Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2021, n. 26327
Rapporto di lavoro, Autisti, Corrispondeva di retribuzioni
non in linea alle disposizioni del CCNL, Condizioni di sfruttamento,
Violazione della normativa in materia di orario di lavoro, riposo e ferie
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, su conforme
richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., il Tribunale di Busto Arsizio ha applicato la pena,
condizionaimente sospesa, di anni uno e mesi dieci di reclusione ed euro
duemilacinquecento di multa nei confronti di M.N., in relazione ai reati di cui
agli artt.: A) 603 bis cod. pen., perché,
quale rappresentante legale e datore di lavoro della E.T.S. Soc. Coop.,
impiegava i lavoratori S.I., R.D., J.L., N.V. e A.R. sottoponendoli a
condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno.
In particolare: – reiteratamente corrispondeva ai
lavoratori retribuzioni non in linea alle disposizioni del CCNL e
sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; –
reiteratamente violava la normativa in materia di orario di lavoro, riposo e
ferie, imponendo agli autisti di guidare gli autoarticolati per moltissime ore
consecutive, in contrasto con la disciplina degli orari massimi di guida e dei
riposi obbligatori, e di ricorrere ad artifici per eludere eventuali controlli
di polizia; non rispettava la normativa in materia di sicurezza sul lavoro,
omettendo del tutto la informazione e formazione dei lavoratori.
Con le circostanze aggravanti di aver reclutato più
di tre lavoratori di aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a
situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle
prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
In Cairate, dal novembre 2016 in permanenza attuale.
B) 81, 477 e 482 cod. pen.,
perché alterava (o quantomeno concorreva ad alterare) il Durc (Documento Unico
Regolarità Contributiva) n. Inps _ 6971780, in realtà concernente la posizione
della società A.I. S.p.A., ed il DURC n. Inail _ 6217288, in realtà inesistente
negli archivi Inail, facendoli figurare come relativi alla E.T.S. Soc. Coop, al
fine di attestarne falsamente la regolarità contributiva.
In Cairate in data anteriore o prossima al 26
gennaio 2017 e al 15 giugno 2017.
C) art.
37 L. n. 689 del 1981, perché, in qualità di datore di lavoro della E.T.S.
Soc. Coop., al fine di non versare in tutto o in parte contribuiti e premi
previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, ometteva le
denunce (obbligatorie relative al mese di Novembre 2012, Novembre 2013 e
Ottobre 2015, con conseguente omesso versamento di contribuiti e premi
obbligatori per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra €
2.582 mensili e il 50% dei contribuiti complessivamente dovuti, come da tabella
di cui al capo di imputazione (riportati gli importi dovuti, gli importi non
versati per un totale di euro 328.454,65 relativamente alle scadenze dal
novembre 2012 all’agosto 2017).
In Cairate dal novembre 2012 all’agosto 2017.
Il G.I.P. ha escluso la sussistenza dei presupposti
per pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. ed ha ritenuto
ascrivibile all’imputato la condotta contestatagli alla stregua dell’attività
di P.G. risultante in atti (c.n.r. della Polizia Stradale di Busto Arsizio del
4 aprile 2017 e relativi allegati; successive integrazioni e, in particolare,
gli esposti presentati dai lavoratori dipendenti indicati in imputazione;
processi verbali di sommarie informazioni testimoniali e risultanze complessive
dell’attività captativa autorizzata in fase di indagini).
Da tali atti, infatti, si evincevano lo sfruttamento
continuato dei lavoratori della cooperativa E.T.S., l’alterazione dei Durc in
relazione alla società A.I. s.p.a. e l’omesso versamento delle ritenute
previdenziali per un importo complessivo accertato pari a euro 76.859,91,
prendendo in considerazione il tempus commissi delicti del capo A) della
rubrica.
Ai sensi dell’art. 603
bis.2 cod. pen., il G.I.P. ha disposto la confisca del profitto conseguito
dalla cooperativa E.T.S., amministrata dall’odierno imputato, e che come tale
non poteva essere considerato persona estranea al reato in quanto diretto
fruitore del profitto ricavato dall’attività criminosa, mediante la commissione
dei reati in contestazione che deve nell’importo di euro 76.859,91,
corrispondente al vantaggio ottenuto per l’omesso versamento dei contributi
assistenziali e previdenziali dovuti per i lavoratori nel periodo dello
sfruttamento indicato al capo A).
2. Il M., a mezzo del proprio difensore, ricorre per
Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo tre motivi di
impugnazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento all’art. 603, comma 2, cod. pen..
Si deduce che il G.I.P. ha identificato e
quantificato il profitto ponendo in correlazione diretta le contestazioni di
cui ai capi A) e C), ritenendo sovrapponibili i fatti di caporalato e di omesso
versamento. Ciò si evinceva dal diretto riferimento del G.I.P. al guadagno
previdenziale indicato nella tabella di cui al capo C), ritenuto direttamente e
interamente riferibile ai lavoratori nel periodo di sfruttamento.
2.2. Violazione di legge in ordine all’art. 521 cod. proc. pen..
Si osserva che sussisteva un difetto di correlazione
tra la contestazione e la decisione sotto il profilo della determinazione
dell’oggetto della confisca.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 2 cod. pen., 7 CEDU e 25
Cost.. Si rileva che l’art. 603 bis, comma
secondo, cod. pen. era stato introdotto con I. n. 199 del 2016, art. 2, in
vigore dal 4 novembre 2016. La confisca, nella parte in cui è stata disposta la
sua esecuzione in forma equivalente, ha natura sanzionatoria, per cui vale il
principio dell’irretroattività della legge penale sfavorevole, violato nella
sentenza impugnata. Ebbene, nell’operare la quantificazione, il G.I.P. ha
conteggiato anche il risparmio contributivo formatosi nell’ottobre 2016.
Infatti, solo conteggiando tale importo di euro 8.638,23 si poteva pervenire
alla cifra totale di euro 76.859,61.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato in relazione a tutti i
motivi di censura prospettati dal ricorrente.
In linea generale, va ricordato che, nell’ambito del
contrasto al fenomeno del caporalato, oltre alle sanzioni penali, sono state
introdotte misure di carattere patrimoniale, allo scopo di perfezionare gli
strumenti tesi a inibire la formazione di patrimoni criminali. In proposito, al
fine di incidere sull’iniquo risultato economico dell’azione delittuosa dei
caporali e degli imprenditori, il legislatore del 2016 ha introdotto,
innanzitutto, la confisca obbligatoria della ricchezza illegalmente accumulata
attraverso l’attività di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Ad integrazione della disciplina della misura di
carattere patrimoniale è stato introdotto l’art.
603 bis.2 cod. pen., secondo il quale, in caso di condanna o di
applicazione della pena su richiesta delle parti (art.
444 cod. proc. pen.), è, per i delitti previsti dall’art. 603-bis c.p., «sempre obbligatoria, salvi i
diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno, la confisca
delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose
che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a
persona estranea al reato».
L’efficacia di tale misura è stata rafforzata
essendo stata estesa – laddove non possa avere a oggetto le cose sopra indicate
– ai «beni di cui il reo ha la disponibilità, anche indirettamente o per
interposta persona, per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto
del reato».
2. Passando ora all’esame della fattispecie de quo,
quanto al primo motivo di ricorso, il G.I.P. non ha specificato se la somma
confiscata sia riferibile alle omissioni contributive e previdenziali per i
soli lavoratori persone offese del reato di cui al capo A) o se riguardi tutti i
dipendenti del ricorrente; inoltre, non ha chiarito se i cinque lavoratori
indicati nel capo A) fossero i soli dipendenti dell’imputato. La condotta di
caporalato, infatti, era stata contestata limitatamente a cinque lavoratori,
per cui la confisca può ritenersi legittima solo se discendente dall’omessa
contribuzione per tali dipendenti.
Il testo del capo C) e la tabella allegata non
contenevano indicazioni di pertinenzialità soggettiva dell’omessa contribuzione
né consentivano di individuare la consistenza dei lavoratori nella cooperativa
(in numero variabile negli anni, secondo quanto obiettato dalla difesa), delle
date di assunzione di ogni singolo lavoratore (dato che andrebbe a fissare
l’inizio dell’omessa contribuzione e quindi del profitto, dei criteri di
calcolo di ogni singola omissione per ogni singolo lavoratore).
3. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, dal
confronto tra il testo del capo C) e la tabella riepilogativa dei versamenti
omessi il cui ammontare è oggetto di confisca, emerge una discrasia tra quanto
contestato all’imputato e l’oggetto della confisca obbligatoria.
Nella parte descrittiva dell’imputazione in oggetto,
l’addebito concerneva esclusivamente l’omessa presentazione delle denunce
obbligatorie relative ai mesi di novembre 2012, novembre 2013 ed ottobre 2015,
con conseguente omesso versamento di contributi e di premi obbligatori. Il
G.I.P., invece, al fine di quantificare il profitto oggetto di confisca, ha
esteso la contestazione a tutte le condotte successive all’anno 2016, ovvero
all’epoca di inizio della consumazione del reato di capolarato.
Se in ipotesi il G.I.P. aveva limitato il proprio
orizzonte cognitivo alla contestazione fattuale dei mesi indicati, non avrebbe
potuto disporre nessuna confisca perché il periodo di sfruttamento, delimitante
i contorni del profitto confiscabile, iniziava solo nel 2016.
4. In ordine al terzo motivo di ricorso, va premesso
che la specifica previsione di cui all’art. 603
bis.2 cod. pen., va applicata con esclusivo riferimento ai fatti commessi a
decorrere dal 4 novembre 2016, vale a dire dalla data di entrata in vigore di
tale ipotesi di confisca, non potendo tale norma sanzionatoria essere applicata
retroattivamente, in virtù del noto principio nulla poena sine lege di cui all’art. 25, comma 2, Cost. e di cui all’art. 7 CEDU” (principio
incidentalmente affermato da Sez. 4, n. 54024 del
27/09/2018, Tresoldi, non massimata sul punto).
Nel caso di specie, non si pone un problema di
successione di leggi penali nel tempo come prospettato dal ricorrente, in
quanto tutte le contestazioni a carico dell’imputato riguardano episodi
commessi in epoca successiva alla data del 4 novembre 2016, data di entrata in
vigore dell’art. 2, comma 1, L. n.
199 del 2016, che ha introdotto la suindicata disposizione in materia di
confisca.
Ricorre, tuttavia, un problema di imputazione delle
somme di danaro, non comprendendosi se il conteggio attiene anche alle somme di
danaro relative al risparmio contribuito formatosi nell’ottobre 2016, in epoca
anteriore all’entrata in vigore della legge appena citata, le quali non possono
essere confiscate.
5. Per tali ragioni la sentenza impugnata va
annullata limitatamente alla disposta confisca con rinvio per nuovo esame sul
punto al Tribunale di Busto Arsizio.
Ai sensi dell’art. 624
cod. proc. pen., deve ritenersi formato il giudicato parziale in ordine
all’accertamento del fatto – reato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla
disposta confisca e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Busto Arsizio.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara
irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputato.