Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2021, n. 16394
Rapporto di lavoro, Assistente tecnico, Violazione dell’art. 4 della legge n. 124/1999,
Supplenze annuali, Risarcimento danni
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Ancona, adita dal Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha riformato la sentenza del
Tribunale di Ascoli Piceno, che aveva accolto la domanda subordinata di
risarcimento del danno per equivalente proposta da M. P. ed aveva condannato il
MIUR al pagamento della somma di € 120.000;
2. l’originario ricorrente negli anni scolastici dal
2004/2005 al 2008/2009 aveva svolto l’attività di assistente tecnico sulla base
di supplenze conferite sino al 30 giugno, ed aveva poi promosso nei confronti
del MIUR un primo giudizio, definito dal Tribunale di Ascoli Piceno con la
sentenza n. 241/2010, passata in giudicato, con la quale era stata accertata la
violazione dell’art. 4 della
legge n. 124/1999, perché le supplenze dovevano essere annuali e non sino
al termine delle attività didattiche, ed il Ministero era stato condannato a
riconoscere i benefici economici e giuridici che sarebbero derivati al P. dalla
prestazione di lavoro anche nei mesi estivi;
3. la successiva iniziativa giudiziaria era stata da
quest’ultimo intrapresa perché il MIUR aveva provveduto a liquidare le
differenze retributive, ma non aveva rettificato il punteggio riconosciuto in
graduatoria, punteggio che, ove maggiorato, gli avrebbe consentito di essere
assunto a tempo indeterminato in qualità di assistente tecnico edile,
posizione, questa, non più disponibile negli organici dell’amministrazione a
far tempo dall’anno scolastico 2009/2010;
4. il P. aveva, quindi, domandato in via principale
l’inquadramento come assistente ATA nell’area AR/10 edile, anche in
soprannumero, ed in subordine il risarcimento del danno, patrimoniale e non
patrimoniale, da quantificare in relazione alla differenza fra il trattamento
retributivo previsto per la qualifica alla quale avrebbe avuto diritto e quello
percepito in qualità di bidello, differenza che andava apprezzata e liquidata
per l’intero arco della vita lavorativa;
5. la Corte d’appello, nell’accogliere il gravame
del Ministero, ha osservato che:
a) la domanda principale di inquadramento nel
profilo di assistente tecnico edile era stata implicitamente rigettata dal
Tribunale e sul rigetto si era formato giudicato interno perché il P. non aveva
proposto impugnazione incidentale;
b) aveva errato il primo giudice nel ritenere che
dovesse essere riconosciuto il risarcimento del danno per equivalente perché,
da un lato, era ancora possibile la ricostruzione della carriera e dall’altro
non risultava dagli atti che l’interessato avesse «ritualmente compulsato
l’Amministrazione scolastica per conseguire lo specifico posto di ruolo ad
altri assegnato»;
c) il risarcimento del danno per equivalente, che ha
natura residuale, può essere riconosciuto solo qualora non sia obiettivamente
possibile la tutela reale o ripristinatoria ed inoltre presuppone la prova, non
emersa nel giudizio, del diritto all’assunzione in ruolo;
5. per la cassazione della sentenza M. P. ha
proposto ricorso sulla base di un unico motivo, al quale non ha opposto difese
il Ministero, che ha depositato solo atto di costituzione chiedendo di poter
partecipare all’udienza pubblica.
Considerato che
1. il ricorso denuncia con un unico motivo formulato
ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
«insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione della sentenza
impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine alle
risultanze documentali» e addebita alla Corte territoriale di avere
contraddittoriamente, da un lato, affermato che si era formato giudicato
interno sul rigetto della domanda principale di ricostruzione della carriera,
dall’altro che doveva essere escluso il risarcimento per equivalente in quanto
aveva errato il Tribunale nel ritenere che la ricostruzione stessa non fosse
più possibile;
1.1. sostiene che il diritto ad essere immesso in
ruolo quale assistente tecnico doveva essere desunto dalle stesse affermazioni
del Ministero il quale, nel costituirsi in giudizio, aveva riconosciuto che due
concorrenti erano stati assunti a tempo indeterminato con decorrenza dal 1°
settembre 2008, sebbene avessero un punteggio inferiore a quello che gli doveva
essere attribuito;
2. il ricorso è inammissibile;
con la sentenza n. 34476/2019
le Sezioni Unite di questa Corte hanno riassunto i principi, ormai consolidati,
affermati in relazione alla riformulazione dell’art.
360 n. 5 cod. proc. civ. ad opera del d.l. n. 83/2012
e, rinviando a Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n.
33679/2018, hanno evidenziato che:
a) il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto
nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo;
b) l’omesso esame di elementi istruttori non integra
di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico
rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice,
benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
c) neppure il cattivo esercizio del potere di
apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad
un vizio rilevante ai sensi della predetta norma;
d) nel giudizio di legittimità è denunciabile solo
l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della
sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
e) tale anomalia si esaurisce nella mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione
apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella
motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione;
2.2. quest’ultimo vizio, non riconducibile al n. 5
dell’art. 360 cod. proc. civ., va denunciato ai
sensi del combinato disposto degli artt. 132 e 360 n. 4 cod. proc. civ. ed è ravvisabile solo
qualora la carenza o la contraddittorietà siano tali da indurre la mancanza di
un requisito essenziale della decisione;
3. è evidente che nella fattispecie, anche a voler
ritenere non vincolante la formulazione della rubrica, la critica mossa alla
sentenza impugnata non è sussunnibile in alcuno dei due vizi in rilievo, perché
i fatti storici sono stati esaminati dalla Corte territoriale, che ha ritenuto
non provato l’asserito diritto all’assunzione in ruolo (punto 4.3. della
motivazione), e le affermazioni che si leggono nella sentenza impugnata,
riassunte nello storico di lite, lungi dall’essere inconciliabili fra loro,
seguono un percorso argonnentativo coerente che, ove ritenuto erroneo, doveva
essere censurato in questa sede mediante la denuncia degli errores in
procedendo o in iudicando nei quali sarebbe incorso il giudice d’appello;
4. la Corte territoriale, infatti, ha ritenuto che
si fosse formato giudicato sul rigetto implicito della domanda principale di
risarcimento in forma specifica e che ciò impedisse anche l’accoglimento della
subordinata, perché il risarcimento per equivalente ha «connotazione residuale»
e può essere riconosciuto solo qualora la «tutela reale o ripristinatoria», non
sia «obiettivamente» possibile, evenienza, quest’ultima, esclusa perché
l’accoglimento della domanda principale non coltivata sarebbe stata idonea ad
elidere ogni danno retributivo o contributivo;
5. il ricorso non coglie la ratio decidendi della
pronuncia, non individua le norme che così ragionando il giudice d’appello
avrebbe violato e svolge argomentazioni che prescindono del tutto dalle ragioni
poste a fondamento del rigetto della domanda e sollecitano un giudizio di
merito sulla documentazione versata in atti, che, a detta del ricorrente,
sarebbe stata sufficiente a dimostrare il diritto all’assunzione a tempo
indeterminato con la qualifica di assistente tecnico edile;
6. la censura, inoltre, è formulata senza il
necessario rispetto dell’onere di specifica indicazione imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.;
6.1. nel giudizio di cassazione, a critica vincolata
ed essenzialmente basato su atti scritti, essendo ormai solo eventuale la
possibilità di illustrazione orale delle difese, i requisiti di completezza e
di specificità imposti dall’art. 366 cod. proc.
civ. perseguono la finalità di consentire al giudice di legittimità di
avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a
fonti esterne, e, pertanto, qualora la censura si fondi su atti o documenti è
necessario che di quegli atti il ricorrente riporti il contenuto, mediante la
trascrizione delle parti rilevanti, precisando, inoltre, in quale sede e con
quali modalità gli stessi siano stati acquisiti al processo;
6.2. non è sufficiente che la parte assolva al
distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 n. 4 cod. proc. civ., perché l’art. 366 cod. proc. civ., come modificato dall’art. 5 del d.lgs. n. 40 del 2006,
riguarda le condizioni di ammissibilità del ricorso mentre la produzione è
finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento, sempre che lo
stesso sia stato specificamente indicato nell’impugnazione (Cass. n.
19048/2016);
6.3. i richiamati principi sono stati ribaditi dalle
Sezioni Unite in recente decisione con la quale si è affermato che «in tema di
ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure
fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si
limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero,
laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro
individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo
inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al
fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la
collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro
acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità» (Cass. S.U. n.
34469/2019);
7. non occorre provvedere sulle spese del giudizio
di cassazione perché il Ministero ha solo depositato atto di costituzione e non
ha svolto alcuna attività difensiva;
8. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n.
228, occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U.
n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla
legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese
del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.