Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2021, n. 16376

Rapporto di lavoro, Amenti contrattuali previsti dal CCNL,
Mncata corresponsione, Eficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle
associazioni sindacali stipulanti l’accordo

 

Rilevato

 

che con ricorso in sede monitoria, G.P., autista
dipendente di C. Soc. Coop. P.A. dall’1.1.2013 con inquadramento al terzo
livello S del CCNL Trasporti, ha richiesto ed
ottenuto il pagamento della somma di Euro 1.828,75, oltre spese legali, di cui
Euro 933,33 per mancata corresponsione dell’ultima tranche degli aumenti
contrattuali previsti dal CCNL Trasporto Merci
Industria 26.1.2011 ed Euro 895,42 per mancata corresponsione degli aumenti
contrattuali previsti dal rinnovo del CCNL Trasporto Merci Industria 1.8.2013
per il periodo dall’1.6.2013 al 30.9.2014;

che la società ha ammesso la debenza dell’importo di
Euro 933,33 per gli aumenti contrattuali previsti dal CCNL 26.1.2011, ma ha contestato la legittimità
della richiesta della somma di Euro 895,42 per gli aumenti contrattuali
previsti dal nuovo CCNL 1.8.2013, perché il
rinnovo contrattuale non era stato sottoscritto da parte dell’associazione
sindacale che la rappresentava, <<e solo con l’Accordo dell’8.5.2015 era
intervenuta una accettazione da parte di quei sindacati dei lavoratori e quelli
datoriali che non avevano ancora firmato», con cui, appunto, si prevedeva l’una
tantum per il periodo scoperto, erogato con una prima tranche;

che il Tribunale, con la sentenza n. 882/2015, resa
in data 1.10.2015, ha respinto il ricorso in opposizione della società,
applicando alla questione controversa (rappresentata dalla applicabilità ad una
parte del rapporto di lavoro di un rinnovo contrattuale del CCNL non
sottoscritto dal sindacato di appartenenza di una delle parti) i principi
generali civilistici in materia di efficacia dei contratti in capo alle parti
stipulanti; che la Corte di Appello di Genova, con sentenza pubblicata il
13.5.2016, ha accolto parzialmente il gravame interposto dalla società ed ha
revocato il decreto ingiuntivo opposto, con condanna della C. a pagare al P. la
differenza tra l’importo di cui al decreto ingiuntivo e l’importo di Euro
400,00 versato dalla società, oltre rivalutazione ed interessi sulle somme
annualmente rivalutate fino al saldo, confermando, nel resto, la sentenza del
primo giudice;

che la Corte di merito, per quanto ancora in questa
sede rileva, premesso che oggetto del contendere è esclusivamente la debenza o
meno della somma di Euro 895,43, riconosciuta, a titolo di aumenti contrattuali
previsti dal rinnovo del CCNL Trasporto Merci
Industria dell’1.8.2013, dal decreto ingiuntivo opposto, ha sottolineato
che la società datrice ne contesta la spettanza sul presupposto del rinnovo
contrattuale da parte dell’Associazione sindacale che la rappresentava
(Legacoopservizi), evidenziando che, solo con il successivo Accordo
dell’8.5.2015, era intervenuta la conciliazione in merito all’applicazione del
rinnovo CCNL 1.8.2013 tra i sindacati dei
lavoratori e quelli datoriali che avevano firmato il rinnovo medesimo, ai sensi
del quale (accordo): <<Le cooperative daranno corso all’applicazione del
rinnovo del CCNL 1.8.2013 e, a totale
copertura del periodo 1.1.2013-30.4.2015, ai lavoratori in servizio alla data
dell’1.5.2015, sarà corrisposta una somma una tantum pari ad Euro 400,00 in due
tranches di Euro 200,00 ciascuna, di cui la prima con la busta paga di luglio
2015 e la seconda entro il 31.12.2015. Con la firma dell’accordo le
associazioni firmatarie hanno inteso chiudere la vertenza per il rinnovo contrattuale
e superare i contenziosi aperti sulle materie dell’accordo>>. Inoltre,
secondo i giudici di appello, fermo restando il principio dell’autonomia
negoziale delle parti, sul piano del rapporto individuale di lavoro opera la
tutela assicurata dall’art. 36 Cost., volta a
garantire l’adeguatezza della retribuzione, laddove il parametro più
attendibile per la quantificazione della giusta retribuzione è il contratto
collettivo, diretto a riflettere il livello di retribuzione più adeguato in
relazione alla situazione economica contingente;

che la Corte osserva, poi, che il giudice di primo
grado, nel confermare a favore del lavoratore il credito di Euro 895,45, ha
dato altresì atto che il P. aveva comunque percepito anche la prima tranche
pari ad Euro 200,00 e, nelle more del giudizio di appello, anche la seconda ed
ultima tranche a dicembre 2015, come espressamente dichiarato nella memoria
difensiva e confermato in udienza; per la qual cosa, dall’importo complessivo
del decreto ingiuntivo opposto ha detratto l’importo di Euro 400,00, pagato da
C. a titolo di una tantum in esecuzione dell’Accordo dell’8.5.2015;

che per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso la C. Soc. Coop P.A. articolando un motivo contenente più censure;

che G.P. ha resistito con controricorso;

che sono state depositate memorie nell’interesse
della società;

che il P.G. non ha formulato richieste

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si deduce, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
e/o falsa applicazione degli artt. 2070 e 1372 c.c.; nonché degli artt.
36 e 39 Cost. e 2697
c.c., e si assume che la sentenza impugnata non sia corretta laddove ha
dichiarato la non efficacia dell’Accordo dell’8.5.2015, senza considerare che
il detto Accordo collettivo nazionale è stato sottoscritto dalle stesse
Organizzazioni Sindacali rappresentative dei Lavoratori che avevano
sottoscritto il CCNL 26.1.2011 e che hanno aderito al rinnovo del predetto CCNL
del 2013, e che tale Accordo è certamente vincolante ex art. 1372 c.c. anche nei confronti dei lavoratori
nella posizione del P.; si sottolinea che nessun diritto poteva sorgere in capo
al P. in forza del CCNL 2013, in quanto il rinnovo di quel contratto non
risultava vincolante per la società datrice di lavoro prima della adesione da
parte di Legacoopservizi (l’Associazione datoriale cui aderisce C.) a tale
rinnovo contrattuale; adesione pattuita (con l’Accordo dell’8.5.2015), soltanto
a far data dal maggio 2015, con cui è stata decisa l’una tantum, a seguito di negoziazione
tra le parti sociali, quale espressione di un nuovo assetto di interessi
giuridici ed economici, vincolante anche per il P.; inoltre, si lamenta che la
verifica del rispetto del principio di adeguatezza della retribuzione ai sensi
dell’art. 36 Cost. sia stata affidata alla mera
considerazione della esistenza di una fonte collettiva migliorativa intervenuta
successivamente: la qual cosa si pone in contrasto sia con il principio della
derogabilità (anche) in peius da parte della contrattazione collettiva
successiva, sia con la regolamentazione successiva, cioè con l’Accordo del
maggio 2015 e con la connessa previsione di un emolumento una tantum a titolo
di indennità di vacanza contrattuale. Si deduce, altresì, che la differenza tra
l’importo di Euro 895,42, pari alla differenza tra i minimi contrattuali
previsti dal CCNL del 2011 e dal CCNL del 2013, e l’importo di Euro 400,00,
riconosciuto dall’Accordo del maggio 2015 a titolo di indennità di vacanza
contrattuale, non configuri alcuna violazione dei criteri di proporzionalità e
sufficienza della retribuzione imposti dalla norma costituzionale; e si
sostiene, infine, che per la verifica della adeguatezza della retribuzione ex art. 36 Cost. è il lavoratore che ha l’onere i
dimostrare l’oggetto su cui deve avvenire la valutazione del giudice, fermo
restando il dovere dello stesso giudice di enunciare i criteri seguiti, allo
scopo di rendere possibile il controllo della congruità della motivazione:
pertanto, i giudici di seconda istanza avrebbero disatteso la corretta
applicazione di tale principio, <<argomentando della non sufficienza
della retribuzione pur in assenza di alcuna allegazione probatoria da parte del
lavoratore»;

che le censure che investono gli artt. 2070 e 1372 c.c.,
anche con riferimento all’art. 36 Cost., sono
fondate; al riguardo, va premesso – alla stregua degli arresti giurisprudenziali
di legittimità nella materia (si vedano, tra le altre, Cass. nn. 24160/2015; 26742/2014;
16340/2009; 8565/2004,
ricordando che la questione giuridica all’esame <<ha, a suo tempo, dato
origine ad un contrasto interpretativo nella giurisprudenza della sezione
lavoro, composti dalle Sezioni Unite, con la pronuncia n. 2665/1997, attraverso l’enunciazione del
principio» che di seguito si riporta), condivisi da questo Collegio che non
ravvisa ragioni per discostarsene – che <<l’art.
2070 c.c., comma 1 (in base al quale l’appartenenza alla categoria professionale,
ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo
l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore) non opera nei riguardi
della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante
limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro
che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione;
con la conseguenza che, nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal
contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente
a quello dell’attività svolta dall’imprenditore, il lavoratore non può aspirare
all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non
vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare
tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della
retribuzione ex art. 36 Cost., deducendo la non
conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel
contratto applicato»; che, come ribadito anche da Cass.
n. 27757/2020 – pronunziata in una fattispecie analoga – «costituisce ius
receptum che nel rapporto di lavoro subordinato la retribuzione prevista dal
contratto collettivo acquista, pur solo in via generale, una
“presunzione” di adeguatezza ai principi di proporzionalità e
sufficienza che investe le disposizioni economiche dello stesso contratto anche
nel rapporto interno fra le singole retribuzioni ivi stabilite (Cass. n. 15889/2008,
n. 132/2002)»;

che, nella fattispecie, però, i giudici di merito
ancorano la presunzione di inadeguatezza della retribuzione corrisposta nel
periodo di cui si tratta esclusivamente «al parametro rappresentato dal livello
retributivo previsto dal» CCNL Trasporto Merci Industria «rinnovato nel 2013»,
non applicabile al rapporto in esame, perché la parte datoriale non era
affiliata ad alcuna delle organizzazioni stipulanti, senza alcuna
considerazione per «la volontà espressa dalle parti collettive nel negoziare
l’accordo 8.5.2015, direttamente applicabile al rapporto in controversia, con
riferimento alla previsione della indennità di vacanza contrattuale ed alla
funzione ad essa conferita dai soggetti stipulanti nell’esercizio
dell’autonomia negoziale» (cfr. Cass. n.
27757/2020, cit.);

che, fatte queste premesse, la valutazione, in via
presuntiva, del parametro di adeguatezza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost. non poteva prescindere dalla
considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti (non soltanto in
sede di rinnovo del CCNL Trasporto Merci Industria) nell’Accordo del maggio
2015, <<in relazione alla specifica funzione in quella sede attribuita
all’una tantum», tenuto conto della dichiarata finalità di «chiusura» della
vertenza per il rinnovo contrattuale e di superamento dei contenziosi aperti
sulle materie dell’Accordo; che non è, invece, da accogliere la censura che
investe l’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 36 Cost. – relativa alla «non corretta
applicazione», da parte dei giudici di merito, del principio in virtù del
quale, ai fini della verifica della adeguatezza della retribuzione, «è il
lavoratore che ha l’onere di dimostrare l’oggetto su cui deve avvenire la
valutazione del giudice» -, perché attinente a questione riguardo alla quale la
parte ricorrente non specifica se sia stata proposta nei gradi di merito e,
dunque, appare nuova nel presente giudizio;

che, per le considerazioni innanzi svolte, il
ricorso va accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata va cassata,
con rinvio alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione – cui è
demandata anche la determinazione delle spese del presente giudizio -, perché,
nella verifica del canone di adeguatezza della retribuzione, ove intenda
conferire valore presuntivo alle indicazioni derivanti dall’autonomia
collettiva in tema di retribuzione proporzionata e sufficiente, tenga conto
altresì della valutazione espressa dalle parti collettive nella previsione e
determinazione della indennità di vacanza contrattuale e della funzione che la
stessa è chiamata a svolgere nel contesto della regolamentazione collettiva
definita con l’Accordo del maggio 2015;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la
sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Genova, in
diversa composizione, cui demanda anche la determinazione delle spese del
giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2021, n. 16376
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