La Cassazione chiarisce l’espressione “intenda licenziare” e “intenzione di procedere al licenziamento”, la nozione di licenziamento collettivo, le modalità di comunicazione, l’area in cui operare la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e la prova dell’aliunde perceptum
Nota a Cass. 31 maggio 2021, n. 15118 e n. 15119
Maria Novella Bettini e Paolo Pizzuti
In due interessanti pronunzie la Corte di Cassazione (31 maggio 2021, n. 15118 e n. 15119) fa il punto su alcuni aspetti del licenziamento collettivo per riduzione di personale (di cui alla L. n 223/1991). Nello specifico, Cass. n. 15118/2021 afferma che:
a) “l’espressione ‘intenda licenziare’ di cui all’art. 24, L. n. 223/1991 è una chiara manifestazione della volontà di recesso, pur necessariamente ancorata al fatto che i licenziamenti non possono essere intimati se non successivamente all’iter procedimentale di legge”;
b) diversamente la formula ‘deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo’ ai sensi dell’art. 7, L. n. 604\66, è prevista “al fine dì intraprendere la nuova procedura di compensazione (o conciliazione) dinanzi alla DTL, e non può quindi ritenersi di per sé un licenziamento”;
c) la nozione di «licenziamento» ricomprende “il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente ed a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto dì lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta del lavoratore medesimo” (v. art. 1, paragr. 1, co.1, lett. a), Direttiva 98/59/CE sul riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi; Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015, C-422/14, p.ti da 50 a 54; Cass. n. 15401/2020, in q. sito con nota di P. PIZZUTI).
Quanto a Cass. n. 15119/2021, la stessa chiarisce che:
– in base all’art. 4, co. 9, della L. n. 223/1991, la comunicazione (ivi prevista), essendo finalizzata a consentire ai lavoratori, ai sindacati e agli organi amministrativi interessati di controllare la correttezza della comparazione, deve contenere, oltre che l’elenco dei lavoratori licenziati, “l’indicazione puntuale delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta” e, quindi, l’indicazione completa dell’elenco (nominativo) dei lavoratori e dei punteggi a ciascuno di essi attribuito (Cass. n. 25737/2016);
– il termine di sette giorni di cui all’art. 4, co. 9, L. n. 223/1991, per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alle organizzazioni sindacali, ha carattere cogente e perentorio e la sua violazione determina l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere (v. Cass. n. 25807/2019) e che quindi sia chiaro l’elenco dei lavoratori da licenziare e le modalità di applicazione dei criteri di scelta (Cass. ord. n. 23034/2018);
– la prima parte dell’art. 5, L. cit., dispone che la “l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale”. Ciò al fine di ampliare quanto più possibile l’area in cui operare la scelta, approntando così idonee garanzie contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, discriminazioni più probabili quanto più si restringe l’ambito della selezione. Di conseguenza, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata soltanto “sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale” che non può essere incoerente con la riduzione ad ambiti territoriali. È inoltre onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze (Cass. n. 9991/2009, Cass. n. 8474/2005;
– “non è sufficiente per l’azienda invocare la detraibilità dell’aliunde perceptum, ma occorre fornire chiare indicazioni e circostanze di fatto, anche all’eventuale fine di sollecitare l’esercizio dei poteri istruttori ufficiosi, che non possono avere ad oggetto richieste meramente esplorative, quali la richiesta di esibizione ‘della dichiarazione dei redditi e delle buste paga o delle fatture o della documentazione contabile del ricorrente da cui risulti l’ammontare del reddito da lavoro autonomo o dipendente percepito per il periodo successivo al licenziamento, ovvero la richiesta di informazioni, ex art. 213 c.p.c., ‘all’ufficio imposte dirette, alla Direzione Territoriale del Lavoro e all’INPS e ad ogni altra Pubblica Amministrazione, informazioni relative all’attività svolta ed ai redditi percepiti dal ricorrente a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro”.
È dunque onere del datore di lavoro provare, anche avvalendosi di prove presuntive, l’aliunde perceptum (v. Cass. ord. n. 1636/2020 e Cass. n. 9616/2015). Egli deve cioè allegare, allo scopo, circostanze di fatto specifiche e fornire indicazioni puntuali, essendo inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative (Cass. n. 2499/2017).