Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 luglio 2021, n. 19588
Licenziamento per giusta causa, Direttrice di filiale,
Operazioni irregolari, Condotte connotate da intenzionalità, Violazione del
codice etico
Fatti di causa
1. Con sentenza del 22.9.2017 la Corte di appello di
Ancona, confermando la pronuncia del Tribunale di Pesaro, ha respinto la
domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato, in data
22.9.2014, da Banca nazionale del lavoro s.p.a. a A. C. per aver consentito –
in qualità di impiegata (quadro direttivo) direttrice di filiale – numerose
operazioni irregolari in posizione di conflitto di interessi la banca E. C.
senza effettuare le dovute valutazioni ai fini della normativa antiriciclaggio.
2. La Corte territoriale, ritenuti provati tutti gli
addebiti contestati (per i quali ha disposto la trasmissione degli atti alla
Procura della Repubblica territorialmente competente), ha rilevato che le
condotte erano connotate da intenzionalità finalisticamente orientata a mettere
all’incasso polizze assicurative della cliente T. procurando (mediante la
modifica del beneficiario) un ingiusto profitto alla madre della C., come
poteva desumersi dalla impressionante catena di irregolarità successive
enunciate in ordine cronologico nella lettera di contestazione, così integrando
non solo la violazione del codice etico (diffuso in rete e ben conosciuto dalla
funzionaria) ma altresì del più elementare dovere di diligenza e degli obblighi
di fedeltà, correttezza e buona fede di cui agli artt.
1175, 1376, 2105
c.c. (considerato, in particolare il ruolo svolto dalla dipendente e il
grado di fiducia richiesta), con conseguenti “gravissimi effetti dannosi
per la datrice di lavoro in termini sia morali (gravissimo danno di immagine) e
patrimoniali, esponendo la banca alle azioni risarcitorie degli eredi della
T.”.
3. Per la cassazione di tale sentenza la Canoni ha
proposto ricorso affidato a due motivi. La banca ha resistito con
controricorso, illustrato da memoria.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia
violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 300 del
1970, 6 della legge n. 604
del 1966 e 30 della legge n.
183 del 2010 (in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che
il codice etico della banca prevede solamente precetti senza alcuna
correlazione con delle sanzioni. Tale corrispondenza è postulata dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970
e confermata dagli artt. 6
della legge n. 604 del 1966 e 30
della legge n. 183 del 2010 che rinviano ai contratti collettivi quali
parametri cui il giudice deve relazionarsi per confermare o annullare la
sanzione disciplinare.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e
falsa applicazione dell’art. 7
della legge n.300 del 1970 (in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) dovendo ritenere violata la
previsione della pubblicazione del codice disciplinare sia in quanto non
corredato dalle sanzioni disciplinari sia perché diffuso tra i dipendenti in
via informatica (e mai affisso).
3. I motivi di ricorso, che possono trattarsi
congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili mancando
ogni riferimento alla ratio decidendi del provvedimento impugnato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la
proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica
attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del
ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di
cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ..
Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità,
i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di
specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che
comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e
l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le
dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della
motivazione… ” (Cass. 3.8.2007 n. 17125
e negli stessi termini Cass. 25.9.2009 n. 20652).
3.1. Nel caso di specie difetta la necessaria
riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto
la Corte territoriale non ha affermato che la ragione del licenziamento è da
rinvenire nella violazione di prescrizioni specifiche, di natura
tecnico-operativa, descritte nel codice etico, bensì ha ritenuto che la dipendente
si era resa inadempiente ai generali obblighi di diligenza, correttezza, buona
fede previsti dal codice civile, anche in considerazione del ruolo
professionale rivestito e del conseguente, più intenso, vincolo fiduciario con
il datore di lavoro.
3.2. Le censure non colgono, dunque, la ratio
decidendi perché la ricorrente insiste sulla mancata correlazione tra
infrazioni e sanzioni disciplinari nell’ambito del codice disciplinare della
banca ma nulla deduce sul consolidato orientamento giurisprudenziale, (da
questo Collegio condiviso) posto a fondamento della pronuncia impugnata in base
al quale nelle ipotesi di condotta contraria al c.d. minimo etico (ossia quando
la condotta addebitata sia immediatamente percepibile dal lavoratore come
illecito) la predeterminazione dell’illecito e l’affissione del codice
disciplinare seno superflue (Cass. n. 17763 del 2004, Cass. n. 1926 del 2011, Cass. n. 13414 del 2013, Cass. n. 7105 del 2014).
4. il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile
con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità ex art. 91 c.p.c., liquidate come
da dispositivo;
5. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, previsto dal D.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in
euro 200,00 per esborsi e in euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre
spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
– bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.