Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 giugno 2021, n. 16154
Lavoro, Condotte vessatorie, Risarcimento danni, Anticipata
risoluzione del rapporto, Nullità della conciliazione sindacale
Rilevato che
1. con sentenza 20 marzo 2017, la Corte d’appello di
Milano rigettava l’appello proposto da O.G.B. avverso la sentenza di primo
grado, che ne aveva dichiarato improcedibili, in quanto oggetto del verbale di
conciliazione sindacale dell’11 giugno 2009, le domande di ricalcolo delle
somme dovutegli per incentivo all’esodo con inclusione del lavoro straordinario
prestato, di condanna della datrice H.A.O. (ora S.I. Holding) s.p.a. al
pagamento, a titolo risarcitorio, delle somme di € 20.000,00 per danni
psicofisici causati dalle condotte vessatorie subite negli ultimi sette/otto
anni (per essere stato adibito a compiti di consegna e trasporto vari e diversi
dalle proprie mansioni di fattorino direzionale) e pari ad un semestre di
retribuzioni (pari al periodo occorrente al raggiungimento dell’età pensionabile)
per anticipata risoluzione del rapporto, oltre che di € 28.050,00 per i
contributi relativi; e rigettato nel merito la domanda di ricalcolo del T.f.r.
con incidenza del compenso per lavoro straordinario dal 1994 alla data di
cessazione del rapporto, in quanto non compreso nella base di computo del CCNL
vigente.
2. la Corte territoriale escludeva la nullità della
conciliazione, in difetto di deduzione di alcun vizio specifico in tale senso,
dovendo essere disattesa la denunciata mancata assistenza all’accordo di un
rappresentante sindacale neppure conosciuto dal lavoratore, sul rilievo della
sottoscrizione dell’accordo, senza alcuna eccezione alla presenza del
sindacalista delegato (comportante implicito conferimento di un mandato) e
della sua accettazione finale;
3. essa riteneva infondata anche la subordinata
doglianza di omesso ricalcolo dell’incentivo all’esodo per il riferimento
dell’art. 3 dell’accordo di conciliazione (di salvezza, dalla definizione con
esso di ogni rapporto tra il lavoratore e la società datrice, “delle verifiche
relative ad errori contabili sulle spettanze di fine rapporto e sul
T.f.r.”) al solo errore materiale di computo e non anche alla
determinazione della composizione dell’incentivo, oggetto invece della
negoziazione tra le parti;
4. con atto notificato il 20 settembre 2017, il
lavoratore ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui la società datrice
resisteva con controricorso;
5. entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi
dell’art. 380bis 1 c.p.c.;
Considerato che
1. il ricorrente deduce errata applicazione degli artt. 410, 411 c.p.c.,
2113 c.c. e violazione dell’art. 112 c.p.c., per la ritenuta validità da parte
della Corte territoriale dell’accordo sindacale tra le parti, pure in mancanza
di una propria tutela effettiva da parte del rappresentante sindacale, essendo
insufficiente la sola sua presenza senza neppure essersi personalmente
conosciuti prima, né avere da lui ricevuto informazione del contenuto
dell’accordo e per non avere la Corte ammesso le prove orali dedotte, rilevanti
ai fini di accertare l’invalidità dell’accordo per tale ragione (primo motivo);
2. esso è infondato;
2.1. in materia di atti abdicativi di diritti del
lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti
del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di
contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede
sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai
rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in
condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura (Cass. 23 ottobre 2013, n. 24024; Cass. 4 settembre 2018, n. 21617);
2.2. premessa l’essenzialità dell’assistenza
effettiva dell’esponente sindacale, idonea a sottrarre il lavoratore a quella
condizione di inferiorità che, secondo la mens legis, potrebbe indurlo
altrimenti ad accordi svantaggiosi, si ritiene sufficiente alla realizzazione
di tale scopo l’idoneità dello stesso rappresentante sindacale a prestare in
sede conciliativa l’assistenza prevista dalla legge; posto che la compresenza
del predetto e dello stesso lavoratore al momento della conciliazione lascia
presumere l’adeguata assistenza del primo, chiamato a detto fine a prestare
opera di conciliatore (per il conferimento di un mandato implicito del
lavoratore necessariamente sottostante all’attività svolta dal primo), in
assenza di alcuna tempestiva deduzione né prova (dal dipendente di ciò onerato)
che il rappresentante sindacale, pur presente, non abbia prestato assistenza di
sorta (Cass. 3 settembre 2003, n. 12858);
2.3. ebbene, la Corte territoriale ha correttamente
applicato i suenunciati principi, avendo di fatto accertato l’adeguatezza
dell’assistenza sindacale del lavoratore in sede conciliativa davanti al
giudice, con argomentazione congrua in ragione della sua sottoscrizione
dell’accordo alla presenza del sindacalista delegato, senza alcuna eccezione e
dell’accettazione finale dello stesso (così al terzo capoverso di pg. 8 della
sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità;
3. il ricorrente deduce poi omesso esame di un punto
decisivo per la controversia, quale il secondo motivo di appello (di ricomputo
della liquidazione del T.f.r. tenendo conto delle ore di lavoro straordinario),
in quanto ritenuto assorbito dall’accordo sottoscritto in sede sindacale dal
lavoratore, in assenza tuttavia di maturazione del relativo diritto (secondo
motivo); violazione e falsa applicazione dell’art.
132 c.p.c., per mancanza di motivazione in ordine all’omesso calcolo del
T.f.r. con il computo delle ore di straordinario prestate, pur rientrando nella
salvezza, dall’applicazione dell’accordo tra le parti, delle “verifiche
relative ad errori contabili sulle spettanze di fine rapporto e sul TFR”
(terzo motivo);
4. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di
stretta connessione, sono inammissibili;
4.1. al di là dell’inesatta rubrica del primo vizio
qui scrutinato, quale punto in luogo di fatto, non si configura alcun fatto
storico, per il riferimento della doglianza piuttosto ad una valutazione
giuridica (non condivisa per la prospettata erroneità di ricalcolo del T.f.r.), ma neppure una
mancanza di motivazione, a norma dell’art. 132,
secondo comma, n. 4 c.p.c., qualora essa risulti del tutto inidonea ad
assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione
(per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e
comportante una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass.
25 settembre 2018, n. 22598): per giunta su una questione esplicitamente dichiarata
assorbita (al penultimo capoverso di pg. 8 della sentenza);
4.2. nel caso di assorbimento cd. improprio,
ricorrente nell’ipotesi, come appunto la presente, di rigetto di una domanda in
base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che renda vano
esaminare le altre, sul soccombente non grava l’onere di formulare alcun motivo
di impugnazione sulla questione assorbita (ricomputo della liquidazione del
T.f.r. con inclusione delle ore di lavoro straordinario), essendo sufficiente
che egli, per evitare il giudicato interno, censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di
carattere assorbente (ossia l’invalidità dell’accordo di conciliazione, oggetto
del precedente mezzo rigettato) o la stessa statuizione di assorbimento (qui
invece mancata), contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla
effettiva decisione della causa (Cass. 9 ottobre 2012, n. 17219; Cass. 12
luglio 2016, n. 14190);
4.3. sicché i due mezzi risultano del tutto
inconferenti;
5. il ricorrente deduce, infine, errata e falsa
applicazione degli artt. 2113 e 1965 c.c., in assenza, al momento di
sottoscrizione dell’accordo, di determinazione del T.f.r., in quanto calcolato
e pagato soltanto successivamente: così non essendo integrato il requisito di
reciprocità delle concessioni, peculiarmente proprio della transazione, per la
condizione di dubbio e di incertezza riguardante una di esse (quarto motivo);
errata applicazione dell’art. 1326 c.c., per
non corretta interpretazione dell’accordo di transazione in difetto di
attribuzione della giusta rilevanza alla locuzione “errori
contabili”, da intendere come comprensiva non soltanto di quelli materiali
di calcolo, ma anche dell’indicazione delle poste contabili e in particolare
del computo delle ore di straordinario nell’incentivo all’esodo (quinto
motivo);
6. anch’essi, congiuntamente esaminabili per ragioni
di stretta connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati;
6.1. anche qui occorre ribadire la non
impugnabilità, in materia di atti abdicativi di (e transattivi su) diritti del
lavoratore subordinato, dei verbali di conciliazione conclusi in sede
sindacale, a condizione dell’effettività dell’assistenza sindacale ivi
prestata, secondo i principi già sopra enunciati (ai punti sub 2.1. e 2.2.);
6.2. nel caso di specie, la Corte territoriale, e
prima ancora il Tribunale, ha(nno) accertato la validità (al terzo capoverso di
pg. 8 della sentenza) dell’accordo conciliativo tra le parti (come da verbale
trascritto sub p.to 5 di pg. 2 del ricorso), inclusivo delle competenze di fine
rapporto, ivi compreso il T.f.r. … erogati a decorrere dal mese successivo
alla cessazione del rapporto di lavoro” (p.to 2 dell’accordo), pertanto
considerato nel momento effettivo di sua insorgenza, appunto all’atto di
cessazione del rapporto di lavoro (Cass. 23 aprile
2009, n. 9695; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2827);
6.3. sicché, risultano dalla scrittura contenente la
transazione gli elementi essenziali del negozio e quindi della comune volontà
delle parti di comporre una controversia in atto o prevista (la res dubia),
ossia la materia oggetto delle contrastanti pretese giuridiche delle parti,
nonché il nuovo regolamento di interessi, che, mediante le reciproche
concessioni, viene a sostituirsi a quello precedente cui si riconnetteva la
lite o il pericolo di lite (Cass. 4 settembre 1990, n. 9114; Cass. 4 maggio 2016,
n. 8917): dovendo l’oggetto del negozio transattivo essere identificato non già
in relazione alle espressioni letterali usate dalle parti, non essendo
necessaria una puntuale specificazione delle contrapposte pretese, bensì in
relazione all’oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno
inteso comporre attraverso reciproche concessioni (Cass. 14 gennaio 2005, n.
690; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23482);
6.4. la reciprocità delle concessioni, necessaria
alla qualificazione come atto di transazione dell’accordo tra lavoratore e
datore di lavoro (Cass. 4 ottobre 2007, n. 20780; Cass.
7 novembre 2018, n. 28448), deve poi essere intesa in correlazione alle
pretese e contestazioni delle parti, non in relazione ai diritti effettivamente
a ciascuna spettanti (Cass. 4 settembre 1990, n. 9114): in particolare, nel
caso di specie, detta reciprocità è integrata dall’accettazione dal lavoratore
del licenziamento intimato e della rinuncia alla sua impugnazione (p.to 1 dell’accordo),
da una parte e, dall’altra, dall’erogazione dalla società datrice delle somme
ivi indicate (p.to 2 dell’accordo);
6.5. e
costituisce un apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice del
merito incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato,
l’apprezzamento della natura (se novativa o conservativa) della transazione, e
pertanto della regolazione degli interessi tra le parti (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 3 dicembre 2009, n. 25403), così come del
suo essere davvero un atto di transazione (Cass. 7
novembre 2018, n. 28448) e l’ampiezza del suo perimetro (Cass. 28 novembre
1981, n. 6351; Cass. 18 maggio 2018, n. 12367);
6.6. orbene, il giudice di merito ha inteso la
locuzione “errori contabili”, nell’accordo in questione, siccome
comprensiva soltanto di quelli materiali di calcolo, ma non anche riguardanti
la composizione delle poste contabili, offrendone un’interpretazione, neppure
correttamente denunciata con l’indicazione dei canoni interpretativi violati,
né tanto meno la specificazione delle ragioni né del modo in cui si sarebbe
realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21
giugno 2017, n. 15350), assolutamente plausibile, nemmeno essendo necessario
che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio
2007, n. 4178; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319; Cass. 27 giugno 2018, n.
16987), pure congruamente argomentata (per le ragioni esposte all’ultimo
capoverso di pg. 8 della sentenza): avendo peraltro il ricorrente meramente
contrapposto la propria a quella giudiziale, insindacabile in sede di
legittimità (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254); – sicché, alla fine, il lavoratore
ha contestato il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito
delle risoluzioni di fatto riservate al giudice di merito, incensurabili
nell’odierno giudizio, spettando alla Corte regolatrice solo la verifica del
rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della
motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla
ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si
traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi
esaminati (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891);
7. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere
rigettato, con la statuizione sulle spese secondo il regime di soccombenza e
raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei
presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20
settembre 2019, n. 23535);
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla
rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali,
oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se
dovuto.