Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 giugno 2021, n. 17992
Prima finestra utile per il pensionamento, Bonus ex art. 1, co. 12, L. n. 243/2004,
Tardivo riconoscimento da parte dell’Inps del beneficio derivante
dall’esposizione all’amianto, Nesso causale tra l’inadempimento dell’Inps e il
danno
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Potenza ,in parziale
riforma della sentenza del Tribunale, ha condannato l’Inps a pagare a M.S. Euro
13.166,00 quale risarcimento per non avere potuto beneficiare, all’aprirsi
della prima finestra utile per il pensionamento, del bonus ex art. 1, comma 12 L n 243/2004
rimanendo alle dipendenze dell’originario datore di lavoro, e ciò a causa del
tardivo riconoscimento da parte dell’Inps del beneficio derivante
dall’esposizione all’amianto. La Corte ha ritenuto che la doglianza del
ricorrente era fondata dovendo l’Inps agire con correttezza ed in buona fede
riconoscendo tempestivamente il beneficio derivante dall’esposizione
all’amianto.
Ha osservato, infatti, che ,pur essendo la sentenza
del Tribunale di Potenza del 6/11/2006 di riconoscimento di detto beneficio di
mero accertamento e pur sottoposta ad impugnazione ,era comunque dotata della
vincolatività propria di ogni provvedimento giurisdizionale imponendo alle
parti di adeguarsi soprattutto per la P.A. con la conseguenza che il mancato
tempestivo spontaneo adeguamento alla sentenza del Tribunale era sanzionabile
con diritto del M. al risarcimento.
La Corte, in riforma della sentenza del Tribunale,
ha invece rigettato la domanda del M. volta ad ottenere il risarcimento del
danno patrimoniale nella misura dei ratei di pensione che l’assicurato avrebbe
potuto percepire dal momento del raggiungimento del requisito contributivo –
previa rivalutazione dei contributi per effetto del beneficio amianto-per
difetto di allegazione; che era incontestato che il M. aveva continuato a
lavorare ed a percepire lo stipendio fino al 30/4/2009, non aveva allegato il
nesso causale tra l’inadempimento dell’Inps e il danno, cioè la concreta
probabilità di avviare un’attività autonoma o di intraprendere un nuovo lavoro
subordinato, dopo la cessazione dell’attività lavorativa.
Infine, la Corte ha anche rigettato la domanda di
liquidazione del danno non patrimoniale per mancato godimento della quiescenza
rilevando che detto danno non seguiva automaticamente all’inadempimento
dell’Inps, ma imponeva un onere di allegazione cui non aveva adempiuto il M..
2. Avverso la sentenza ricorre il M. con quattro
motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art.
378 cpc . Resiste l’Inps.
Ragioni della decisione
3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia
“violazione e falsa applicazione di norme di diritto” (art. 360 n 3 cpc), nonché “omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisiva della
controversia”, (art. 360 n 5 cpc);
riconoscimento del diritto al trattamento previdenziale di accesso alla
pensione per raggiunti limiti di anzianità contributiva.
Il ricorrente si duole che la Corte non aveva
valutato l’ acquiescenza che l’Inps avrebbe prestato alla sentenza di primo
grado avendo l’Istituto , dopo la pubblicazione della sentenza del Tribunale ,
accolto la domanda di pensione presentata il 24/11/2006 con liquidazione fino
al 30/4/2009 dei ratei , con ciò compiendo atti incompatibili con la volontà di
impugnare.
Il motivo è inammissibile per difetto di
autosufficienza non avendo il ricorrente indicato dove aveva sollevato
l’eccezione, né provveduto a trascrivere la lettera dell’Inps da cui desumere
l’acquiescenza al fine di escludere , tra l’altro, come precisato
dall’Istituto, che il pagamento era avvenuto stante la provvisoria esecutività
della sentenza del Tribunale senza alcuna acquiescenza, avendo infatti
presentato appello.
4. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia
“violazione e falsa applicazione di norme di diritto” , nonché “omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia “,in relazione al mancato riconoscimento del danno
patrimoniale . Osserva che non si era mai lamentato di aver perso le
retribuzioni conseguibili dal reperimento di una nuova occupazione. Denuncia
che il danno consisteva nella mancata percezione dei ratei di pensione dei
quali avrebbe usufruito ove l’Inps avesse riconosciuto tempestivamente il
beneficio amianto.
5. Con il terzo motivo denuncia “omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia”,in relazione al mancato riconoscimento del danno non
patrimoniale.(art.360 n 5 cpc )
6. I due motivi, congiuntamente esaminati stante la
loro connessione, sono infondati.
I giudici di merito hanno, infatti, ritenuto che il
denunciato pregiudizio patrimoniale, non avesse formato oggetto di compiuta
allegazione e prova: tale affermazione appare corretta, prima ancora che
incontestabile in questa sede di legittimità. Come già rilevato da questa Corte
in fattispecie analoga (cfr Cass. n. 2927/2020, n
27931/2020) l’indipendentemente dalle considerazioni svolte dalla Corte
territoriale circa l’impossibilità di cumulare la pensione di anzianità con la
retribuzione da lavoro dipendente, ciò che rileva in specie è che i giudici di
merito abbiano ritenuto che il pregiudizio patrimoniale lamentato in giudizio
non avesse formato oggetto di compiuta allegazione e prova.
Va, infatti, osservato che il ricorrente ,anche da
quanto fatto valere nel presente giudizio di cassazione, sostiene che il danno
patrimoniale, nel caso di specie, sarebbe in qualche modo da considerarsi in re
ipsa, discendendo dal mancato godimento della pensione, e dal non aver potuto
eventualmente svolgere un’altra attività.
A riguardo va rilevato che questa Corte ha sempre
escluso che una domanda risarcitoria di un danno patrimoniale possa prescindere
dall’allegazione e prova del danno sulla scorta della chiara disposizione
contenuta nell’art. 1223 c.c.; giova solo
ricordare che la nozione di danno in re ipsa perviene surrettiziamente ad
identificare il danno con l’evento ed a configurare un vero e proprio danno
punitivo, ponendosi così in contrasto sia con il consolidato orientamento di
legittimità secondo cui ciò che rileva ai fini risarcitori è il
danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e
più recente precisazione secondo cui un danno punitivo può essere ritenuto
compatibile con l’ordinamento vigente solo in caso di sua espressa previsione
normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost.
(così da ult. Cass. n. 2927/2020 cit., nonché, Cass. n. 31233 del 2018, ove si
riviene il richiamo a Cass. S.U. nn. 26972 del
2008 e 16601 del 2017).
Alla luce delle su esposte argomentazioni, anche il
profilo relativo al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale/non può
trovare accoglimento. Con riguardo a tale danno la Corte territoriale ha
sottolineato la necessità di una specifica allegazione e prova che nella specie
ha ritenuto insussistente, non essendo sufficiente la mera potenzialità lesiva
della condotta del debitore.
7. Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del
giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo. Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il
ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro
3.500,00 per compensi professionali ed accessori di legge nonché Euro 200,00
per esborsi . Ai sensi dell’art. 13
, comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il
ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.