Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 luglio 2021, n. 19532
Infortunio sul lavoro, Domanda di aggravamento, Secondo
infortunio, Unificazione delle due rendite
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Venezia, in riforma della
sentenza del Tribunale di Verona, premesso che E.V. aveva subito due infortuni
sul lavoro, l’uno il 18/1/1986 e l’altro il 3/7/2001, ha rigettato, con
sentenza non definitiva, l’eccezione di prescrizione sollevata dall’INAIL con
riferimento al secondo infortunio per il quale il ricorrente aveva formulato
una domanda di aggravamento. La Corte ha osservato, infatti, che il termine
triennale di prescrizione decorreva solo dalla scadenza del termine di 10 anni
per la revisione, sicché il ricorso giudiziario del 24/6/2011 e la stessa
domanda amministrativa erano tempestivi solo con riferimento al secondo
infortunio.
La Corte territoriale ha invece rigettato
l’ulteriore domanda del V. tesa all’unificazione della rendita goduta dal 1986
in relazione al primo infortunio e dell’indennizzo relativo all’infortunio del
2001.
Ha rilevato, a riguardo, la mancanza di domanda
amministrativa di unificazione delle due rendite e, comunque, l’infondatezza
della richiesta stante il verificarsi dell’infortunio del 1986 sotto il vigore
del t.u. n. 1124/1965 e di quello successivo
sotto il vigore dell’art. 13, comma
6, prima parte d.lgs. n. 38/2000, conseguentemente escludendo
l’unificazione.
2. Avverso detta sentenza non definitiva ha proposto
ricorso il V. con un unico articolato motivo, poi ulteriormente illustrato con
memoria ex art. 378 c.p.c.; l’INAIL ha
depositato procura in calce.
Con altro ricorso il V. ha impugnato con tre motivi la
sentenza definitiva di rigetto della domanda di aggravamento dei postumi
dell’infortunio del 3/7/2001, cui ha resistito l’INAIL con controricorso.
Ragioni della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione al presente
giudizio della causa iscritta al n. 18949/2017.
3. Il ricorrente denuncia, con il primo ricorso,
violazione dell’art. 13, commi 5 e
6, d.lgs. n. 38/2000 in relazione all’art. 360
n. 5 c.p.c.
Osserva che la Corte territoriale, pur ritenendo non
proposta la domanda amministrativa (così commettendo un errore revocatorio),
aveva comunque deciso nel merito e che detta decisione, con cui aveva
dichiarato non cumulabili i postumi relativi agli infortuni subiti in data
18/1/1986 e 3/7/2001, era infondata, sebbene conforme a giurisprudenza unanime,
in quanto basata su un’interpretazione non costituzionalmente orientata della
suddetta norma o, comunque, sulla base di una disposizione incostituzionale.
Chiede sollevarsi questione di legittimità
costituzionale dell’art. 13, comma
6, d.lgs. n. 38/2000 per violazione dell’art.
38, comma 2, Cost. di adeguatezza della prestazione previdenziale e dell’art. 3 Cost., in quanto il lavoratore che abbia
subito infortuni tutti nel 2000 può godere del più favorevole regime
dell’unificazione.
4.Il motivo è infondato dovendo trovare conferma i
principi già espressi da questa Corte (cfr. Cass.
n. 6048/2018 e n. 12629/2015).
5. L’art.
13, comma 6, d.lgs. n. 38/2000 stabilisce che “Il grado di menomazione
deirintegrità psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia
professionale, quando risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti
derivanti da fatti estranei al lavoro o da infortuni o malattie professionali
verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto
ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve essere
rapportato non aH’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per
effetto delle preesistenti menomazioni, il rapporto è espresso da una frazione
in cui il denominatore indica il grado d’integrità psicofisica preesistente e
il numeratore la differenza tra questa ed il grado d’integrità psicofisica
residuato dopo l’infortunio o la malattia professionale. Quando per le
conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o
denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di
cui al comma 3 l’assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in
capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo
infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere
conto delle preesistenze. In tale caso, l’assicurato continuerà a percepire
l’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali
verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata”. L’intero comma
6 disciplina fattispecie di infortuni sul lavoro verificatisi o malattie
professionali denunciate prima del 25 luglio 2000 (data di entrata in vigore
del decreto ministeriale di cui al comma 3), seguite da eventi lesivi sotto il
nuovo regime, e distingue due diverse ipotesi, allo scopo di raccordare il
precedente ed il nuovo sistema indennitario:
a) il primo periodo riguarda i casi di valutazione
delle menomazioni preesistenti extralavorative o professionali non indennizzate
in rendita; tali menomazioni preesistenti assumono rilevanza solo se
concorrenti ed aggravanti la menomazione di origine lavorativa e sono prese in
considerazione utilizzando la formula Gabrielli di cui all’art. 79 T.U.;
b) Il secondo periodo riguarda invece la diversa
ipotesi degli infortuni o malattie professionali anteriori indennizzate in
rendita o in capitale ai sensi del d.P.R. 30 giugno
1965, n. 1124; in tal caso, l’assicurato continuerà a percepire l’eventuale
rendita corrisposta in conseguenza di malattie professionali o infortuni
verificatisi
o denunciati prima del 12 luglio 2000, e il grado di
menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale
viene valutato senza tenere conto delle preesistenze.
Vi è dunque una netta separazione tra i due regimi,
con un regime più favorevole per il lavoratore rispetto all’unificazione dei
postumi invalidanti (previsto dall’art. 80 t.u. e dal d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13
comma 4).
6. La fattispecie che ne occupa attiene alla seconda
parte dell’art. 13 comma 6 d.lgs. n.
38/2000. In base alla norma di legge risulta che qualora il lavoratore goda
di una rendita per una malattia professionale denunciata prima dell’entrata in
vigore della disciplina dettata dal decreto
legislativo n. 38/2000 (ovvero prima del 25 luglio del 2000) e
successivamente venga colpito da una nuova malattia professionale (non importa
se concorrente o coesistente) il grado di menomazione conseguente alla nuova
malattia professionale deve essere valutato senza tenere conto delle
preesistenti menomazioni; ed il lavoratore percepirà pertanto sia la rendita
già liquidata in base al t.u. n. 1124/65, sia
la prestazione per la nuova malattia da liquidarsi in base allo stesso art. 13 del decreto legislativo n. 38
del 2000.
7. Il ricorrente si duole di tale interpretazione
della norma ed insiste per la richiesta unificazione in quanto, a suo dire, l’art. 13, commi 5 e 6, d.lgs. n. 38/2000,
così interpretato, sarebbe incostituzionale sotto vari profili.
Il ricorrente, tuttavia, al fine di consentire a
questa Corte di valutare l’ammissibilità dell’eccezione di incostituzionalità
denunciata, ha omesso di spiegare l’eventuale rilevanza nella fattispecie in
esame e in particolare i benefici che allo stesso deriverebbero in conseguenza
dell’unificazione, considerato che lo stesso gode di due rendite.
8. Con il primo motivo del ricorso proposto avverso
la sentenza definitiva il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per
motivazione apparente e contraddittoria, essendosi la Corte territoriale
limitata a riportare stralci della CTU senza valutare le osservazioni del CTP
in relazione alla domanda di aggravamento dei postumi relativi all’infortunio
del 3/7/2001.
9. Con il secondo motivo denuncia omesso esame di un
fatto decisivo per avere i giudici di merito adottato la motivazione del CTU
senza formulare una propria autonoma motivazione, basata sulla valutazione
degli elementi di prova acquisiti al processo, e senza dare sufficiente ragione
del proprio convincimento, tenendo conto delle specifiche contestazioni.
10. Con il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine
alla domanda di risarcimento del danno per malattia professionale.
11. I primi due motivi, congiuntamente esaminati,
sono infondati.
La sentenza impugnata appare adeguatamente motivata,
priva di difetti logici o contraddizioni, oltre che immune da errori di
diritto, circa l’affermata esclusione di un aggravamento dei postumi
dell’infortunio.
La Corte territoriale, aderendo alle conclusioni
formulate dal CTU, ha dato ampia ed esauriente spiegazione delle ragioni poste
a base della propria decisione e dunque la motivazione è tutt’altro che
contraddittoria o apparente.
Costituisce principio affermato più volte da questa
Corte (cfr. ord. n. 1652/2012; ord. n.
22707/2009; sent. n. 9988/2009) che “in materia di prestazioni
previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute
dell’assicurato, il difetto di motivazione, denunciatale in cassazione, della
sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico
d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della
scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti
strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la
formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la
censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi
del processo logico formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica
del convincimento del giudice”. Nella specie il ricorrente si è limitato
ad invocare una diversa valutazione scientifica delle prove raccolte senza
evidenziare lacune negli accertamenti svolti o eventuali affermazioni illogiche
o scientificamente errate.
12. Circa il terzo motivo e la domanda di
riconoscimento di una rendita per malattia professionale va osservato che
effettivamente la questione non è stata esaminata dalla Corte di merito, anche
se nelle conclusioni riportate in sentenza risulta menzionata una domanda di
malattia professionale.
Il motivo, tuttavia, è inammissibile per difetto di
specificità. È noto, infatti, che a seguito della denuncia di un vizio di
violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione
all’art. 360 n. 4 c.p.c. questa Corte è
investita del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui
quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente
in conformità alle regole fissate a riguardo dal codice di rito (ed oggi
quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.). Nemmeno in
quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare
il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario
del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle
più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art.
366 c.p.c., comma 1, n. 6, e nell’art. 369
c.p.c., comma 2, n. 4.
Nella specie il difetto di specificità sussiste sia
con riferimento alla proposizione della domanda amministrativa ed alla relativa
dimostrazione in giudizio, sia con riferimento al contenuto del ricorso e, in
particolare, all’avvenuta corretta esposizione dei presupposti per il
riconoscimento della malattia professionale denunciata.
Con riguardo al primo aspetto lo stesso ricorrente
riferisce che il Tribunale aveva dichiarato improponibile il ricorso sul punto
per difetto della domanda amministrativa; che egli aveva censurato in appello
tale capo e che, nel corso del giudizio di secondo grado, aveva depositato la
domanda amministrativa “tramite il dott. P. e dalla consulente del lavoro
(v. doc D)” (sic).
Da quanto sopra esposto non è chiaro, in primo
luogo, se detta domanda amministrativa sia stata regolarmente acquisita,
quantomeno, nel processo d’appello.
Né il ricorso specifica la data della presentazione
della domanda e neppure ne trascrive i tratti essenziali, al fine di consentire
a questa Corte di valutarne la correttezza; nel ricorso si richiama, senza
ulteriori specificazioni, un “docD” non individuabile nel fascicolo
di parte.
Il ricorrente, inoltre, neppure ha trascritto,
quantomeno nei suoi tratti essenziali,
il contenuto del ricorso depositato in primo grado
al fine di valutare la completezza della domanda di riconoscimento di una
rendita per malattia professionale: non risultano qui specificati gli strumenti
di lavoro utilizzati e le attività svolte, in modo da individuare il rischio
lavorativo e il rapporto causale con la malattia denunciata (consistente,
secondo il lavoratore, in un’insufficienza respiratoria e in problematiche
relative agli arti inferiori).
13. Per le considerazioni che precedono anche il
ricorso avverso la sentenza definitiva deve essere rigettato.
Le spese di causa seguono la soccombenza.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data
di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 quater, d.P.R. n.
115/2002.
P.Q.M.
Previa riunione al presente giudizio di quello iscritto
al n. R.G. 18949/2017, rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente a pagare le
spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 4000,00 per compensi
professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge,
nonché Euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.