Il termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare decorre dal momento dell’acquisizione, da parte l’Amministrazione datrice di lavoro, di una notizia di infrazione di contenuto tale da consentire di pervenire ad una formulazione dell’atto di contestazione.
Nota a Cass. 4 maggio 2021, n. 11635
Sonia Gioia
In materia di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione “assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una ‘notizia di infrazione’ di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione”.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (4 maggio 2021, n. 11635, conforme ad App. Bari n. 1518/2018), in relazione ad una fattispecie concernente un dipendente pubblico, impiegato con mansioni di operatore tecnico CED (Centro Elaborazione Dati), che lamentava l’illegittimità della procedura disciplinare per tardività della sua conclusione, all’esito della quale era stato licenziato, con preavviso, per scarso rendimento dovuto a negligenza ed inosservanza degli orari di impiego.
Nello specifico, l’Amministrazione datrice di lavoro (Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Foggia) aveva irrogato la massima sanzione espulsiva allorché le reiterate assenze dal servizio, complessivamente considerate, avevano assunto connotati tali da integrare un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, rilevante sotto il profilo di una “inaffidabile resa lavorativa”.
Sicché, ad avviso dell’ente pubblico, il termine decadenziale di 120 giorni per la conclusione della procedura disciplinare, ai sensi dell’art. 55 bis, co. 4, D. LGS. 30 marzo 2011, n. 165, c.d. T. U. del Pubblico Impiego (nel testo, applicabile ratione temporis, antecedente alla L. 25 maggio 2017, n. 75, c.d. Riforma Madia), doveva decorrere, non dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, e cioè dell’assenza ingiustificata, ma dal momento in cui la stessa, per il suo protrarsi, aveva integrato un autonomo e più grave addebito disciplinare, consistito in un’attività lavorativa che, nel corso degli ultimi due anni, era stata “insufficientemente svolta in termini di produttività e di materiale presenza nei luoghi di lavoro” (ex art. 13, co. 7, lett. e), ccnl Comparto Sanità 2002- 2005 e art. 9, lett. e), Regolamento disciplinare del Personale dipendente dell’ASL di Foggia).
In merito, la Cassazione ha ribadito che, per poter validamente instaurare il procedimento disciplinare, è necessario che l’informazione circa l’infrazione commessa dal pubblico dipendente sia di contenuto tale da consentire all’Ufficio competente per i Procedimenti Disciplinari (c.d. U.P.D.) di dare correttamente avvio alla procedura, secondo la regolare alternanza tra contestazione dell’addebito, svolgimento dell’istruttoria e irrogazione della sanzione (v. Cass. n. 14886/2020; Cass. n. 7134/2017, annotata in q. sito da G.I. VIGLIOTTI, Illeciti penali del dipendente pubblico e dies a quo della procedura disciplinare).
Pertanto, il dies a quo per la valutazione della tempestività dell’azione disciplinare va individuato nel momento in cui gli organi titolari del potere sanzionatorio hanno una cognizione piena del fatto addebitato, con la conseguenza che la contestazione può essere ritenuta tardiva solo qualora l’Amministrazione datrice di lavoro rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in possesso di tutti gli elementi necessari a formulare l’incolpazione.
In attuazione di tali principi, la Cassazione, nel respingere le doglianze del prestatore, ha ritenuto immune da errori la pronuncia di merito che aveva fatto correttamente decorrere il termine decadenziale di 120 giorni allorché l’U.P.D. era stato posto nelle condizioni di contestare un’autonoma e più grave infrazione disciplinare, consistita non nella somma delle precedenti singole assenze dal servizio ma nel protrarsi di una prestazione insufficientemente produttiva, quale “conseguenza di una presenza in ufficio ingiustificatamente discontinua e comunque determinata da un comportamento negligente e di inosservanza degli obblighi di servizio”, tale da ledere definitivamente la fiducia del datore di lavoro nei futuri adempimenti del dipendente.