Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 maggio 2021, n. 14066
Lavoro, Collocamento in mobilità lunga, Contribuzione
figurativa, Prescrizione
Considerato in fatto
1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la
sentenza del Tribunale di accoglimento dell’opposizione proposta dalla soc E.T. avverso la richiesta dell’Inps di pagamento degli
oneri posti a carico del datore di lavoro per il collocamento in mobilità lunga
di alcuni lavoratori (contribuzione figurativa, indennità di mobilità, assegno
per nucleo familiare).
Secondo la Corte era applicabile la prescrizione
quinquennale in quanto la contribuzione figurativa aveva natura coincidente con
quella della contribuzione obbligatoria, dunque, rientrava nel disposto dell’art. 3 L. n. 335/1995 e, con
riferimento alle somme dovute per indennità di mobilità e di assegni per nucleo
familiare,ha osservato che si trattava di
obbligazioni oggetto di corresponsione periodica essendo dovute dal datore di
lavoro al termine di ciascun anno solare con conseguente applicabilità dell’art. 2948 n. 4 c.c.
2. Avverso la sentenza ricorre l’Inps. Resiste la E.
con controricorso e poi memoria ex art. 378 cpc.
Ritenuto in diritto
3. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 1 septies
DL n. 78/1998 conv. in L.
n. 176/1998; dell’art. 7,
co 9, L. n. 223/1991 e dell’art.
3, co 9, L. n. 335/1995.
L’Istituto pone il quesito se le somme necessarie a
ristorare l’Inps della contribuzione figurativa riconosciuta ai lavoratori in
mobilità lunga e posti a carico delle imprese, siano contributi previdenziali.
Secondo il ricorrente le somme rimborsate dal datore
di lavoro non erano contributi figurativi, ma costituivano il ristoro del costo
economico che l’ordinamento aveva sopportato per riconoscere al lavoratore la
tutela contributiva di tipo figurativo.
Osserva che diversa è la ratio della copertura
contributiva allorché il lavoratore si trova nell’impossibilità di rendere la
prestazione per una scelta economica del datore di lavoro: in questo caso il
costo economico dell’appostamento della contribuzione ,ancorché figurativa, era
considerato un onere che deve sostenere il datore di lavoro, non potendosi
assimilare un procedimento di licenziamento collettivo, che sfocia nella
procedura di mobilità, una esigenza meritevole di tutela piuttosto che un costo
economico che il datore di lavoro ritiene di sostenere.
4. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 1 septies
del D.L. n. 78/1998 conv. in L. n. 148/1998 e dell’art.
2948, n 4, cc. Pone il quesito se le somme necessarie a ristorare l’Inps
del pagamento della prestazione di mobilità lunga siano da inquadrarsi nella
categoria delle somme da pagarsi periodicamente ad anno o in termine più breve.
Censura la sentenza che richiama l’art. 3, comma 5, dl 129/1997 conv in L. n. 229/1997,
secondo cui gli importi sono da pagarsi “alla fine di ciascuno anno
solare, nella misura corrispondente all’onere sostenuto”, considerata
norma a valenza generale.
Per l’Inps invece l’art. 1 septies
I. n. 176/1998 contiene il rinvio solo ai primi due commi dell’art. 3 dl 129/1997.
5. Il ricorso è infondato. Deve, infatti,
confermarsi il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui il credito
vantato dall’INPS nei confronti del datore di lavoro, relativo al rimborso
delle somme erogate al lavoratore a titolo di indennità e di contribuzione
figurativa afferenti al regime della cd. mobilità lunga, va ascritto all’ampia categoria
dei contributi previdenziali e soggiace quindi al termine di prescrizione
quinquennale, previsto dall’art 3, comma 9, lett. B
della L. n. 335/1935 (cfr Cass.
ord n. 399/2020, sent. N. 28605/2018, n.
672/2018, n. 24828/2011, n. 27674/2011).
6. In dette pronunce si è rilevato ,con riferimento
alla denominazione di “onere”data dal
legislatore alle somme dovute dal datore di lavoro all’ente previdenziale, che
“Le differenze terminologiche non possono, tuttavia, incidere
sull’appartenenza alla comune ed ampia categoria dei contributi previdenziali
(per gli ulteriori argomenti ed ipotesi esemplificative si rinvia a Cass. n. 672 del 2018
cit.), ed ancor più sul regime prescrizionale, per cui pur dandosi atto della
precipua diversità, per natura e funzione, dei contributi complessivamente
considerati, risponde ad un criterio di ragionevolezza assoggettare alla
disciplina della prescrizione, dettata dall’articolo 3, comma 9, lettera b)
della legge n. 335 del 1995, tutti i contributi, nell’accezione lata
comprensiva, come nella specie, anche degli oneri economici relativi alla permanenza
in mobilità per i periodi eccedenti la mobilità ordinaria, sopportati dall’ente
previdenziale sia per erogare al lavoratore la prestazione economica sia per
accreditare la relativa contribuzione figurativa”.
A tanto consegue che la sentenza impugnata non è
suscettibile di cassazione.
7. Le spese del giudizio, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002 , sussistono i presupposti per
il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a
titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1 -bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro
10.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali e accessori
di legge. Ai sensi dell’art. 13,
comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002,
sussistono i presupposti per il versamento, a carico del ricorrente,
dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto
per il ricorso ex art. 13,comma
1-bis.