L’indennità sostitutiva di preavviso può essere ridotta mediante accordo sindacale.
Nota a Cass. (ord.) 15 giugno 2021, n. 16917
Maria Novella Bettini
Nel contesto di una procedura di licenziamento collettivo la Corte d’appello di Firenze ha: a) ritenuto la contrattazione decentrata non abilitata a modificare la disciplina del CCNL di categoria quanto all’ammontare dell’indennità sostitutiva di preavviso; b) reputato tale indennità irriducibile in base agli accordi previsti dalla legge n. 223/1991; c) escluso l’applicabilità dell’art. 8 del D.L. n. 138/2011 (conv. dalla L. n. 148/2011, relativa ai c.d. contratti di prossimità).
La Corte di Cassazione (ord. 15 giugno 2021, n. 16917, diff. da App. Firenze, 20 novembre 2017), sottolinea invece che “l’esercizio della facoltà di recedere con effetto immediato determina l’insorgere dell’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso, obbligazione pecuniaria che ben può costituire oggetto di accordo e di rinuncia” (v. Cass. n. 12636/2015 e n. 20358/2010). Tale obbligazione è “pertanto suscettibile di essere oggetto di definizione concordata tra le parti sociali, chiamate, nel contesto di una crisi aziendale, a mediare per assicurare la prosecuzione dell’attività di impresa e la conservazione dei livelli di occupazione”. Sicché l’intera procedura, sulla base del richiamato accordo, appare pienamente riconducibile nell’ambito della previsione di cui all’art. 8, co. 2 bis, D.L. n. 138/2011, cit.).
Come noto, tale disposizione prevede che le organizzazioni sindacali (fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, con le intese di cui al co. 1 della stessa norma – finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività), possano operare anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal co. 2 della norma stessa ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro e, pertanto, anche in ordine alle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio”.
Nella fattispecie considerata, le parti sociali, avevano concordato, nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo, che l’azienda avrebbe riconosciuto a coloro che fossero stati prioritariamente considerati ai fini dell’esodo in quanto più vicini alla soglia dell’età pensionabile, una indennità sostitutiva del preavviso di tre mensilità anziché di sei.
E, secondo la Corte, “l’art.8, contemplando, fra le altre ipotesi, quella concernente la “gestione delle crisi aziendali ed occupazionali”, induce a reputare ben ammissibili “specifiche intese” con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, ovviamente, come nella specie, solo nel rispetto delle esigenze di rappresentatività previste dalla medesima disposizione e con particolare riguardo alle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro”.
L’accordo siglato dal sindacato si pone in linea con il combinato disposto degli artt. 1 dell’Accordo Quadro sugli assetti contrattuali e 6, co. 2, ccnl di categoria 19 gennaio 2012. La prima norma, infatti, consente ai contratti collettivi aziendali o di gruppo di definire, anche in via sperimentale e temporanea (anche per contenere gli effetti economici derivanti da situazioni di crisi aziendale o di gruppo), specifiche intese modificative di regolamentazioni anche disciplinate dal ccnl di categoria; per la seconda, i contratti aziendali o di gruppo possono, sempre nel caso di cui sopra, definire specifiche intese modificative di regolamentazioni anche disciplinate dal ccnl di categoria, relativamente, fra l’altro, alla prestazione e, dunque anche all’indennità sostitutiva del preavviso (v. Cass. n. 22789/2016).
La Cassazione in una fattispecie simile (concernente la procedura di mobilità di una banca) ha ritenuto legittima la rimozione integrale del diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso (in quel caso prevista), in quanto concordata dalle parti all’evidente scopo di ridurre i costi della procedura. Ciò, affermando che “la deroga al principio generale che prevede la corresponsione dell’indennità in oggetto, era stata introdotta proprio per far fronte a una ben nota situazione di crisi aziendale ed occupazionale e che l’accordo derogatorio, trasfuso nell’accordo raggiunto nell’ambito della procedura di mobilità, non si poneva in contrasto con principi dettati nella Carta Costituzionale né violava vincoli derivanti da normative comunitarie e da convenzioni internazionali sul lavoro” (cfr. in questi termini, Cass. n. 19660/2019, in q. sito, con nota di M.N. BETTINI).
Del resto, a tale riguardo, la Carta Sociale Europea (riconosciuta, a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194 del 2018, quale parametro interposto per la valutazione della costituzionalità di una norma nazionale) prevede, all’art. 4, che “per garantire l’effettivo esercizio del diritto ad un’equa retribuzione” le parti si impegnano a “riconoscere il diritto di tutti i lavoratori ad un ragionevole periodo di preavviso nel caso di cessazione del lavoro” e, tuttavia, una indennità sostitutiva parametrata su un periodo di preavviso di tre mesi può senz’altro essere reputata adeguata alle peculiarità della fattispecie di cui si tratta, richiedente un concreto, ragionevole bilanciamento tra contrapposte esigenze, come definito concordemente in sede di contrattazione collettiva”.