Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 giugno 2021, n. 24915

Violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni
sul lavoro, Omessa vigilanza sull’andamento dei lavori e sulle tecniche
utilizzate, Posizione di garanzia, Coordinatore per la sicurezza,
Responsabilità

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei
confronti dell’odierno ricorrente G.P., con sentenza del 16/7/2019 confermava
la sentenza emessa in data 22/10/2018 dal Tribunale di Grosseto all’esito di
giudizio ordinario, con la quale P.G. era stato condannato, con le circostanze
attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, e con la
continuazione tra i due reati, alla pena condizionalmente sospesa, di mesi otto
di reclusione in quanto ritenuto colpevole dei reati di omicidio colposo con
violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e di
crollo colposo di edificio ed era stato condannato alla pena di mesi otto di
reclusione, condizionalmente sospesa.

Nello specifico l’imputazione faceva riferimento ai
reati p. e p. dagli artt. 113, 434, 449, 589 c.p. perché, in cooperazione colposa tra loro,
il C. [per il quale si è proceduto separatamente] quale proprietario e
committente delle opere di appalto per la ristrutturazione dell’immobile, il P.
quale coordinatore per la progettazione e coordinatore per l’esecuzione dei
lavori, il B. [per il quale pure si è proceduto separatamente] quale direttore
dei lavori, per imprudenza, negligenza e imperizia, e in particolare:

– il C. [per il quale si è proceduto separatamente]
in violazione degli artt. 90
e 93 D. L.vo 81/2008, non
prendendo in considerazione e non verificando i documenti di cui all’art. 91 co. 1 lett. a) e b)
stesso D. L.vo;

– il P. in violazione degli artt. 91 co. 1 lett. a) e 92 comma
2 lett b) D. L.vo 81/2008, non valutando correttamente nel PSC (piano di
sicurezza e coordinamento) i rischi per la sicurezza delle lavorazioni previste
in cantiere, le relative misure di prevenzione e non verificando il POS (piano
operativo di sicurezza) della ditta E.V. s.r.l. – piano complementare e di
dettaglio del PSC – assicurandone la coerenza con quest’ultimo in relazione
all’evoluzione dei lavoratori e alle eventuali modifiche intervenute;

– il B. [per il quale si è proceduto procede
separatamente] omettendo di vigilare sull’andamento dei lavori, sulle tecniche
utilizzate e sugli adempimenti posti in essere in fase realizzativa, accertando
che le lavorazioni fossero eseguite a regola d’arte;

cagionavano il crollo del solaio della stanza
dell’immobile “a cavallo” tra il vano destinato a camera ed il vano
destinato a soggiorno e ciò perché, a causa delle inadempienze sopra descritte,
non veniva posizionata una idonea puntellatura al solaio da demolire,
collocando i “cristi” di sostegno in adiacenza al solaio crollato e
non sotto di esso, inoltre errando completamente nella tecnica di
smantellamento del solaio, mediante demolizione di tutte le pignatte, poi con
demolizione parziale dei travetti e creazione di una alternanza di pieni e
vuoti, quindi incidendo l’acciaio di armatura di tre travetti – determinavano
una sollecitazione e trazione e rotazione del cordolo in calcestruzzo armato posto
sul muro perimetrale, e conseguentemente una spinta verso l’esterno del muro di
spina, che cagionava il crollo del solaio che coinvolgeva V.J., che cadeva al
piano sottostante con conseguente immediato decesso.

In Follonica, angolo via Isola di Pianosa -via Isola
di Caprera, il 29/3/2012.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso
per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il P., deducendo i
motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1,
disp. att., cod. proc. pen.:

Con un primo motivo il ricorrente deduce
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla
fattispecie normativa ex art.
90, 91 e 92 del D.lgs 81/08, omessa valutazione del rischio interferenziale
e della relativa posizione di garanzia.

Premessi brevi cenni in fatto sulla vicenda, il
ricorrente evidenzia che l’intera parte motiva della sentenza impugnata (e
della sentenza di primo grado) si appunta, nei rilievi critici diretti
all’imputato sia in termini di omessa verifica, coordinamento con il PSC e
adeguamento del POS del datore di lavoro E.V. s.r.l., che si assume carente nel
disciplinare i rischi connessi alla specifica lavorazione di totale demolizione
del solaio di sottotetto (non prevista da progetto e non autorizzata in via
amministrativa), sia in termini di carente vigilanza sulle modalità di
svolgimento della prestazione lavorativa in un momento topico delle
lavorazioni, che si assume essere avvenuta in maniera gravemente scorretta da
parte delle maestranze.

La Corte territoriale -prosegue il ricorso- riporta
ampi stralci della sentenza di questa Corte (Sez. 4, n. 27165/2016) per delineare
il contenuto della posizione di garanzia del Coordinatore della sicurezza in
fase di esecuzione, evidenziando le caratteristiche del dovere di alta
vigilanza ricadente su quest’ultimo. Tuttavia, in nessun passaggio viene fatto
riferimento al c.d. rischio interferenziale, nonostante la specifica censura
sul punto articolata dalla difesa in sede di appello (il richiamo è al terzo
motivo di appello) ed il richiamo costante a tale elemento caratterizzante
rinvenibile nella più recente giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Tanto più che proprio la richiamata sentenza n. 27165/2015 è lapidaria nello
statuire che “il coordinatore per ¡’esecuzione non è il controllore del
datore di lavoro, ma il gestore del rischio interferenziale”.

Al fine di meglio evidenziare tale profilo di
criticità il ricorrente illustra il quadro normativo e giurisprudenziale che
delinea la posizione di garanzia ed i compiti propri della figura del
coordinatore per la sicurezza che si incentrano, appunto, sul rischio interferenziale.

L’art.
90, co. 3, del D.lgs 81/08 – si ricorda- prevede che nei cantieri in cui è
prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente,
anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei
lavori, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, designa
il coordinatore per la progettazione. Il successivo comma 4 prevede che nel
caso previsto nel comma precedente, il committente o il responsabile dei
lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per la
esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all’art. 98 successivo.

Il rischio in oggetto deriva essenzialmente da
possibili interferenze tra le attività di diverse imprese coinvolte nel corso
delle lavorazioni. Il rischio interferenziale viene, infatti, definito in
giurisprudenza come “rischio derivante dalla convergenza di articolazioni
di aziende diverse verso il compimento di un’opera unitaria” (così questa
Sez. 4 n. 14167/2015) che ricorre nel caso si riscontri la “presenza di
lavoratori appartenenti a più aziende, autonome tra loro, ma che operano
nell’ambito di un medesimo rapporto contrattuale” (il richiamo è a Sez. 4 n. 9571/2016, n. 9571).

L’art.
26, comma 2, lett. b) del D.lgs 81/08 lo descrive come rischio
“ulteriore” generato da interferenza tra i lavori delle diverse
imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva. Il rischio
interferenziale si configura, dunque, come rischio ulteriore e diverso rispetto
a quello “specifico proprio” che è il rischio tipico connesso alla
singola lavorazione svolta da ciascuna impresa.

L’area di rischio governata dai coordinatore in fase
di esecuzione attiene alla configurazione generale delle lavorazioni, si occupa
cioè dell’infrastruttura entro la quale si colloca ogni singola lavorazione
affidata all’impresa esecutrice. Esula, invece, dall’operato del coordinatore
il rischio specifico, che attiene strettamente alla singola lavorazione.

La figura del coordinatore per la sicurezza –
ricorda il ricorrente – trova presupposto indefettibile nella sussistenza di un
rischio interferenziale che giustifica la presenza di una ulteriore posizione
di garanzia in fase di esecuzione, che si affianca in modo autonomo alle
posizioni del committente, del datore di lavoro e del preposto, ai quali
compete la responsabilità per il rischio specifico connesso alle singole
lavorazioni.

La definizione dell’ambito di intervento e di
controllo del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione non può,
dunque, prescindere dalla sussistenza di un rischio di interferenza tra ditte,
laddove è questa l’ipotesi ove risulta accresciuto il pericolo di eventi
infortunistici che necessita la presenza di una posizione di garanzia ulteriore
e specifica in fase di esecuzione. Al contempo tale piano non deve essere
confuso con le responsabilità riconducibili tanto al committente quanto al
datore di lavoro o al preposto alle lavorazioni, i cui rispettivi compiti non
possono essere gestiti dal coordinatore per l’esecuzione dei lavori. In questa
prospettiva la posizione riconosciuta al coordinatore per la progettazione e
l’esecuzione è solo quella dell’alta vigilanza delle lavorazioni, sottesa a
gestire il rischio interferenziale, e non già a sovraintendere, momento per
momento, alla corretta applicazione delle prescrizioni e delle metodiche di
lavorazione, le quali rientrano nell’ambito di gestione del rischio specifico
proprio.

Orbene, il ricorrente lamenta che nel caso in specie
il giudicante non ha considerato in alcun modo il rischio interferenziale,
presupposto per richiamare la disciplina di riferimento e pretendere dal
coordinatore per la sicurezza l’adempimento degli obblighi di garanzia sullo
stesso gravanti, limitandosi a considerare un unico specifico segmento della
lavorazione, peraltro non previsto nell’originario progetto, non comunicato al
coordinatore per la sicurezza e non autorizzato in via amministrativa, in cui
risultavano impegnati i lavoratori dell’impresa E.V. s.r.l, affidataria ed
esecutrice in via esclusiva di tutte le opere murarie e di demolizione.

Invero – è la tesi proposta – se non si definiscono
l’ambito ed i presupposti dell’opera richiesta al coordinatore della sicurezza,
che risiede appunto nell’ esigenza di coordinare e dirigere i pericoli nelle
lavorazioni che nascono dalla interferenza di una pluralità di imprese, risulta
errato, sotto il profilo logico giuridico, imporre al Coordinatore per la
sicurezza, come fa la Corte territoriale nell’ impugnata sentenza, di
“essere presente, o comunque vigilante, affinché l’intervento venisse
eseguito senza rischi” (pag. 5), poiché in tale modo si opera una indebita
sovrapposizione di distinti piani operativi, confondendo la posizione di
garanzia del coordinatore per la sicurezza nella esecuzione con quella del
datore di lavoro, tenuto primariamente al rispetto di obblighi di vigilanza sui
lavoratori e di prevenzione dei rischi connessi alla prestazione lavorativa.

In assenza di una verifica della sussistenza di un
rischio derivante dalla interferenza di lavorazioni riconducibili a ditte
diverse – e si deduce che nel caso di specie tale interferenza non viene
considerata e verificata dal giudice di prime cure e dalla Corte territoriale-
deve affermarsi che la sentenza impugnata finisce per ampliare oltremodo il
molo e le funzioni del coordinatore per la sicurezza, in particolare quelle
connesse alla generale vigilanza sulla configurazione ed esecuzione delle
lavorazioni, laddove a questa figura non risultano attribuiti né compiti
relativi al rapporto diretto con le maestranze, né una minuziosa ingerenza
nella gestione giornaliera del cantiere.

Può ritenersi, quindi, che la Corte territoriale sia
incorsa in quel “cedimento” al quale si riferisce altra significativa
pronuncia della Suprema Corte (Sez. 4, n. 3288/2017), finendo per rimproverare
al coordinatore in fase di esecuzione quel mancato controllo continuo e
puntuale sulle lavorazioni che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità
riconosce di non potersi pretendere, nel momento in cui si delinea con
chiarezza il contenuto del principio di alta vigilanza e cioè che il
coordinatore ha solo un ruolo di vigilanza in merito allo svolgimento generale
delle lavorazioni e non è obbligato ad effettuare quella stringente vigilanza,
momento per momento, che compete al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.

Apparirebbe sintomatico dell’errore concettuale in
cui è incorso il giudicante dell’appello il laconico passaggio conclusivo della
motivazione nel quale viene rimproverato al coordinatore di “essersi
limitato a fidarsi dell’impresa esecutrice”, in ciò condensando la colpa
in vigilando.

In conclusione, operate le suddette distinzioni, non
parrebbe esservi dubbio per il ricorrente che la sentenza impugnata, in quanto
rimprovera al coordinatore l’omissione di puntuale e specifica vigilanza, in
presenza di una lavorazione non prevista progettualmente, non comunicata al
coordinatore e non autorizzata in via amministrativa, che vedeva impegnata
un’unica impresa mediante le proprie maestranze, quindi in una situazione di
assenza di rischio interferenziale, finisce per omettere la necessaria
distinzione dei campi rispettivamente presidiati da differenti figure di
garanzia, attribuendo impropriamente responsabilità al coordinatore nel
contesto di vigenza di un obbligo di presenza e di controllo in capo al
committente, al datore di lavoro e al preposto alle lavorazioni.

In definitiva, si chiede di annullare la sentenza
impugnata essendone viziata la motivazione quanto alla specifica lavorazione
causa del sinistro, alla sussistenza del rischio interferenziale e all’ambito
di intervento rispetto alle altre figure di garanzia operanti in cantiere.

Con un secondo motivo il ricorrente lamenta
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 41, co. 2 e 3 cod. pen. e 192 cod. proc. pen., travisamento della prova ed
errata ricostruzione del nesso eziologico.

Si ricorda in ricorso che è stato ripetutamente
affermato da questa Suprema Corte che la titolarità di una posizione di
garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico
addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio
di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione
– da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia
della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare
violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della
sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento
dannoso, (il richiamo, ex multis, è a Sez. 4, n. 24462/2015 e n. 5404/2015).

Evidenzia il ricorrente come sia dato acquisito al
processo, sia in primo grado che in appello, che la demolizione dell’intero
solaio di sottotetto (per una superficie complessiva di circa 100 mq) non
risultava prevista dal progetto, né comunicata e/o autorizzata in via
amministrativa mediante deposito di variante al Comune e all’Ufficio del Genio
Civile competenti.

Risulterebbe accertata, altresì, la grave imperizia
nell’ esecuzione delle opere di demolizione in oggetto, che hanno avuto luogo
in un regime di estrema speditezza, se non ad un ritmo forsennato – e se ne
intuisce il motivo data la illegittimità delle stesse – sotto la direzione di
colui il quale, in qualità di titolare dell’impresa, datore di lavoro, preposto
alle lavorazioni e responsabile del servizio prevenzione e protezione
dell’impresa appaltatrice, era tenuto in prima persona, in quanto titolare di
posizione di garanzia afferente ai rischi specifici dell’attività, al rispetto
delle misure di sicurezza sul luogo di lavoro, alla vigilanza sui lavoratori ed
alla valutazione e prevenzione dei rischi connessi alla specifica prestazione
lavorativa.

In relazione al motivo di impugnazione qui trattato
l’accertata grave imperizia nell’esecuzione delle opere di demolizione
assumerebbe per il ricorrente rilievo decisivo. Il dato -si sottolinea- è
evidenziato dal giudice di prime cure, e poi ripreso dal giudice dell’appello,
allorquando afferma in parte motiva che la demolizione del solaio avveniva
“con modalità tecnicamente erronee ed assolutamente inadeguate a garantire
la sicurezza degli operatori”.

La consulenza tecnica disposta dalla Procura della
Repubblica di Grosseto descrive le modalità di demolizione del solaio crollato
poste in essere come “erronee, tecnicamente scorrette e non idonee a
garantire l’incolumità degli operatori”.

Ancora più significativa – si evidenzia- sarebbe la
testimonianza resa all’udienza del 18/4/2016 dal teste dell’accusa Pugliano
Giuseppe, sentito in qualità di addetto al servizio di prevenzione per gli
infortuni sul lavoro, della Asl Sud Est Toscana, intervenuto sul luogo di
infortunio, le cui dichiarazioni vengono riportate in ricorso e i verbali
allegati.

Tenuto presente il perimetro della posizione di
garanzia propria del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione,
specificamente imperniata sulla prevenzione del rischio interferenziale,
risulterebbe evidente che il dato probatorio emerso nel corso del dibattimento,
relativo al contributo causale della condotta del datore di lavoro, sarebbe
stato completamente trascurato dal giudice di primo grado e dalla Corte
territoriale.

Tali circostanze, oggetto di prova acquisita ai
processo, risulterebbero univoche e decisive al fine della corretta e rigorosa
ricostruzione del nesso eziologico, ma non troverebbero alcun riscontro e
considerazione nella motivazione della sentenza impugnata. La fretta
nell’esecuzione della demolizione “abusiva” (quindi illecita, poiché
non prevista da progetto assentito e non autorizzata in via amministrativa),
unita all’accertata gravissima imperizia di esecuzione, condotta con tecniche
scorrette ed imprevedibilmente anomale impartite dal datore di lavoro ed
eseguite sotto sua direzione e sorveglianza, anche in qualità di preposto, in
modo eccentrico rispetto al piano delle demolizioni allegato al PSC ed in
violazione delle più elementari norme di sicurezza di cui all’art. 151 del D.lgs 81/08,
avrebbero determinato, quale causa efficiente esclusiva ai sensi dell’art. 41, co. 2 e 3 cod. pen., il verificarsi
dell’evento crollo e del conseguente infortunio mortale.

A fronte di simile metodologia di lavorazione, del
tutto anomala ed imprevedibile, che si ribadisce essere stata impartita
direttamente dal datore di lavoro e da questi condotta e supervisionata, la
previsione nel POS di cautele specifiche per la demolizione dell’intero solaio,
ulteriori rispetto a quanto già previsto per la demolizione di porzione dello
stesso e nel piano delle demolizioni allegato al PSC, non avrebbe potuto in
alcun modo evitare il verificarsi del crollo.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza
impugnata.

3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni
scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il
P.G., che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1.1 motivi sopra illustrati appaiono fondati e,
pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della
Corte di appello di Firenze.

2. Il procedimento trae origine dall’infortunio con
esito mortale occorso in data 29/3/2012 a V.I., il quale, incaricato con la
propria ditta “E.V. srl”, di cui era titolare e preposto alle
lavorazioni, all’effettuazione di lavori di ristrutturazione dell’immobile sito
in Follonica, angolo Via Isola di Pianosa-Via Isola di Caprera, durante
l’attività di cantiere, a seguito del crollo del solaio pertinente al
sottotetto dello stabile, veniva travolto e schiacciato da un trave in cemento,
cui seguiva immediatamente il decesso dell’uomo (sul punto, come fa notare il
ricorrente, si rileva incidentalmente l’erronea descrizione della dinamica del
sinistro che caratterizza l’imputazione, riportata anche nella sentenza oggetto
di impugnazione, laddove si descrive in termini di caduta della vittima
dall’alto, anziché caduta di macerie e detriti dall’alto).

All’imputato P.G., quale coordinatore per la progettazione
e la fase di esecuzione, vengono ascritti – in cooperazione colposa con il
committente ed il progettista-direttore dei lavori, per i quali si è proceduto
separatamente con giudizio abbreviato, all’esito del quale sono stati entrambi
assolti con la formula “perché il fatto non costituisce reato” – i
reati di cui agli artt. 434-449 e 589 cod. pen.
per avere cagionato il crollo, con le fatali conseguenze per il V., avendo
omesso la corretta valutazione dei rischi per gli operatori di cantiere nel
Piano di Sicurezza e Coordinamento in relazione alla totale demolizione del
solaio di sottotetto, opera non prevista da progetto e non autorizzata in via
amministrativa, non monitorando la concreta evoluzione dei lavori e le modalità
tecniche adottate, in violazione degli artt. 91 e 92 del D.lgs 81/2008.

Nel ricostruire i fatti il giudice di prime cure e
la Corte territoriale danno atto che il progetto di ristrutturazione assentito
prevedeva originariamente, oltre alla demolizione dell’intero manto di
copertura, l’alloggiamento di una scala a chiocciola di collegamento tra il
primo piano ed il sottotetto, previa foratura e conseguente demolizione di una
limitata porzione del solaio di sottotetto. Tale opera era prevista
progettualmente e correttamente inserita nei documenti afferenti alla sicurezza
PSC e POS.

In corso d’opera, invece, senza che vi fosse
deposito di variante amministrativa e strutturale, veniva demolito l’intero
solaio di sottotetto (circa 100 mq), oggetto di crollo nelle ultime fasi di
lavorazione, con modalità tecniche erronee ed assolutamente inadeguate a
garantire la sicurezza degli operatori.

Pur dando atto del corretto operato dell’imputato
quale coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione per avere previsto
nel PSC misure precauzionali idonee ed adeguate all’opera di inserimento della
scala nel solaio di sottotetto come da progetto, il giudice di prime cure e poi
la Corte territoriale ne hanno ritenuta acclarata la responsabilità quale
Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, per avere colposamente
omesso di adempiere agli obblighi di vigilanza di cui agli artt. 91 e 92 D.lgs 81/2008 in
relazione al sopravvenuto intervento di demolizione totale del solaio di
sottotetto. In particolare, per l’omessa vigilanza in ordine alla idoneità e
correttezza tecnica delle modalità operative delle demolizioni.sul rilievo che
il P. non avrebbe “vigilato che le concrete modalità operative di
demolizione del solaio fossero tecnicamente corrette e idonee ad impedire il
verificarsi di incidenti”. In particolare, il giudice di primo grado osservava
che l’imputato era frequentemente presente in cantiere e che la demolizione del
solaio era iniziata già alcuni giorni prima del crollo, ma ciononostante non
dispose la sospensione dei lavori fino all’avvenuto adeguamento del cantiere
alla normativa di sicurezza.

Gli originari coimputati F.C. (proprietario
dell’immobile e committente dei lavori) e a M.B. (direttore dei lavori), come
detto, per quanto emerge dalle produzioni in atti, in udienza preliminare hanno
chiesto il giudizio abbreviato e sono stati successivamente assolti per difetto
dell’elemento psicologico del reato.

Nel corso del giudizio di primo grado a carico di P.
le parti civili (prossimi congiunti del deceduto) hanno revocato la
costituzione, con la conseguenza che il Tribunale ha deciso soltanto sulla
responsabilità penale dell’imputato.

Nella sentenza di primo grado, il Tribunale di
Grosseto, con motivazione sintetica, dapprima ricostruisce le cause del crollo,
individuate nelle non corrette modalità di demolizione totale del solaio del
piano sottotetto, effettuata oltretutto senza che fosse stata prevista nel
progetto di ristrutturazione: infatti non solo al piano inferiore non venivano
posizionati puntelli in numero sufficiente, ma si demolivano tutte le cd.
pignatte (elementi per assicurare e stabilizzare le travi in latero cemento) e
si incideva l’armatura di tre travetti, cosicché la muratura non era più in
grado di trattenere il solaio, che crollava.

3. La fondatezza dei proposti motivi deriva da due
considerazioni.

La prima è che occorre partire dal profilo di colpa
specifica di cui all’imputazione, che non fa alcun riferimento -il che è
decisivo in relazione a quanto si andrà a specificare- alla lettera f) di cui
all’art. 92 del D.lgs. 81/08.

La seconda considerazione, strettamente connessa
alla prima, deve avere come riferimento il consolidato orientamento di questa
Corte di legittimità sui compiti, e le conseguenti responsabilità, del
coordinatore per l’esecuzione compendiati nell’arresto costituito da Sez. 4, n.
27165 dei 24/5/2016, Battisti, Rv. 267735 (a cui si sono conformate le
successive Sez. 4, n. 45853 del 13/9/2017, Revello, Rv. 270991 che ha ritenuto
immune da vizi la sentenza che aveva escluso la responsabilità del coordinatore
per la sicurezza dei lavori in relazione alle lesioni patite da un operaio
intento allo smontaggio di una rete metallica con l’ausilio di una scala
inidonea per dimensioni e struttura, rilevando la puntuale verifica
dell’adeguatezza delle prescrizioni previste nel piano di sicurezza e della
loro messa in opera, rispetto ai lavori previsti dal capitolato d’appalto, tra
le quali non rientrava l’attività svolta dal lavoratore; e, soprattutto, Sez.
4, n. 2293 del 19/11/2020 dep. 2021, Vasa, Rv. 280695 in un caso che appare
avere molte similitudini con quello che ci occupa, in cui la Corte ha annullato
la sentenza di condanna del coordinatore per l’esecuzione in relazione al
decesso di un operaio avvenuto all’interno di un cantiere nel corso di lavori eseguiti
clandestinamente a seguito della scadenza della concessione edilizia, non
essendo provata la consapevolezza della intervenuta estemporanea ripresa
dell’attività da parte dell’imputato).

Dunque, in tema di infortuni sul lavoro, il
coordinatore per l’esecuzione dei lavori – è stato più volte precisato- oltre
ai compiti che gli sono affidati dall’art.
5 del D.Lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza
circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio
interferenziale, ma non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per
momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre
figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo,
previsto dall’art. 92, lett. f),
del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in
relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave
e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica
degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate.

A tale figura, pertanto, fa carico, fatto eccezione
che per il caso limite di cui alla lettera f) dell’art. 92 d.lgs. 81/08, che
tuttavia nel caso che ci occupa non è mai stato contestato, la sola gestione
del rischio interferenziale.

Già prima degli arresti sopra ricordati, peraltro,
questa Corte di legittimità, con una serie di sentenze concordanti (17631/2009,
38002/2008, 24010/2004, 39869/2004) aveva
stabilito una responsabilità del coordinatore per l’esecuzione in quanto
garante della sicurezza dei lavoratori nel cantiere ed aveva specificato che si
tratta di una posizione di garanzia che si affianca, in modo autonomo e
indipendente, a quella del datore di lavoro e del committente.

Tuttavia, è stato poi ulteriormente precisato che il
coordinatore per l’esecuzione non è il controllore del datore di lavoro, ma il
gestore del rischio interferenziale.

Importante snodo, ad avviso del Collegio, era stata
già la sentenza n. 18149 del 21/4/2010, Celli e altro, Rv. 247536, pur se
relativa ad un fatto commesso prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008 e del d.lgs. n. 106 del 2009, ove si ribadiva che il
coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono
affidati dall’art. 5 d.lgs. n. 494
del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la
generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio
interferenziale, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle
singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore
di lavoro, dirigente, preposto).

Una riprova verrebbe -secondo il condivisibile
dictum di quella sentenza- dal fatto che il coordinatore procede per atti
formali: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate e
segnalazione al committente di dette irregolarità. Solo in caso di imminente e
grave pericolo direttamente riscontrato gli è consentito di sospendere
immediatamente i lavori. Pertanto, il coordinatore ha solo un ruolo di
vigilanza in merito allo svolgimento generale delle lavorazioni e non è
obbligato ad effettuare quella stringente vigilanza, momento per momento, che
compete al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Solo qualora l’infortunio
sia riconducibile a carenze organizzative generali di immediata percettibilità
sarà dunque configurabile anche la responsabilità del coordinatore; la
conseguenza è che non è richiesta la sua continua presenza nel cantiere con
ruolo di controllo.

Il caso della sentenza 18.149/2010 riguardava un
lavoratore che era caduto nel vuoto.

Questa Corte ha rilevato come il rischio di caduta
implicasse l’uso delle cinture di sicurezza, ma l’obbligo di vigilanza da parte
dei coordinatore comportava solo il controllo sulla esistenza in cantiere delle
cinture di sicurezza e sulla previsione della loro utilizzazione in quella
lavorazione. E non sul fatto che il singolo lavoratore se ne servisse realmente
in quella specifica situazione.

4. La sentenza impugnata, dunque, amplia oltremodo
il ruolo e le funzioni del CSE e richiama la previsione di chiusura di cui alla
lettera f) dell’art. 92 D.l.vo
81/2008 la cui violazione non era stata contestata.

Come si diceva in precedenza, la norma di riferimento
circa il ruolo e i compiti del CSE è l’art. 92 del d.lgs 81/08 e succ.
modif. (Obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori) secondo cui:
“1. Durante la realizzazione dell’opera, il coordinatore per l’esecuzione
dei lavori: a) verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo,
l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi,
delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento
di cui all’articolo 100 e la
corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; b) verifica
l’idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano
complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all’articolo 100, assicurandone la
coerenza con quest’ultimo, adegua il piano di sicurezza e di coordinamento di
cui all’articolo 100 e il
fascicolo di cui all’articolo 91,
comma 1, lettera b), in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali
modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a
migliorare la sicurezza in cantiere, verifica che le imprese esecutrici
adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza; c)
organizza tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi; la
cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca
informazione; d) verifica l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le
parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della
sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere; e) segnala
al committente e al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle
imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni
degli articoli 94, 95 e 96 e
alle prescrizioni del piano di cui all’articolo 100, e propone la
sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori
autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il
committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in
merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per
l’esecuzione dà comunicazione dell’inadempienza alla azienda unità sanitaria
locale e alla direzione provinciale del lavoro territorialmente competenti; f)
sospende, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le
singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati
dalle imprese interessate. 2. Nei casi di cui all’articolo 90, comma 5, il
coordinatore per l’esecuzione, oltre a svolgere i compiti di cui al comma 1,
redige il piano di sicurezza e di coordinamento e predispone il fascicolo, di
cui all’articolo 91, comma
1, lettere a) e b).

Dunque, con riferimento alle attività lavorative
svolte in un cantiere edile, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è
titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri
soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano
compiti di “alta vigilanza”, consistenti: a) nel controllo sulla
corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel
piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione
delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori; b) nella
verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e
nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e
coordinamento; c) nell’adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei
lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le
imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (così Sez. 4, n. 27165 del
24/5/2016, Battisti, Rv. 267735 e prima ancora Sez.
4, n. 44977 del 12/6/2013, Lorenzi ed altro, Rv. 257167).

In particolare, si era già condivisibilmente
sottolineato (Sez. 4, n. 37597 del 5/6/2015, Giambertone, non mass.) che il
controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente
formale, ma va svolto in concreto, secondo modalità che derivano dalla
conformazione delle lavorazioni.

Essenziale è che alla previsione della cautela segua
un’attività di verifica della sua attuazione, che compete alle imprese
esecutrici. Attività di verifica che tuttavia non può significare presenza
quotidiana nel cantiere ma, appunto, presenza nei momenti delle lavorazioni
topici rispetto alla funzione di controllo.

L’alta vigilanza della quale fa menzione la
giurisprudenza di questa Corte, lungi dal poter essere interpretata come una
sorta di contrazione della posizione di garanzia indica piuttosto il modo in
cui vanno adempiuti i doveri tipici.

Mentre le figure operative sono prossime al posto di
lavoro ed hanno quindi poteri-doveri di intervento diretto ed immediato, il
coordinatore opera attraverso procedure; tanto è vero che un potere-dovere di
intervento diretto lo ha solo quando constati direttamente gravi pericoli (art. 92, co. 1 lett. f) dlgs.
n.81/2008).

L’obbligo di cui alla lettera f) è particolarmente
importante, perché è norma di chiusura che, eccezionalmente, individua la
posizione di garanzia del CSE nel potere-dovere di intervenire direttamente
sulle singole lavorazioni pericolose, il che implica anche la necessità legale
di frequentare il cantiere con una periodicità compatibile con la possibilità
di rilevare le eventuali lavorazioni pericolose.

Per il resto, il coordinatore per l’esecuzione,
identifica momenti topici delle lavorazioni e predispone attività che
assicurino rispetto ad esse l’attuazione dei piani ‘attraverso la mediazione
dei datori esecutori. Certo non può esimersi dal prevedere momenti di verifica
della effettiva attuazione di quanto esplicato e previsto; ma anche queste
azioni di verifica non possono essere quotidiane ed hanno una periodicità
significativa e non burocratica (cioè dettate dalle necessità che risultino idonee
allo scopo e non routinarie). Parallelamente, l’accertamento giudiziale non
dovrà ricercare i segni di una presenza diuturna, ma le tracce di azioni di
coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale.

6. Il problema interpretativo è dunque quello di
comprendere se la verifica che si fosse deciso di procedere, diversamente da
quanto progettato, all’abbattimento dell’intero solaio e non alla realizzazione
della scala di collegamento potesse essere controllo esigibile dal P.

La sentenza impugnata è meramente assertiva in
ordine ai profili di responsabilità del P. limitandosi a rilevare che:

“- ciò che viene richiesto al coordinatore per
l’esecuzione dei lavori è una “atta vigilanza” per individuare i
“momenti topici” delle lavorazioni, cioè quelli più pericolosi;

– lo stesso appellante afferma che l’ing. P. non era
a conoscenza del fatto che la demolizione del solaio del piano sottotetto fosse
totale e non parziale;

– è evidente che, in un intervento di
ristrutturazione edilizia, la parte di demolizione costituisce un “momento
topico” dell’intervento, in quanto è certamente una delle fasi più
pericolose, se non la più pericolosa in assoluto;

– non è quindi giustificato il coordinatore per
l’esecuzione dei lavori che affermi di non essere stato di recente in cantiere,
perché era proprio nella fase di demolizione che egli doveva essere presente, o
comunque vigilante, affinché l’intervento venisse eseguito senza rischi;

– anzi, proprio in tale fase, per la complessità
tecnica delle operazioni (comunque anche solo per la demolizione parziale di
una estesa porzione del solaio del vecchio edificio – cfr. dichiarazione B.) e
¡a elevata pericolosità delle stesse, poteva venire in questione il potere
dovere di sospendere le lavorazioni, come previsto dall’art. 92 lett. f) D. L.vo 81/2008″
(cosi a pag. 5 della sentenza impugnata).

La conclusione della scarna motivazione della
sentenza impugnata è che “… nel caso in esame sembra proprio – stando
alla stessa difesa dell’appellante – che il coordinatore per l’esecuzione dei
lavori si sia limitato a fidarsi dell’impresa esecutrice, anche in una fase di
per se stessa delicatissima e molto pericolosa” (così ancora a pag. 5
della sentenza impugnata).

In realtà, ancorché ne richiami talune massime,
seppur datate, la sentenza impugnata non pare fare buon governo dei principi
più volte enunciati da questa Corte di legittimità nella complessa materia del
diritto penale del lavoro.

In particolare, non pare tener conto dei profili di
colpa specifica contestati e della peculiarità del caso concreto.

Non spiega la sentenza impugnata come avrebbe potuto
il P. valutare correttamente nel PSC (piano di sicurezza e coordinamento) come
gli viene imputato le misure di prevenzione per un’attività che non era per
nulla prevista.

Non dà conto nemmeno di come si pervenga ad
un’affermazione di responsabilità per non avere verificato il POS (piano
operativo di sicurezza della ditta E.V. s.r.l. -piano complementare e di
dettaglio del PSC- assicurandone la coerenza con quest’ultimo in relazione
all’evoluzione dei lavoratori e alle eventuali modifiche intervenute sempre
rispetto ad un’attività sostanzialmente abusiva.

Rispetto a quest’ultima, peraltro, i giudici di
merito non rispondono alle obiezioni difensive proposte nell’articolato atto di
appello del 27/2/2019 a firma dell’Avv. K.R. che, peraltro, faceva seguito alla
scarna motivazione del tribunale grossetano.

E’ vero che i lavori in questione erano stati
improvvisi ed erano cominciati il giorno che aveva preceduto l’incidente? Come
si spiegano le contraddizioni nelle dichiarazioni testimoniali cui si fa cenno
nelle pagg. 4 e ss. dell’atto di gravame nel merito?

Manca poi nella sentenza impugnata qualunque
riferimento al giudizio controfattuale e -anche qui ha ragione il ricorrente-
la sentenza impugnata sembra ignorare la necessità di motivazione in punto di
nesso eziologico.

La motivazione del giudice del rinvio dovrà
confrontarsi, sul punto, con la giurisprudenza di questa Corte di legittimità
secondo cui la funzione di alta vigilanza, che grava sul coordinatore per la
sicurezza dei lavori, ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla
configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti,
scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali,
affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto (Sez. 4, n. 46991
del 12/11/2015, Porterà ed altri, Rv. 265661, fattispecie nella quale è stata
ritenuta la responsabilità del coordinatore per la sicurezza in relazione al
crollo di un’impalcatura).

7. Tuttavia la gestione di tali rischi – va
ribadito- non va confusa con quelli che sono propri e specifici del committente
e del datore di lavoro, che non sono e non possono essere gestiti dal
coordinatore per l’esecuzione dei lavori, fatte salve quelle violazioni così
macroscopiche che vadano a ricadere nella ipotesi sub f) del citato art. 92 d.lgs 81/08.

In altri termini, in tutti gli altri casi estranei a
tale ultima previsione normativa, da considerarsi di chiusura, l’alta vigilanza
dei coordinatore per l’esecuzione viene in rilievo laddove si sia in presenza
di un rischio interferenziale, sia cioè in atto una lavorazione che vede
contemporaneamente al lavoro più imprese, con un aumentato rischio
antinfortunistico reciproco.

Egli assume la funzione più generale di garante
sulle situazioni di pericolo nel cantiere, indipendentemente dalle lavorazioni
in corso, solo nei casi di macroscopiche carenze organizzative o di attuazione
della normativa antinfortunistica, direttamente riscontrate, che, ai sensi
dell’art. 92 lett. f)
determinino una situazione di pericolo grave ed imminente, che gli impone di
sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti
effettuati dalle imprese interessate.

Occorre avere riferimento ai contenuti minimi del
piano di sicurezza e di coordinamento, il cui controllo è demandato a figure
professionali quale l’odierna ricorrente, previsti dall’allegato XV del D.gs. 81/2008 (in particolare al
punto 2.3. ove, in relazione ai contenuti minimi del PSC in riferimento alle
interferenze tra le lavorazioni ed al loro coordinamento si legge: “2.3.3.
Durante ¡periodi di maggior rischio dovuto ad interferenze di lavoro, il
coordinatore per l’esecuzione verifica periodicamente, previa consultazione
della direzione dei lavori, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi
interessati, la compatibilità della relativa parte di PSC con l’andamento dei
lavori, aggiornando il piano ed in particolare il cronoprogramma dei lavori, se
necessario. 2.3.4. Le misure di coordinamento relative all’uso comune di
apprestamenti, attrezzature, infrastrutture, mezzi e servizi di protezione
collettiva, sono definite analizzando il loro uso comune da parte di più
imprese e lavoratori autonomi. 2.3.5. Il coordinatore per l’esecuzione dei
lavori integra il PSC con i nominativi delle imprese esecutrici e dei
lavoratori autonomi tenuti ad attivare quanto previsto al punto 2.2.4 ed al
punto 2.3.4 e, previa consultazione delle imprese esecutrici e dei lavoratori
autonomi interessati, indica la relativa cronologia di attuazione e le modalità
di verifica”).

Pare evidente, ad avviso del Collegio, che la norma
in questione delimiti l’area “ordinaria” di garanzia dei coordinatore
per l’esecuzione alle fasi in cui si concretizzi un rischio interferenziale. Ma
ha ragione il ricorrente nel rilevare che di tale rischio -nelle sentenze dei
giudici di merito fiorentini-non c’è menzione alcuna.

Fatto salvo che non ci si trovasse di fronte ad una
situazione di quelle, come più volte detto, riconducibili alla lettera f dell’art. 92 d.lgs 81/08. Ma tale
profilo di colpa non risulta essere mai stato contestato all’odierno
ricorrente)

8. In conclusione il giudice del rinvio, muovendosi
nel solco dell’imputazione, dovrà attenersi al principio di diritto secondo cui
il coordinatore per l’esecuzione ha una posizione di garanzia che non va
confusa con quella del datore di lavoro.

Egli ha una autonoma funzione di alta vigilanza che
riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio
interferenziale, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle
singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore
di lavoro, dirigente, preposto).

L’unica eccezione è costituita dalla previsione di
cui all’art. 92 lett. f D.lgs
81/08 secondo cui) egli, in caso di pericolo grave e imminente,
direttamente riscontrato, ed evidentemente immediatamente percettibile, è
tenuto a sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti
adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. Il coordinatore per
l’esecuzione, in altri termini, non è il controllore del datore di lavoro, ma
il gestore del rischio interferenziale.

Una volta correttamente inquadrata la figura del P.
in tale ruolo, il giudice del rinvio, unico a poter rivalutare gli elementi di
fatto del caso concreto, dovrà fornire con motivazione congrua e logica, il che
nel provvedimento oggi impugnato non è avvenuto, una risposta a vari quesiti. A
cominciare da quello del se doveva e poteva essere G.P., nella qualità
ricoperta, competendogli una mera “alta vigilanza” sul rischio
interferenziale, essere a conoscenza della totale demolizione del solaio, in
contrasto con quanto progettato.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo
giudizio alla Corte d’Appello di Firenze, altra sezione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 giugno 2021, n. 24915
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