Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 giugno 2021, n. 15628
Rapporto di lavoro, Retribuzione, Somme fuori busta,
Quietanze dei pagamenti degli importi indicati in busta paga, Prova
Rilevato che
la Corte d’appello di Roma, a conferma della
sentenza del Tribunale, ha riconosciuto il diritto di B.D. alla corresponsione
delle differenze retributive, per l’ammontare di Euro 29.128,00, e del t.f.r.
derivanti dal rapporto di lavoro intercorso tra la stessa e la Società “Il
G. s.a.s. di A.G.”, ove aveva svolto attività come cuoca dall’1/02/2006 al
31/12/2008;
la cassazione della sentenza è domandata dalla
Società Il G. s.a.s. di A.G.” in persona del legale rappresentante A.G.
sulla base di un unico motivo;
B.D. ha depositato controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.,
ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza in camera di consiglio.
Considerato che
con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.l, n.3 e n. 5
cod. proc. civ., parte ricorrente deduce
“Violazione dell’art. 2697 c.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c. – Omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”;
il profilo della violazione di legge è dedotto in
relazione all’affermazione della Corte territoriale secondo cui sarebbe mancata
la prova che la D. L., oltre a quanto risultava dalle buste paga, percepiva
fuori busta l’ulteriore somma di € 500,00 a titolo di retribuzione: l’erronea
affermazione avrebbe comportato l’illegittima lievitazione dell’ammontare della
somma ritenuta dovuta dalla ricorrente;
quanto all’omesso esame di un fatto storico
decisivo, la ricorrente lamenta la mancata considerazione delle sette ricevute
di pagamento a firma della D. L. attestanti la percezione di € 1000 mensili.
il motivo è inammissibile;
secondo l’orientamento costante di questa Corte, il
ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di
controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale
spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere,
tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee
a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 331 del 2020; Cass. 14679 del
2013; Cass. n. 27197 del 2011);
nel caso in esame, la Corte d’appello ha esercitato
in pienezza il potere di individuare le fonti del proprio convincimento,
ritenendo che «le ricevute di pagamento legate dalla società sono soltanto le
quietanze dei pagamenti degli importi indicati in busta paga (e non già di
ulteriori importi).» (p. 4 sent.);
deve aggiungersi che la parte non deposita
unitamente al ricorso per cassazione le dette ricevute né le buste paga, e
neppure fornisce sicuri elementi per una loro facile reperibilità, incorrendo
nella ragione di improcedibilità del motivo ai sensi dell’art. 369, n. 4, cod.proc.civ.;
va poi rilevato, con riguardo al denunciato vizio di
motivazione (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.), che a fronte di un doppio accertamento
fattuale e di una CTU che ha elaborato i conteggi, il ricorrente avrebbe dovuto
indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di
primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono
tra loro diverse (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 19001 del 2016; Cass. n.
5528 del 2014), al fine di evitare l’inammissibilità del motivo in caso di cd.
doppia conforme prevista dall’art. 348-ter, comma
5, cod. proc. civ.;
in definitiva, il ricorso va dichiarato
inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza,
disponendosene la distrazione in favore del difensore della parte vittoriosa,
dichiaratosi antistatario;
in considerazione dell’inammissibilità del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti
della controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 a
titolo di compensi professionali, con distrazione in favore del difensore della
parte vittoriosa, dichiaratosi antistatario, oltre
spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17 della I. n.228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 -bis dello stesso art. 13.