Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 giugno 2021, n. 17187
Trasferimento di ramo di azienda dichiarato illegittimo,
Rifiuto del ripristino del rapporto senza una giustificazione, Retribuzione
percepita, nello stesso periodo, per l’attività prestata alle dipendenze del
cessionario, Nessuna detraibilità dalle somme dovute al lavoratore dal datore
cedente, Diritto di ricevere le somme spettanti, da parte del datore cedente,
a titolo di retribuzione e non di risarcimento
Rilevato
che T.I. S.p.A. ha proposto appello, nei confronti
di A.M.L.R., avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 8157/2015,
depositata il 20.10.2015, rappresentando che la L.R. aveva chiesto al medesimo
Tribunale, in via monitoria, di ingiungere alla predetta società il pagamento
della somma di Euro 930,72 per il premio annuo relativo al 2014 – dovuto in
virtù della sentenza n. 25884/2009 del Tribunale della stessa sede, con la
quale era stata stabilita <<la permanenza del rapporto di lavoro>>
tra la stessa L.R. e la T.I. S.p.A. – che quest’ultima non ha provveduto a
corrispondere; che il predetto Tribunale, con decreto n. 2287/2014, ha ingiunto
alla società datrice di versare tale somma, oltre accessori e spese della
procedura monitoria;
che avverso il detto decreto ingiuntivo la società
ha proposto opposizione, respinta con la pronunzia oggetto del presente
giudizio, depositata il 12.12.2016 dalla Corte territoriale di Napoli che, per
quanto ancora di rilievo in questa sede, ha sottolineato che <<è agli
atti la decisione che ha statuito il diritto della dipendente a vedersi
ricostituito il rapporto di lavoro con la società T.I. S.p.A., per cui sono
sicuramente dovute le retribuzioni maturate, a nulla rilevando fatti estranei a
questo rapporto di lavoro; non risulta che la L.R. abbia percepito redditi da
portare in detrazione rispetto a quanto dovuto dalla T.I. S.p.A., a parte
l’indennità di mobilità>>;
che per la cassazione della sentenza ricorre T.I.
S.p.A., articolando due motivi, cui resiste con controricorso A.M.L.R.;
che il P.G. non ha formulato richieste
Considerato
che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1406
c.c., <<nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che gli atti
estintivi del rapporto di lavoro posti in essere dalla L.R., nei confronti del
cessionario del ramo d’azienda, siano irrilevanti per il presente giudizio,
essendo il rapporto giuridico intercorso tra la lavoratrice ed il cessionario
del ramo un distinto rapporto di lavoro rispetto a quello ricostituito per
ordine del giudice con T.I. S.p.A., in conseguenza dell’accertamento compiuto
sulla nullità della cessione>>; 2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
e/o falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1223, 1256, 1453 e 1463 c.c.,
nella parte in cui nella sentenza impugnata non sono state detratte, da quanto
dovuto alla parte resistente, le somme alla stessa spettanti per effetto della
sentenza n. 1965/2014 del 13.2.2014, emessa dal Tribunale di Napoli, con la
quale era stata ordinata la reintegrazione, ex art. 18 della I. n. 300 del 1970,
della L.R. nel posto di lavoro alle dipendenze di C.L. e quest’ultima era stata
condannata al pagamento di tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento a
quella della reintegra, nonché le somme derivanti dall’esercizio dell’opzione
sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro; pertanto, a parere della
T.I. S.p.A., <<nessun danno differenziale residuava nel caso di specie,
posto che altro titolo giudiziario (nello specifico, la sentenza del Tribunale
di Napoli n. 1965/2014), in relazione al medesimo periodo oggetto della
presente causa, aveva già statuito per il diritto alle retribuzioni della
L.R.», e rilevando, inoltre, non il fatto che la lavoratrice avesse
effettivamente percepito o meno dette somme, ma che sussistesse altro
risarcimento, giudizialmente accertato e perciò coercibile, per voci di credito
incompatibili con l’attuale domanda;
che il primo motivo non è meritevole di
accoglimento; al riguardo, è da premettere che, con la sentenza della Suprema
Corte n. 18559/2014, era stato respinto il ricorso proposto da T.I. S.p.A.,
avverso la pronunzia della Corte distrettuale di Napoli che, confermando la
decisione di prima istanza n. 25884/2009, aveva dichiarato inefficace il
contratto di cessione del ramo di azienda costituito dalla c.d. Domestic Wireline,
ai sensi dell’art. 2112 c.c., dalla T.I. S.p.A.
alla TNT Logistics Italia S.r.l..
Pertanto, come correttamente osservato dalla Corte
di Appello, a seguito di tale decisione attinente alla «ricostituzione del
rapporto di lavoro tra T.I. S.p.A. e A.M.L.R.», a nulla rilevano fatti estranei
– quali le vicende intercorse tra la lavoratrice e la cessionaria – a questo
rapporto di lavoro, che, dunque, non può considerarsi trasferito dalla cedente
T.I. S.p.A. alla società cessionaria, essendo stato, appunto, accertato, con
pronunzia passata in giudicato, che non sussistono le condizioni per applicare
l’art. 2112 c.c. e che la L.R. non ha
manifestato il proprio consenso alla cessione del contratto, secondo quanto
previsto dall’art. 1406 c.c.; che, quindi, il
rapporto di lavoro instauratosi, di fatto, tra la società cessionaria e la
lavoratrice è rimasto del tutto distinto rispetto a quello che quest’ultima
aveva con T.I. S.p.A., perché, se si ritenesse l’unicità del rapporto, come
pretende la parte appellante, si giungerebbe alla conclusione di ritenere
l’avvenuta modificazione soggettiva della persona del datore di lavoro, senza
la sussistenza delle condizioni richieste dall’art.
2112 c.c. o dall’art. 1406 c.c. (cfr., ex
plurimis, Cass. nn. 5998/2019; 13617/2014;
13485/2014); né l’esercizio del diritto di opzione sostitutiva della reintegra
(a seguito di licenziamento intimato dal cessionario e successivamente
dichiarato illegittimo), da parte della lavoratrice ceduta in base ad una
cessione legale illegittima, integra un comportamento concludente finalizzato
alla risoluzione definitiva del rapporto di lavoro con la società cedente,
poiché la riferibilità anche a quest’ultima dell’esercizio dell’opzione
presuppone la legittimità ed il perfezionamento della vicenda traslativa legale, ex art. 2112 c.c, o negoziale, ex art. 1406 c.c. (v., tra le molte, Cass. nn. 17786/2019; 17785/2019; 17784/2019; 17736/2016; 13483/2014), che, nel
caso di cui si tratta, per quanto
osservato, non sussiste;
che il secondo motivo non è fondato, in quanto, alla
stregua del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ha
rivisitato il precedente indirizzo giurisprudenziale nella materia (v. Cass.,
SS.UU. n. 2990/2018 – relativa alla illecita interposizione di manodopera ed
alla natura delle somme spettanti al lavoratore – ai cui principi ispiratori è
stato riconosciuto valore di <<diritto vivente» dal Giudice delle leggi
con la sentenza n. 29/2019; e cfr., altresì, Cass.
nn. 17786/2019; 17785/2019; 17784/2019,
che quei principi hanno recepito in tema di trasferimento di azienda, poi
dichiarato invalido), qualora il datore di lavoro abbia operato un
trasferimento di (ramo di) azienda dichiarato illegittimo ed abbia rifiutato il
ripristino del rapporto senza una giustificazione, non sono detraibili dalle
somme dovute al lavoratore dal datore cedente, quanto il lavoratore stesso abbia
percepito, nello stesso periodo, anche a titolo di retribuzione, per l’attività
prestata alle dipendenze dell’imprenditore già cessionario, ma non più tale,
una volta dichiarata giudizialmente – come nella fattispecie – la non
opponibilità della cessione al dipendente ceduto; e ciò, perché, in tale
ipotesi, permane in capo allo stesso il diritto di ricevere le somme ad esso
spettanti, da parte del datore cedente, a titolo di retribuzione e non di
risarcimento (v., ancora, Cass. SS.UU. n. 2990/2018, cit.). Per la qual cosa,
non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno, su cui
si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento, poiché,
appunto, è stato escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo
risarcitorio; che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va
respinto;
che, in considerazione del superamento del
precedente orientamento giurisprudenziale nella materia, appare equo disporre
la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui
all’art. 13, comma 1-quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo
P.Q.M.
rigetta il ricorso; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.