È lecito modificare le aree di operatività dell’agente, se previsto nel contratto, se sono rispettati i principi di buona fede e correttezza e se le variazioni sono accettate dall’agente medesimo.
Nota a Cass. ord. 24 maggio 2021, n. 14181
Silvia Rossi
La Corte di Cassazione (ord. 24 maggio 2021, n. 14181, conf. ad App. Ancona n. 357/2015) ribadisce i seguenti principi in materia di contratto di agenzia.
– “Nel contratto di agenzia, l’attribuzione al preponente del potere di modificare talune clausole, e in particolare quella relativa al portafoglio clienti, può trovare giustificazione nell’esigenza di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come esse sono mutate durante il decorso del tempo, ma, perché non ne rimanga esclusa la forza vincolante del contratto nei confronti di una delle parti contraenti, è necessario che tale potere abbia dei limiti e in ogni caso sia esercitato dal titolare con l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede” (nella fattispecie ritenuti violati a fronte di una riduzione del portafoglio clienti pari all’88%, tale da implicare la possibilità di ammettere un sostanziale recesso immediato ad opera del preponente). In questi termini, Cass. n. 13580/2015; Cass. n. 5467/2000, relativamente alla modifica delle clausole contrattuali relative all’ambito territoriale e alla misura delle provvigioni.
– Il recesso per giusta causa (di cui all’art. 2119, co.1, c.c.) è applicabile anche al contratto di agenzia. Tale “causa di risoluzione (che si distingue dal giustificato motivo soggettivo per la particolare lesività del comportamento addebitato) deve consistere in un fatto tale da porre in grave crisi l’elemento fiduciario delle parti” (in questo senso, Cass. n. 11376/1997).
– “L’agente che, al fine di ottenere il pagamento delle relative provvigioni, deduca la conclusione di affari diretti da parte del preponente, in violazione del patto di esclusiva, nella zona a lui riservata, ha l’onere di provare l’avvenuta conclusione di tali affari, e non può supplire al mancato assolvimento dello stesso mediante richiesta di esibizione della contabilità aziendale del preponente relativa agli anni nei quali assume essersi verificata la violazione del patto, potendo richiedere solo che siano esibiti atti e documenti specificamente individuati e individuabili” (così, Cass. n. 6258/1996 e Cass. n. 10834/1994).
La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, si è uniformata alla decisione del giudice di merito il quale aveva respinto il gravame del ricorrente, rilevando, a sostegno della propria decisione, che: 1) – le “scalette”, più volte modificate nel corso del rapporto, avevano incrementato il volume delle vendite, ma avevano previsto anche percentuali più alte delle provvigioni; 2) – tali variazioni erano state ripetutamente accettate dall’agente; 3) il contratto stipulato dalle parti aveva previsto legittimamente (sulla base dei principi di princìpi di correttezza e buona fede) la facoltà per la preponente di modificare le aree di operatività dell’agente; 4) nella specie, le modifiche contrattuali, riguardanti le aree di operatività, “oltre ad essere state accettate erano risultate di minima entità: elementi tutti che portavano la Corte a ritenere che il recesso… non avesse avuto alcuna giustificazione”.