Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 giugno 2021, n. 17045
Rapporto di lavoro, Superiore inquadrmento
– Differenze retributive, Maggiorazioni per le ore di lavoro straordinario,
Onere della prova
Rilevato che
1. la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale
accoglimento dell’appello proposto dalla R. srl e in
parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la predetta
società al pagamento in favore di M.M. della somma di euro 9.363,82 a titolo di
differenze retributive per superiore inquadramento e di maggiorazioni per le
ore di lavoro straordinario risultanti dalle buste paga; ha integralmente
compensato tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio;
2. la Corte territoriale ha confermato la
statuizione di primo grado quanto al diritto del dipendente all’inquadramento
nel superiore livello contrattuale e alle correlate differenze retributive; ha
ritenuto, invece, non assolto l’onere di prova, facente capo al lavoratore, di
dimostrare lo svolgimento di lavoro straordinario (oltre a quello già
risultante dai prospetti paga) ed ha riformato sul punto la sentenza di primo
grado, riconoscendo unicamente al dipendente il diritto, sulle ore di
straordinario risultanti dai prospetti paga, alle maggiorazioni previste dall’art.
137 del CCNL applicato;
3. sulla regolazione delle spese di lite ha così
motivato: “in applicazione del principio stabilito dall’art. 92, comma 2 c.p.c.,
considerato che ricorrono gravi ed eccezionali ragioni di ordine equitativo,
attesa la reciproca soccombenza, nonché tenuto conto dell’esito complessivo del
giudizio e dell’accoglimento solo parziale del gravame e della domanda, le
spese di entrambi i gradi di giudizio possono essere interamente compensate tra
le parti”;
4. avverso tale sentenza M.M. ha proposto ricorso
per cassazione affidato ad un unico motivo; la R. srl
ha
resistito con controricorso; entrambe le parti hanno
depositato memoria;
5. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi
dell’art. 380 bis c.p.c.
Considerato che
6. con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, nn.
3 e 4 c.p.c, violazione e falsa applicazione
degli artt. 91, comma 1, e 92, comma 2, c.p.c., per
avere la Corte d’appello disposto la compensazione delle spese in difetto dei
presupposti normativi; specificamente, perché non ricorre nel caso di specie
una condizione di soccombenza reciproca avendo i giudici di appello accolto la
domanda subordinata dell’appellato (sulle maggiorazioni per lavoro
straordinario) e liquidato una somma di poco inferiore rispetto a quanto
riconosciuto in primo grado;
7. il motivo è infondato;
8. occorre premettere che nel caso di specie, di
procedimento iniziato in primo grado con ricorso depositato il 16.6.2017, trova
applicazione l’art. 92 c.p.c.
nella formulazione successiva alle modifiche apportate dall’art. 13, d.l.
n. 132/14, conv. dalla legge n. 162/14, secondo cui: “Se vi e’ soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità
della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle
questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti,
parzialmente o per intero”; a seguito della sentenza
della Corte Cost. n. 77 del 2018, la
compensazione delle spese, parzialmente o per intero, può essere disposta
“anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali
ragioni”;
9. occorre ulteriormente considerare che il giudice
d’appello, quando riforma in tutto o in pance la sentenza impugnata, procede
d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza
della pronunzia di merito adottata, poiché gli oneri della lite devono essere
ripartiti in ragione del suo esito complessivo (v. Cass.
n. 14916 del 2020; n. 23226 del 2013);
10. sulla nozione di soccombenza reciproca, che
consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, questa
Corte ha più volte ribadito che essa sottende – anche in relazione al principio
di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che
si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero
l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata
articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli
altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa,
riguardante una domanda articolata in unico capo (cfr. Cass.
n. 10113 del 2018; n. 20888 del 2018);
11. con particolare riferimento alle domande
subordinate si è precisato che nel caso in cui, rigettata la domanda
principale, venga accolta quella proposta in via subordinata, può configurarsi
una soccombenza parziale dell’attore nella sola ipotesi in cui le due domande
siano autonome, in quanto fondate su presupposti di fatto e ragioni di diritto
diversi” (Cass. 26043 del 2020; n. 15705 del
2005);
12. nel caso di specie, la domanda subordinata
proposta dal ricorrente in primo grado ed accolta dal giudici di appello
(condanna al pagamento delle maggiorazioni contrattuali sul lavoro
straordinario risultante dai prospetti paga) aveva carattere autonomo ed
indipendente rispetto alla domanda principale, accolta invece dal primo giudice
(e respinta in appello), relativa allo svolgimento di lavoro straordinario,
ulteriore rispetto a quanto risultante dai prospetti paga;
13. l’accoglimento della domanda subordinata nei
termini appena descritti integra, secondo la giurisprudenza richiamata, la
condizione di reciproca soccombenza, come correttamente statuito nella sentenza
impugnata, che si sottrae quindi alle censure di violazione di legge;
14. non è pertinente il richiamato fatto nel ricorso
alla sentenza Cass. n. 8668 del 2018 che ha ribadito
il principio già affermato da questa Corte (ex aliis,
Cass. sez. IlI 19 ottobre
2016 nr. 21069) secondo cui “In caso di parziale accoglimento dell’unica
domanda proposta, l’attore, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate
dalla I. n. 69 del 2009 ed applicabile “ratione temporis“, non può
mai essere condannato, neppure in parte, al pagamento delle spese processuali,
le quali, ove non siano state interamente poste a carico del convenuto, possono
solo essere, totalmente o parzialmente, compensate tra le parti”;
15. ciò che è precluso, in caso di parziale
accoglimento della domanda, è la condanna alle spese dell’attore, laddove nel
caso in esame è stata legittimamente disposta la compensazione delle spese di
lite;
16. costituisce peraltro indirizzo costante quello
secondo cui, in materia di spese processuali, il sindacato della Corte di
cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo
il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con
la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale
del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in
tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca,
quanto ove ricorrano gli altri requisiti normativamente previsti, sia
provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti minimi e massimi
fissati dalle tabelle vigenti (v. Cass. n. 19613 del
2017; n. 8421 del 2017; Sez. 6 n. 24502 del
2017);
17. per le ragioni esposte il ricorso deve essere
respinto;
18. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come da dispositivo.
19. si dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali di cui all’art. 13,
comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24
dicembre 2012 n. 228;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi
professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura
del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge
24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13,
se dovuto.