articolo 1,
ferme restando le eventuali prassi più favorevoli per i lavoratori, i contratti
collettivi definiscono le sedi, i tempi, i soggetti, le modalità ed i contenuti
dei diritti di informazione e consultazione riconosciuti ai lavoratori”; il
richiamato art. 1 richiamato
prevede, al comma 2, che “Le modalità di informazione e consultazione sono
stabilite dal contratto collettivo di lavoro in modo tale da garantire comunque
l’efficacia dell’iniziativa, attraverso il contemperamento degli interessi
dell’impresa con quelli dei lavoratori e la collaborazione tra datore di lavoro
e rappresentanti dei lavoratori, nel rispetto dei reciproci diritti ed
obblighi”.
Al comma
3 dell’art. 4 si prevede poi specificamente che “l’informazione e la
consultazione riguardano:
a) l’andamento recente e quello prevedibile
dell’attività dell’impresa, nonché la sua situazione economica;
b) la situazione, la struttura e l’andamento
prevedibile dell’occupazione nella impresa, nonché, in caso di rischio per i
livelli occupazionali, le relative misure di contrasto;
c) le decisioni dell’impresa che siano suscettibili
di comportare rilevanti cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, dei
contratti di lavoro, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 7, comma 1.”
In attuazione di quanto sopra il CCNL TDS (doc. 7
sexies fascicolo ricorrente) prevede all’art. 3, comma 9°, che “Con la stessa
periodicità di cui al primo comma del presente articolo, le aziende che
occupano almeno 50 dipendenti forniranno alle organizzazioni sindacali e/o
RSA/RSU informazioni, orientate alla consultazione tra le parti, così come
previsto dal d. lgs. n. 25/2007 riguardanti:
a) l’andamento recente e quello prevedibile dell’attività dell’impresa, nonché
la sua situazione economica; b) la situazione, la struttura e l’andamento
prevedibile dell’occupazione nella impresa, nonché, in caso di rischio per i
livelli occupazionali, le relative misure di contrasto; c) le decisioni
dell’impresa che siano suscettibili di comportare rilevanti cambiamenti
dell’organizzazione del lavoro, dei contratti di lavoro”.
Richiamato quanto sopra enunciato in merito alla
perdurante vigenza del CCNL e alla vincolatività dello stesso per la società
resistente al momento della decisione in ordine al mutamento di CCNL e
dell’adozione dei provvedimenti di licenziamento e trasferimento, va affermato,
contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, che l’obbligo informativo
ai sensi della previsione del CCNL gravava su D.S.P. alla luce del chiaro
dettato del nono comma dell’art. 3:
detto comma infatti si applica alle imprese con un numero di dipendenti pari
almeno a 50 (e non a 300, come invece previsto, ad altri fini, dal comma primo
del medesimo articolo) e la resistente, come dalla stessa riconosciuto in
giudizio, occupava all’epoca dei fatti 108 dipendenti.
A tale obbligo la resistente non ha pacificamente
adempiuto, avendo la stessa deciso unilateralmente la sostituzione del CCNL
applicato agli addetti al magazzino e avendo poi intrapreso trattative con i
singoli lavoratori, senza alcun coinvolgimento della o.s. ricorrente,
firmataria del CCNL illegittimamente disapplicato.
Non vi è dubbio che le condotte sopra enunciate
siano lesive dell’immagine e delle prerogative della o.s. ricorrente, sicchè ne
va dichiarata la natura antisindacale con ordine di rimozione degli effetti,
nella specie consistenti nell’ordine di prosecuzione nell’applicazione del CCNL
TDS sino al subentrare di valide disdette/recessi ovvero sino al subentrare di
un valido accordo novativo nonché nell’ordine di assicurare l’informazione e
consultazione prevista dal CCNL TDS e dal d.lgs.
25/2007. Va altresì ordinata l’affissione della sentenza nella bacheca
aziendale, e non anche sui quotidiani nazionali, in ragione dell’ambito
aziendale di lesività delle condotte accertate.
Non si ravvisa invece la violazione degli artt. 4 e 24 della l. 223/1991 non
ravvisandosi nel caso di specie una ipotesi di licenziamento collettivo
rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina ivi prevista.
Neppure si ravvisano profili di discriminazione in
senso proprio nelle condotte denunciate dalla o.s. ricorrente, non essendo
neppure stato enunciato che essa abbia ricevuto un trattamento deteriore
rispetto ad altre organizzazioni che si trovavano nelle medesime condizioni
della ricorrente.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si
liquidano nella misura di cui al dispositivo alla luce dei parametri di cui al D.M. 55/14 e in considerazione della
concentrazione del giudizio e della mancanza di istruttoria, al di fuori di
quella documentale.
P.Q.M.
Visto l’art. 429 c.p.c.,
definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza, eccezione o
deduzione respinte:
– accerta l’antisindacalità della condotta tenuta
dalla convenuta e consistente nella unilaterale disapplicazione del CCNL
Turismo, Distribuzione, Servizi sottoscritto dalla F. Cgil, e ordina alla
convenuta di proseguire nell’applicazione del CCNL TDS nonché di assicurare
l’informazione e consultazione prevista dal CCNL TDS e dal d.lgs. 25/2007 e di affiggere il presente
provvedimento in luogo accessibile a tutti per 20 giorni;
– condanna parte convenuta a rimborsare a parte
ricorrente le spese di lite, liquidate in € 3.500,00, oltre rimborso
forfettario spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa alle rispettive
aliquote di legge.