Gli emolumenti erogati da una società fiscalmente residente in Italia ad un lavoratore, fiscalmente residente all’estero, che svolge la prestazione lavorativa in telelavoro nello Stato di residenza, devono essere tassati nello Stato in cui il lavoratore è fisicamente presente e fiscalmente residente, mentre svolge l’attività lavorativa, a nulla rilevando il luogo in cui sono utilizzati i risultati della prestazione lavorativa.
Nota a AdE Risposta 27 aprile 2021, n. 296
Marialuisa De Vita
Con la Risposta ad interpello n. 296 del 2021, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti relativamente al trattamento fiscale da applicare agli emolumenti erogati ai lavoratori, fiscalmente residenti all’estero, che svolgono la prestazione lavorativa in telelavoro nello Stato di residenza.
Nel caso di specie, una società italiana si rivolgeva all’Agenzia delle Entrate, rappresentando:
- di aver assunto dall’11 settembre 2011 un lavoratore italiano presso la sede sociale di Genova;
- che il lavoratore aveva trasferito la propria residenza nel Regno Unito e si era iscritto all’AIRE dal 18 ottobre 2019;
- di aver concesso al lavoratore la temporanea possibilità di svolgere (dall’11 luglio 2017 al 31 luglio 2021) l’attività lavorativa in telelavoro presso la propria abitazione nel Regno Unito.
La società istante chiedeva all’Amministrazione finanziaria se gli emolumenti erogati al dipendente per le prestazioni svolte in telelavoro dovessero essere o meno tassati in Italia e, quindi, dovessero essere o meno assoggettati alle ritenute a titolo di acconto ai fini IRPEF.
Data la natura transnazionale della fattispecie in esame, l’Agenzia delle Entrate richiama le disposizioni nazionali e convenzionali che regolano la territorialità dei redditi di lavoro dipendente.
Sul piano nazionale, viene richiamato l’art. 23, co. 2, lett. c) del TUIR, secondo cui si considerano prodotti in Italia “i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato”.
Sul piano internazionale, viene richiamato, invece, l’art. 15, paragrafo 1 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, secondo cui “i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”.
In altri termini, ai fini della individuazione del corretto trattamento tributario degli emolumenti de quibus, occorre chiarire cosa si intenda per “luogo di prestazione” dell’attività lavorativa nella particolare ipotesi in cui la prestazione di lavoro sia svolta nella modalità del telelavoro.
A questo riguardo, l’Agenzia delle Entrate richiama l’interpretazione fornita dal Commentario OCSE all’art. 15, paragrafo 1 del modello OCSE, secondo cui il luogo di prestazione coincide con il luogo in cui il lavoratore dipendente è “fisicamente” presente quando esercita le attività per cui è remunerato, a nulla rilevando il luogo in cui sono utilizzati i risultati della prestazione lavorativa.
Ciò premesso, con riferimento al caso di specie, l’Amministrazione finanziaria ritiene che “la tassazione del reddito deve avvenire solo nel Regno Unito, Paese in cui il telelavoratore è fisicamente presente e fiscalmente residente quando svolge la propria attività lavorativa”. Pertanto, gli emolumenti, rilevando fiscalmente solo nel Regno Unito, non possono essere tassati in Italia ex art. 23 del TUIR, ma devono essere assoggettati al regime convenzionale di esenzione che la società istante applicherà sotto la propria responsabilità, previa presentazione, da parte del lavoratore, della documentazione volta a dimostrare la residenza fiscale all’estero e l’effettivo esercizio dell’attività lavorativa nel Paese di residenza.