Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 giugno 2021, n. 17603
Licenziamento disciplinare, Dirigente medico, Grave danno
d’immagine all’Azienda, Comunicazione del licenziamento, Ufficio per i
procedimenti disciplinari, Termini
Fatti di causa
1. Con sentenza del 22 marzo 2019 nr. 46 la Corte
d’Appello di Trieste, giudice del reclamo ex lege
92/2012, riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per
l’effetto, accoglieva la impugnazione proposta da E.B., dirigente medico della
A.S.U.I. (in prosieguo: AZIENDA SANITARIA) avverso il licenziamento
disciplinare intimatogli in data 23 agosto 2017.
2. La Corte territoriale esponeva che al B. erano
state contestate le seguenti condotte: avere eseguito in data 26 aprile 2017
due interventi chirurgici in autonomia senza averne facoltà e contravvenendo ad
una precisa disposizione del direttore; avere lasciato un ago nell’addome del
paziente H.U.R.; non avere descritto l’accaduto negli atti operatori e
sanitari, avendolo all’opposto celato sotto l’espressione «nessuna
complicanza»; non avere informato dell’accaduto né il direttore della chirurgia
né il paziente; avere arrecato con tale condotta un grave danno d’immagine
all’Azienda ed un danno al paziente.
3. In via preliminare accoglieva l’eccezione di
decadenza dalla azione disciplinare opposta dal reclamante, per il decorso del
termine di 40 giorni, fissato per la contestazione disciplinare dall’articolo 55 bis D.Lgs nr.165/2001.
4. La AZIENDA SANITARIA assumeva non essere idonea a
far decorrere il termine la comunicazione del 3 maggio 2017, sostenendo; che si
trattava di una trasmissione informale, con la quale il direttore della
chirurgia si era consultato con il «servizio affari generali e legali»; che la
comunicazione non era stata indirizzata all’ufficio per i procedimenti
disciplinari; che i documenti inviati – referti operatori e lettera di
dimissioni del paziente – non determinavano una conoscenza dei fatti idonea a
configurare l’illecito disciplinare.
5. Sul primo punto, il giudice del reclamo osservava
che alla comunicazione, per ragioni di trasparenza e buon andamento, non era
possibile attribuire valenza informale.
6.Inoltre, l’ufficio «attività disciplinare» era
costituito proprio nell’ambito del «servizio affari generali e legali» ed
entrambe le articolazioni erano presiedute dallo stesso funzionario e
condividevano la medesima utenza telefax, alla quale era pervenuta la
comunicazione.
7. Neppure le difese relative al contenuto della
comunicazione potevano essere condivise.
8. Premesso che la produzione effettuata nel primo
grado era incompleta, la AZIENDA SANITARIA aveva esibito nel giudizio di
reclamo, per ordine del collegio, soltanto sette degli otto fogli della
comunicazione, senza specificare il motivo della parziale esibizione né il
contenuto della pagina mancante.
9. La documentazione trasmessa dava comunque conto
degli interventi eseguiti, del fatto che il B. aveva operato come primo
chirurgo, della richiesta di assistenza inviata alla radiologia per la ricerca
di un corpo estraneo e del relativo referto, dell’assenza sia nel verbale
operatorio che nella lettera di dimissioni del paziente di indicazioni relative
alla rottura dell’ago ed alla sua presenza nell’addome del paziente. Appariva
dunque evidente la rilevanza disciplinare della vicenda, senza necessità di
altri accertamenti.
10. Un ulteriore contributo alla comprensione della
vicenda derivava dalle deduzioni del direttore, rese secondo la AZIENDA con
finalità meramente consultiva, essendo irrilevante stabilire se le stesse
fossero avvenute verbalmente oppure con nota scritta (contenuta, come
ipotizzato dal reclamante, nella pagina non esibita).
11. Dalla comunicazione del 3 maggio 2017 decorreva,
dunque, il termine di 40 giorni, che era trascorso alla data della
contestazione (il 19 giugno 2017).
12. Ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza la AZIENDA SANITARIA, articolato in quattro motivi, cui ha resistito
E.B. con controricorso, illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la AZIENDA SANITARIA ha
dedotto- ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.-
violazione o falsa applicazione dell’art. 210
cod.proc. civ. in relazione agli articoli 115
e 116 cod.proc.civ. ed all’articolo 94 disp. att. cod.proc.civ.
2. Si censura la statuizione con la quale era stata
ordinata dal giudice del reclamo la esibizione della comunicazione del 3 maggio
2017, benché non fosse stata provata la sua attuale esistenza e se ne
ignorassero l’effettivo contenuto, il mittente, il destinatario e la funzione.
Si assume trattarsi di un documento interno non formato a fini probatori.
3. La violazione dell’articolo
115 cod.proc.civ. viene dedotta sul presupposto della finalità inquisitoria
dell’ordine; sotto il profilo dell’articolo 116
cod. proc. civ. si contestano gli argomenti di convincimento tratti dalla
mancanza di un foglio della comunicazione, laddove essa era dovuta
semplicemente al suo mancato reperimento.
4. Infine, si deduce che, ai sensi dell’articolo 94 d.a. cod.proc.civ., sarebbe stato
onere della parte istante per l’esibizione provare che la amministrazione era
in possesso del foglio mancante ed il suo contenuto.
5.Il motivo è inammissibile.
6. La valutazione dei presupposti per la emissione
dell’ordine di esibizione di un documento – sia sotto il profilo della sua
indispensabilità che quanto alla prova della sua esistenza e del fatto che la
parte lo possieda- è rimessa al giudice del merito. La valutazione positiva
della esistenza di detti presupposti compiuta, anche implicitamente, dal
giudice che dispone l’esibizione non è censurabile in sede di legittimità, in
quanto attiene alla valutazione della rilevanza e della idoneità alla prova del
materiale istruttorio, non sindacabile da questa Corte (cfr. Cass. 13 maggio 2019, n. 12660; Cass. 18 dicembre
2014, n. 26733; Cass. 07 luglio 2011, n.14968;
Cass. 16 novembre 2010, n. 23120).
7. Con il secondo mezzo si censura la sentenza – ai
sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.-
per violazione o falsa applicazione dell’art. 116
cod.proc.civ., degli artt. 2727 e 2729 cod.civ. e dell’art. 55 bis D.Lgs. nr. 165/2001,
per avere la Corte di merito accertato che la comunicazione del 3 maggio 2017
era pervenuta all’ ufficio affari disciplinari sebbene non fossero integrati i
requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti ai fini della prova
per presunzioni. Da ciò deriverebbe, nell’assunto di parte ricorrente, la
violazione del principio secondo cui il dies a quo del termine per la contestazione
disciplinare deve essere certo ed oggettivamente verificabile.
8.Il motivo è inammissibile.
9. Giova premettere che la fattispecie di causa
resta regolata dal testo dell’articolo
55 bis, comma quattro, D.Lgs. nr. 165/2001 vigente anteriormente alla
sostituzione operata dall’articolo
13, comma uno, lettera d) D.Lgs. 25 maggio 2017 nr. 75. Le disposizioni
contenute nel capo VII del D.Lgs. nr. 75/2017
– tra le quali rientra il suddetto articolo
13- si applicano infatti, per quanto dispone il successivo articolo 22, comma tredici, agli
illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore
dello stesso decreto legislativo.
10. In ordine al testo dell’articolo 55 bis D.lgs nr. 165/2001
applicabile ratione temporis, questa Corte ha già chiarito (Cass. 14 ottobre 2015 nr. 20733; Cass. 25 giugno
2018 nr. 16706 e giurisprudenza ivi citata; Cass. 13 luglio 2020 nr. 14886) che
la norma, laddove fa decorrere il termine per la conclusione del procedimento
disciplinare dalla data «di prima acquisizione della notizia della infrazione,
anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il
dipendente lavora» si riferisce non già all’acquisizione della notizia da parte
di un qualsiasi ufficio dell’amministrazione ma soltanto alla sua acquisizione
da parte dell’ufficio per i procedimenti disciplinari e/o del responsabile
della struttura in cui il dipendente lavora. Il medesimo principio si applica
anche qualora venga in rilievo la tempestività della contestazione (dovendo
aversi riguardo, in tal caso, alla data in cui l’ufficio per i procedimenti
disciplinari riceve gli atti trasmessi dal responsabile della struttura o nella
quale il medesimo ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione),
poiché la contestazione può essere ritenuta tardiva solo qualora
l’amministrazione rimanga ingiustificatamente inerte e, quindi, non proceda ad
avviare il procedimento, pur essendo in possesso degli elementi necessari per
il suo valido avvio (Cass 11/09/2018, n.22075).
11. A tale principio si è conformato il giudice del
reclamo, che ha fatto decorrere il termine per la contestazione dalla data di
ricezione degli atti da parte dell’ufficio affari disciplinari.
12. La individuazione nella fattispecie concreta di
tale momento temporale è, invece, un accertamento storico, sindacabile in
questa sede di legittimità non già con la deduzione di una violazione di
diritto ma con la denuncia di un vizio della motivazione, secondo il paradigma
di cui al vigente articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.
13. La parte ricorrente, nel dedurre la
insussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti circa il momento di
acquisizione degli atti da parte dell’ufficio competente, si limita a
contestare la valutazione discrezionale compiuta sul punto dal giudice del
reclamo, chiedendo, in sostanza, un inammissibile riesame del merito.
14. Con la terza critica la AZIENDA SANITARIA ha
lamentato – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3
cod.proc.civ.- violazione dell’art.
55 bis, comma 4, D.Lgs. nr. 165/2001. Si censura la sentenza nella parte in
cui afferma che la comunicazione del 3 maggio 2017 era idonea a far decorrere
il temine per la contestazione disciplinare, assumendosi che detta
comunicazione non conteneva elementi sufficienti per procedere alla
contestazione.
15. In particolare si deduce: che i documenti-
(verbale operatorio e lettera di dimissioni del paziente) -non contenevano una
descrizione delle mancanze del medico; che non era provata né la esistenza né
il contenuto di una nota accompagnatoria del direttore della Chirurgia; che
quest’ultimo, non avendo elementi sufficienti a ricostruire l’accaduto, aveva
consultato solo informalmente il servizio affari generali. Nella prospettazione
del ricorrente la notizia dell’infrazione sarebbe pervenuta all’ufficio affari
disciplinari soltanto in data 16 maggio 2017, allorché era stata eseguita una
TAC sul paziente ed era stata acquisita una relazione del B.
16. Il motivo è inammissibile.
17. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass.
sez. lav. 10 luglio 2020, n.14810; 14 dicembre
2018, n. 32491; 11 settembre 2018 nr.22075; 27 agosto 2018 nr. 21193 e
giurisprudenza ivi richiamata), ai fini della decorrenza del termine per la
contestazione disciplinare assume rilievo esclusivamente il momento in cui la
acquisizione della notizia di infrazione da parte dell’ufficio competente,
regolarmente investito del procedimento, abbia contenuto tale da consentire
allo stesso di dare avvio in modo corretto al procedimento disciplinare ovvero
di formulare una contestazione specifica.
18. La sentenza impugnata è immune da errori di
diritto, in quanto ha accertato in fatto che la comunicazione del 3 maggio
2017-(oltre ad essere ricevuta dall’ufficio competente)- conteneva tutti gli
elementi per procedere alla contestazione, trattandosi di notizia
circostanziata dai documenti.
19. La AZIENDA SANITARIA ricorrente, deducendo
formalmente un vizio di violazione di legge, nella sostanza censura
l’accertamento storico compiuto dalla Corte territoriale in ordine al momento
in cui si era verificata l’acquisizione della notizia «qualificata» dei fatti disciplinarmente
rilevanti.
20. Trattasi di accertamento di merito, censurabile
in questa sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di
motivazione; il ricorso, piuttosto che prospettare, con la dovuta specificità,
un fatto storico di rilievo decisivo non esaminato nella sentenza impugnata,
benché oggetto di contraddittorio, si limita a contrapporre alla valutazione
del giudice del merito un giudizio diverso e conforme alle aspettative di
parte.
21. Con il quarto motivo la AZIENDA SANITARIA ha dedotto
– ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.-
violazione degli articoli 115 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ., per avere la Corte territoriale
disatteso le istanze istruttorie (interrogatorio formale; ordine di esibizione
delle dichiarazioni dei redditi; informazioni all’INPS), dirette a provare che
il B. dall’agosto 2018 lavorava presso il Policlinico di Abano terme, come si
evinceva dal suo profilo sul web, fatto, peraltro, puntualmente dedotto nella
comparsa di costituzione in appello e non contestato.
22. Il motivo è in parte inammissibile, in parte
infondato.
23. Sotto il profilo dell’inammissibilità, questa
Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa
alla violazione dell’articolo 115 cod.proc.civ.,
non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio
compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base
della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori
dei limiti legali ( tra le altre: Cassazione civile sez. un., 30 settembre
2020, n.20867; sez. lav., 03 novembre 2020, n.24395; Cass. nn. 1229 del 2019,
4699 e 26769 del 2018).
24. La mancata ammissione dei mezzi istruttori è
invece censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione ovvero allegando
che essi erano diretti ad introdurre nel processo fatti di rilievo decisivo,
non esaminati nella sentenza impugnata in conseguenza di tale omissione.
25. E’ invece infondata la denuncia del vizio di
violazione dell’art. 2697 cod.civ., che si
configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova
ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta
norma.
26. Per costante giurisprudenza di questa Corte,
l’onere della prova relativo all’ aliunde perceptum e all’ aliunde percipiendum
compete al datore di lavoro, posto che la circostanza che il lavoratore
ingiustamente licenziato abbia, nelle more del giudizio, lavorato e percepito
comunque un reddito rappresenta un fatto impeditivo della pretesa attorea e
deve di conseguenza essere provato da colui che lo eccepisce, non da chi invoca
il risarcimento, in applicazione del generale precetto di cui all’art. 2697 c.c. (per tutte, Cassazione civile sez. lav., 17/06/2020, n.11706;
Cass. n. 1636/2020).
27. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
28. Le spese di causa, liquidate in dispositivo,
seguono la soccombenza.
29. Trattandosi di giudizio instaurato
successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto- ai
sensi dell’art.1 co 17 L.
228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della
sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass.
SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese,
che liquida in € 200 per spese ed € 6.000 per compensi professionali, oltre
spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.