È discriminatorio negare il congedo per malattia del figlio al genitore “intenzionale”
Nota a App. Milano 17 marzo 2021, n. 453
Francesco Belmonte
Il diniego del congedo per malattia del figlio, seppur richiesto in via preventiva dalla “seconda” madre (c.d. “intenzionale”) di un bambino di una coppia omosessuale – in presenza di legame genitoriale documentato dagli atti di Stato Civile – costituisce una discriminazione diretta, posta in essere dal datore di lavoro in ragione dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale della lavoratrice.
In tale linea si è espressa la Corte di Appello di Milano (17 marzo 2021, n. 453), la quale, in parziale riforma della sentenza di primo grado (Trib. Milano, ord. 12 novembre 2020, annotata in q. sito da F. BELMONTE, Diritto al congedo parentale per la “seconda” madre di minore di una coppia omosessuale), ha ritenuto come la mancata concessione del congedo, anche disposta in via preventiva, abbia natura discriminatoria.
In particolare, la madre intenzionale, dopo aver edotto l’azienda di “essere diventata mamma”, ricorrendo a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), aveva richiesto la possibilità
di fruire del congedo per malattia del bambino “quando se ne presentasse la necessita”.
La società datrice, con lettera del 11 dicembre 2019, aveva respinto l’istanza in ragione di “una lettura sistematica della normativa italiana in materia di unioni civili, genitorialità e filiazione derivata dall’applicazione di tecniche di fecondazione assistita”, suffragata, tra l’altro, da “un approfondimento giurisprudenziale a supporto della relativa interpretazione”.
In subordine, poi, il diniego era avvalorato anche dalla circostanza che difettava il presupposto necessario per il riconoscimento del diritto in questione, ossia: la malattia del figlio.
I giudici di secondo grado – diversamente dal Tribunale che aveva ritenuto legittimo il rifiuto opposto dal datore di lavoro alla richiesta preventiva del congedo – dopo aver puntualmente ricostruito il quadro normativo antidiscriminatorio (euro-unitario e nazionale), hanno qualificato la condotta datoriale come discriminatoria.
In particolare, per la Corte territoriale, dal testo della lettera «emerge, con tutta chiarezza, come la ragione del rifiuto fosse costituita – non già dalla carenza di attualità della malattia del bambino – quanto piuttosto dalle valutazioni giuridiche condotte sugli istituti delle “unioni civili” e della “genitorialità” derivata da PMA».
Il carattere discriminatorio di tale “indebito sindacato sullo stato genitoriale della dipendente … non viene meno per la natura preventiva del diniego, il quale integra già in sé una disparità di trattamento della dipendente e risulta perciò lesivo della sua dignità e della sua posizione soggettiva”.
Per di più, il rifiuto in questione riveste, inoltre, “evidente potenzialità pregiudizievole, anche per la sua portata dissuasiva nei riguardi della lavoratrice, indotta – anche nel momento in cui il presupposto della malattia si fosse in concreto presentato – a desistere dal presentare ulteriore richiesta di permesso.”
Infine, i giudici milanesi hanno altresì accertato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla lavoratrice, avendo il diniego dei congedi inciso sul pieno esercizio della funzione genitoriale della madre.