Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 giugno 2021, n. 22835
Omesso versamento continuato delle ritenute previdenziali e
assistenziali, Responsabilità, Elemento soggettivo del reato, Accertamento
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 20/05/2019 la Corte di
appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia che,
all’esito di giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di
M. G. in ordine al delitto di omesso versamento continuato delle ritenute
previdenziali e assistenziali relative ai lavoratori occupati e, ritenendo la
continuazione con i fatti già giudicati con la pronunzia della Corte di appello
di Brescia n. 1095 del 2016, divenuta irrevocabile il 14/03/2018, l’aveva
condannata alla pena, in aumento, di mesi 1 e giorni 10 di reclusione e aveva
determinato il cumulo in mesi 4 e giorni 20 di reclusione.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il difensore di fiducia della G., avv.to R.D., articolando due
motivi di doglianza, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.,
erronea applicazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 2, comma 1-bis, I. n. 638
del 1983 e 43 cod. pen. e vizio di
motivazione per contraddittorietà e illogicità in punto di valutazione della
crisi di liquidità in cui era incorsa la Società G. S. s.r.l.
Nello specifico, rileva che la peculiare situazione
nella quale era venuta a trovarsi l’imputata, diversamente da quanto ritenuto
dalla Corte territoriale, non avrebbe potuto intendersi come mera carenza di
liquidità, sostanziandosi, piuttosto, in una grave crisi economica, causata
dalla drastica riduzione del fatturato e dai rilevanti oneri finanziari
conseguenti a precedenti investimenti; aggiunge che il piano di rientro imposto
dagli istituti di credito non consentiva margini di manovra, sicchè era erroneo
affermare che l’omesso versamento all’ente previdenziale costituiva espressione
della scelta consapevole di privilegiare taluni pagamenti rispetto ad altri, come
peraltro comprovava il programma di rateizzazione concordato con l’Agenzia
delle Entrate allorquando erano state reperite le risorse necessarie; conclude,
pertanto, che, nella vicenda concreta, avrebbe dovuto escludersi la sussistenza
dell’elemento soggettivo, soprattutto nella sua componente volitiva, in quanto
non è configurabile il dolo qualora sia dimostrato che il soggetto obbligato,
pur avendo esperito tutte le azioni volte a reperire le somme necessarie ad
assolvere al debito contributivo, non sia riuscito ad onorarlo per cause
indipendenti dalla sua volontà.
2.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto
di denegata concessione delle attenuanti generiche. Sostiene, in particolare,
che la Corte territoriale avrebbe fondato la decisione sulla condizione di non
incensuratezza dell’imputata e sulla durata ed entità delle omissioni, così
obliterando il corretto comportamento tenuto dalla predetta in epoca successiva
ai fatti, sostanziatosi nel versamento all’ente previdenziale delle somme in
origine illecitamente trattenute, in conformità alle prescrizioni del piano di
rateizzazione del debito in concreto concordato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso presentato nell’interesse di M. G.
risulta manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
2. Privo di fondamento appare, innanzitutto, il
primo motivo di ricorso, con cui ci si duole dell’erronea applicazione del
combinato disposto di cui agli artt.
2, comma 1-bis, I. n. 638 del 1983 e 43 cod.
pen., nonché del vizio di motivazione per contraddittorietà e illogicità in
punto di valutazione della crisi di liquidità in cui era incorsa la Società
G.S. s.r.l.
Reputa, infatti, il Collegio che la Corte
territoriale, nel confermare la decisione di condanna resa dal giudice di prime
cure, abbia fatto corretta applicazione tanto della norma incriminatrice
speciale quanto della disposizione generale in tema di dolo, giustamente
escludendo che la carenza di liquidità patita dall’impresa di cui era titolare
l’imputata fosse stata di entità tale da rendere obbligata la decisione della
predetta di omettere il versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali
operate sulle retribuzioni dei lavoratori e da incidere, quindi, sull’elemento
soggettivo del reato.
Il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti
previdenziali è ritenuto dall’ordinamento di primaria rilevanza tanto che se
n’è estesa la tutela anche al piano penale, la qual cosa esclude in radice che
se ne possa sacrificare la salvaguardia ove il datore di lavoro abbia omesso il
versamento delle ritenute effettuate sulle retribuzioni dei propri dipendenti
per far fronte ai debiti contratti con i fornitori e con le banche.
Si ritiene, pertanto, che le circostanze addotte
dalla ricorrente, diversamente da quanto dalla stessa sostenuto, non ne abbiano
coartato la volontà al punto da escludere il dolo, costituendo consolidato
insegnamento della Corte, cui questo Collegio intende dare continuità, quello
secondo cui «Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed
assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di
omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in
presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare
preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei
mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere
il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire
le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo
da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta
l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare» (così Sez. 3,
n. 43811 del 10/04/2017, Agozzino, Rv. 271189-01).
Né, d’altro canto, può ritenersi che, per effetto
della menzionata crisi di liquidità, la ricorrente si sia trovata in stato di
necessità, ove si consideri che la giurisprudenza di legittimità, in vicende in
cui il soggetto obbligato aveva omesso il versamento delle ritenute per
adempiere all’obbligo retributivo, connotate quindi da una minore gravità
rispetto a quella di cui trattasi, ha ripetutamente affermato che «Il reato di
omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali non può essere
scriminato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen.,
dalla scelta del datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà
economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni,
perché, nel conflitto tra il diritto de/lavoratore a ricevere i versamenti
previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è
il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore non irragionevole,
tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie
incriminatrice» (in tal senso Sez. F, n. 23939 dell’11/08/2020, Moretti Cuseri,
Rv. 279539-01 e Sez. 3, n. 36421 del 16/05/2019,
Tanghetti, Rv. 276683-03).
Esclusa la sussistenza della dedotta violazione di
legge, ritiene il Collegio che debba pervenirsi ad analoga conclusione con
riguardo al vizio di motivazione del pari denunciato con il motivo in disamina.
E invero, si osserva che la pronunzia di condanna
resa dalla Corte di appello di Brescia fonda su un impianto motivazionale
completo, logico e coerente, in cui si è esaustivamente argomentata la
sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di omesso versamento delle
ritenute previdenziali e assistenziali relative ai lavoratori occupati,
chiarendosi che la condotta tenuta dall’imputata è stata frutto di una scelta
consapevole – quella di privilegiare il pagamento dei debiti maturati con i
fornitori e con le banche – che, seppur giustificata sul piano della strategia
aziendale, risulta di per sè indicativa dell’esistenza del dolo generico.
Escluso, quindi, che nella motivazione del
provvedimento gravato sussistano le discrasie e le contraddizioni denunziate
dalla ricorrente, deve concludersi che la doglianza dalla stessa agitata si
risolva in un’ingiustificata e inammissibile richiesta di rivalutazione di
circostanze di fatto, sottratta al sindacato di questa Corte.
3. Egualmente infondato risulta il secondo motivo di
ricorso, con cui si lamenta la carenza, la contraddittorietà e l’illogicità
manifesta della motivazione in punto di denegata concessione delle attenuanti
generiche.
Rileva, infatti, il Collegio che la censura è
caratterizzata da un evidente difetto di specificità, atteso che la ricorrente,
allorquando sostiene che la decisione non avrebbe tenuto conto del successivo
versamento all’ente previdenziale delle somme in origine trattenute,
valorizzando, per converso, i precedenti penali esistenti a suo carico e la
durata e l’entità delle omissioni, finisce, di fatto, per riproporre una
questione già devoluta illo tempore alla Corte di appello bresciana e dal
giudice di merito puntualmente esaminata e disattesa con motivazione lineare ed
esente di vizi (rinvenibile, in specie, a pag. 9 della decisione).
In particolare, la Corte territoriale, con
argomentazioni nient’affatto illogiche o contraddittorie, ha ritenuto che il
riconoscimento delle attenuanti generiche dev’essere collegato all’esistenza di
elementi specifici suscettibili di positivo apprezzamento, aggiungendo, per un
verso, che, nella vicenda concreta, costituivano elementi di segno contrario i
precedenti penali esistenti a carico dell’imputata e l’entità degli omessi
versamenti e, per altro verso, che al loro cospetto assumeva valenza recessiva
il successivo versamento di quanto in origine illecitamente trattenuto.
Con tale percorso motivazionale non si confronta il
gravame, che ripropone, tal quali, le lamentazioni già prospettate alla Corte
territoriale, senza sottoporne in alcun modo la decisione ad autonoma e
argomentata confutazione.
Orbene, è pacifica acquisizione della giurisprudenza
di questa Corte che con i motivi di doglianza non possono essere riprodotte le
medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame,
dovendosi, ove ciò accada, ritenere aspecifici i motivi stessi.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va
valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità,
che conduce, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett.
c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione (così, ex
muitis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710-01, Sez. 2, n.
11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425-01, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013,
Sammarco, Rv. 255568-01 e Sez. 4, n. 18826 del
09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849-01).
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono,
il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la
ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e
considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato
senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
si dispone che la ricorrente versi in favore della Cassa delle Ammende la
somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
in favore della Cassa delle Ammende.