Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2021, n. 17326

Tributi, IRPEF, Redditi di lavoro dipendente, Stock options
– Capital gain, Regime di tassazione applicabile, Momento rilevante

 

Rilevato che

 

1. G.C., dipendente di T. Assicurazioni Spa, nel
2005 e nel 2006, ricevette i diritti di opzioni per l’acquisto di azioni della
stessa società, rispettivamente al controvalore di euro 343.125,00 (per il
2005) e di euro 501.030,00 (per il 2006); il 24/11/2006 il contribuente
esercitò il diritto d’opzione, versando il prezzo complessivo di sottoscrizione
di euro 844.155,00; ai sensi dell’art.
51, comma 2, lettera g-bis), t.u.i.r., come modificato con il d.l. 03 ottobre 2006, n. 262 (convertito in legge,
con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006,
n. 286), il datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, assoggettò a
ritenuta I.r.p.e.f. la differenza (euro 430.822,00) tra il prezzo di vendita
delle azioni (euro 1.274.977,00; assunto a valore delle azioni al momento
dell’assegnazione) ed il prezzo di esercizio dei diritti di opzione, secondo il
loro valore al momento delle offerte del 2005 e del 2006 (euro 844.155,00), per
una ritenuta complessiva di euro 192.577,43; in data 24/07/2007, il
contribuente presentò all’Agenzia delle entrate un’istanza di rimborso,
assumendo l’erronea applicazione, da parte del datore di lavoro, della
disciplina fiscale, meno favorevole, vigente all’epoca dell’assegnazione delle
azioni, in luogo di quella, più favorevole, vigente all’epoca
dell'”assegnazione” delle stock options, al lordo dell’applicazione
della tassazione del 12,50%, prevista per il reddito diverso di natura
finanziaria (cd. capital gains). L’ente impositore, in data 05/10/2011, emise
provvedimento di diniego di rimborso, la cui impugnazione è l’oggetto del
giudizio;

2. la Commissione tributaria provinciale di Torino
accolse il ricorso del contribuente, con sentenza (n. 115/13/2012) riformata
dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte, la quale, con la pronuncia
indicata in epigrafe, ha accolto l’appello dell’ufficio, in quanto, in materia
di stock options, il momento rilevante per l’individuazione della disciplina
tributaria applicabile coincide con quello di assegnazione delle azioni; nella
specie, prosegue la Commissione regionale, trova applicazione la nuova
disciplina introdotta dal d.l. n. 262 del 2006,
che l’Amministrazione ha bene applicato per disattendere l’istanza di rimborso.
Infine, è improprio il richiamo dell’appellante al principio di irretroattività
della norma tributaria, sancito dall’art. 3, comma 2, dello Statuto
dei diritti del contribuente, poiché si è in presenza di un’obbligazione
tributaria di carattere istantaneo e non periodico;

3. il contribuente ricorre per la cassazione con un
unico motivo, illustrato con una memoria, e l’Agenzia resiste con
controricorso;

 

Considerato che

 

1. con l’unico motivo di ricorso [«Violazione e/o
falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c.,
dell’art. 1, comma 1 e dell’art. 3, comma 1, secondo periodo, L.
n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), in relazione all’art. 51, comma 2, lett. g-bis), D.P.R.
917/86 (t.u.i.r.) nella formulazione ratione temporis applicabile»], il
contribuente premette che il tema del decidere riguarda il regime di tassazione
applicabile alla plusvalenza data dalla differenza tra il prezzo di vendita
delle azioni (novembre 2006) e il loro prezzo al momento dell’attribuzione dei
diritti di opzione sui titoli (2005 e primi mesi del 2006). Ciò premesso, la
sentenza impugnata è criticata per avere affermato l’applicabilità del detto art. 51, comma 2, lett. g-bis), t.u.i.r.,
secondo la disciplina meno favorevole, introdotta nel 2006, da ultimo con il
succitato d.l. n. 262 del 2006, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 286 del 2006 —
che subordinava il regime fiscale di favore al concorso di ulteriori
presupposti (nella specie insussistenti) —, in luogo della previgente
disciplina, di maggiore favore, che prevedeva la tassabilità della plusvalenza
solo all’atto della vendita delle azioni, per le quali era stato esercitato il
diritto d’opzione, coll’applicazione dell’aliquota del 12,5% dei capital gains,
in presenza (soltanto) di due presupposti (che il contribuente era in grado di
soddisfare). Sotto altro profilo giuridico, il ricorrente ascrive alla C.T.R.
di non avere compreso che, in mancanza di una disciplina transitoria sulla
decorrenza che deroghi in modo espresso all’art. 3, comma 1, secondo
periodo, dello Statuto dei diritti del contribuente, la nuova disciplina dettata
dal d.l. n. 262 del 2006 sarebbe applicabile
esclusivamente ai diritti di opzione, esercitati sì dopo la data di entrata in
vigore della stessa novella, ma soltanto a partire dal periodo d’imposta 2007,
e cioè dal primo periodo d’imposta successivo a quello in corso al momento
dell’entrata in vigore dell’ultima disposizione modificativa, come
espressamente sancisce il citato art.
3, dovendosi tenere distinte le nozioni di entrata in vigore (vigenza) e di
efficacia (produzione di effetti) della norma. In altre parole, la novella non
si applicherebbe a chi ha esercitato il diritto d’opzione tra il 03/10/2006
(data di entrata in vigore del d.l. n. 262 del 2006)
e il 31/12/2006 (termine finale del periodo d’imposta 2006);

1.1. il motivo, nella sua poliedrica articolazione,
non è fondato;

1.1.1. Cass.
02/07/2019, n. 17695, ricorda che l’art. 51, comma 2, lett. g-bis), t.u.i.r.,
è stato oggetto di tre distinti interventi modificativi; in particolare, «a)
con il primo, introdotto dall’art.
36, comma 25, del d.l. n. 223/2006, ne è stata sancita l’abrogazione, con
la conseguenza che è stato attratto a tassazione ordinaria, come reddito di
lavoro dipendente, l’incremento di valore prima escluso; b) con il secondo
intervento, per effetto della legge n. 248/2006
di conversione del d.l. n. 223/2006, la
disciplina prima abrogata è stata reintrodotta, con l’aggiunta di due nuove
condizioni applicative (per cui era anche richiesto che: 1) le azioni ricevute
non fossero cedute o costituite in garanzia nei cinque anni successivi alla
data di assegnazione e: 2) che il valore delle azioni assegnate non superasse
l’importo della retribuzione lorda annua relativa al periodo di imposta
precedente a quello di assegnazione); c) con il terzo intervento, ossia con l’art. 2, comma 29 del d.l. n. 262/2006,
come convertito dalla legge n. 286/2006, sono
state mantenute le due condizioni di accesso alla disciplina agevolativa
previste nell’originario regime e sono state introdotte ulteriori tre
condizioni, ossia 1) il mantenimento, nei cinque anni successivi alla data di
assegnazione, di un investimento delle azioni ricevute almeno pari alla
differenza tra il valore normale delle azioni al momento dell’assegnazione e
l’ammontare corrisposto dal beneficiario; 2) l’esercitabilità dell’opzione
“non prima” che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione; 3) la
quotazione delle azioni oggetto delle stock option quando l’opzione diviene
esercitabile.»; si è anche chiarito (ex multis, Cass. 22/01/2021, n. 1280, in
connessione con Cass., ult. cit.) che, in adesione all’indirizzo
giurisprudenziale dell’ultimo decennio, in tema di determinazione del reddito
di lavoro dipendente, la disciplina di tassazione applicabile ratione temporis
alle stock options va individuata in quella vigente al momento dell’esercizio
del diritto di opzione da parte del dipendente, a prescindere dal momento in
cui l’opzione sia stata offerta, atteso che l’operazione cui consegue la
tassazione non va identificata nell’attribuzione gratuita del diritto di
opzione, che non è soggetta a imposizione tributaria, ma nell’effettivo
esercizio di tale diritto mediante l’acquisto delle azioni, che costituisce il
presupposto dell’imposizione commisurata proprio al prezzo delle stesse e che è
rimesso alla libera scelta del beneficiato (in tal senso, cfr.: Cass. 12/04/2017, n. 9465, conforme a Cass. 20/05/2011, n. 11214; n. 13088/2012; n. 11413/2015; gli stessi princìpi
sono enunciati da Cass. 20/06/2018, n. 16227; 17/07/2018, n. 18917; 23/12/2020,
n. 29343);

1.1.2. nella specie, la sentenza impugnata si è
attenuta all’orientamento sezionale in quanto, nel novembre del 2006, quando
sono stati esercitati i diritti di opzione con l’acquisto di un certo numero di
azioni e con la contestuale rivendita di parte delle azioni, ad opera del
contribuente, era già in vigore (dal 3 ottobre 2006) il d.l. n. 262 del 2006, che aveva aggiunto ai due
originari presupposti per fruire della tassazione agevolata del 12,5% sui
capital gains gli ulteriori tre presupposti sopra menzionati, questi ultimi
pacificamente non ricorrenti nel caso di specie.

Simili dati oggettivi valgono a superare, in radice,
la prospettazione difensiva del contribuente circa la presunta violazione del
divieto di retroattività della norma tributaria. Conforme a diritto è anche
l’affermazione della C.T.R. secondo cui è improprio il richiamo
dell’interessato all’applicabilità dell’art. 3, comma 2 (recte: comma
1), dello Statuto dei diritti del contribuente. Infatti, come questa Corte ha
già precisato (Cass. n. 17695/2019, cit.; Cass. n. 29343/2020, cit.), la nozione di
“tributi periodici” cui fa riferimento il disposto dell’art. 3, comma 1, secondo periodo,
della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), per il
quale «Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano
solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di
entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono», attiene ai tributi che
connotino le prestazioni periodiche come basate su un’unica causa debendi
continuativa (così, ad esempio, tra i tributi locali, la tassa sui rifiuti, su
cui, nel vigore della c.d. Ta.r.s.u., cfr. Cass. 23/02/2010, n. 4823), mentre
essa non è riferibile all’I.r.p.e.f., in cui la prestazione tributaria, sebbene
dovuta di anno in anno (donde l’obbligo di dichiarazione che si rinnova
“periodicamente”), stante l’autonomia dei singoli periodi d’imposta
ed in relazione all’autonoma valutazione dei presupposti impositivi, non può
definirsi “periodica” secondo l’accezione sopra illustrata;

le spese del giudizio di cassazione sono regolate in
dispositivo;

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a
corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità
che liquida in euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate
a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma
1-bis del citato art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2021, n. 17326
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