Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 15 luglio 2021, n. 154
Previdenza complementare, Questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 8 del
decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, Corrisponsione dei contributi
e degli accantonamenti riguardanti il TFR, Accertamento
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 13 maggio 2020, iscritta al n.
171 del registro ordinanze 2020, il Tribunale ordinario di Sassari, in funzione
di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 38, 47 e 76 della Costituzione, questioni di legittimità
costituzionale «in particolare» dell’art.
8 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme
pensionistiche complementari), «nella parte in cui, stravolgendo lo spirito
complessivo della delega parlamentare con cui era stato previsto un meccanismo
di bilanciamento delle posizioni e dei poteri delle parti, a tutto danno
ingiustificato del lavoratore ha omesso di prevedere strumenti idonei a
garantire una adeguata, piena ed efficace tutela del diritto di quest’ultimo
all’adempimento dell’obbligo di contribuzione incombente sul datore di lavoro».
1.1.- In punto di rilevanza, il giudice a quo muove
dal presupposto che solo il lavoratore possa agire in giudizio nei confronti
del datore di lavoro che non corrisponda al fondo di previdenza complementare i
contributi e gli accantonamenti riguardanti il trattamento di fine rapporto
(TFR). Il legislatore avrebbe delineato «un rapporto trilaterale tra datore di
lavoro, lavoratore e Fondo, con conseguente litisconsorzio necessario fra le
tre parti».
Nel caso di specie, il lavoratore, con ricorso per
ingiunzione, avrebbe chiesto di condannare il datore di lavoro al versamento
delle quote di TFR al fondo di previdenza complementare. Il lavoratore non
avrebbe potuto rivendicare il pagamento in proprio favore del TFR, in quanto il
diritto sorgerebbe «soltanto al momento della cessazione del rapporto di
lavoro», e non avrebbe potuto agire neppure il fondo di previdenza
complementare, che la giurisprudenza reputa sprovvisto di «legittimazione
attiva».
Il rimettente espone di dovere respingere la domanda
monitoria, in ragione del litisconsorzio necessario tra lavoratore, datore di
lavoro e fondo. Nello speciale procedimento per ingiunzione, difatti, non si
potrebbe integrare il contraddittorio e, per altro verso, l’art. 81 del codice di procedura civile impedirebbe
di far valere in nome proprio «un diritto altrui, o un diritto anche altrui
(cioè, anche del Fondo), come nel caso di specie».
1.2.- In merito alla non manifesta infondatezza
delle questioni, il rimettente osserva che la scelta di una diversa
interpretazione esporrebbe la decisione di accoglimento del ricorso a una
probabile riforma e che, tuttavia, la «pacifica interpretazione
giurisprudenziale» condurrebbe al rigetto della domanda e si risolverebbe «in
una denegata giustizia», in contrasto con molteplici princìpi costituzionali.
Secondo il giudice a quo, al lavoratore si dovrebbe
accordare la facoltà di ingiungere al datore di lavoro il pagamento del TFR
conferito a un fondo di previdenza complementare, «senza la necessità della
partecipazione al giudizio del Fondo medesimo», allorché il fondo non vanti «un
interesse meritevole di tutela a partecipare al giudizio».
1.2.1.- Il rimettente, in primo luogo, prospetta il
contrasto con l’art. 76 Cost. La disciplina
censurata non attribuirebbe la «legittimazione attiva del Fondo previdenziale
ad agire in giudizio contro il datore di lavoro per ottenere l’accertamento e
quindi l’esecuzione dell’obbligo di versamento delle quote di TFR spettanti al
lavoratore» e neppure introdurrebbe «alternativi strumenti idonei a garantire
una adeguata, piena ed efficace tutela del diritto del lavoratore all’adempimento
dell’obbligo di contribuzione incombente sul datore di lavoro». La mancata
attuazione della delega con riguardo a tali aspetti ne stravolgerebbe «lo
spirito complessivo».
1.2.2.- L’esclusione della tutela monitoria, che
rappresenta «la forma di tutela di merito più veloce ed efficace prevista
dall’ordinamento», sarebbe lesiva, inoltre, degli artt.
3, 24, 38 e
47 Cost.
Ad avviso del rimettente, «solo un diritto
soggettivo che sia possibile difendere in giudizio con tutti gli strumenti
forniti dall’ordinamento può ritenersi effettivamente tutelato dalla normazione
primaria, e il diritto al Tfr del lavoratore, istituto che vale a garantirgli
un trattamento di tutela per la vecchiaia ex art.
38 Cost., ed è comunque un mezzo di risparmio ex art.
47 Cost., deve ritenersi violato dal complesso delle norme con cui il Governo
ha dato attuazione alla delega legislativa».
1.2.3.- In particolare, con «grave violazione dell’art. 3 Cost.», sussisterebbe una ingiustificata
disparità di trattamento tra il lavoratore che abbia aderito a un fondo di
previdenza complementare, escluso dalla tutela monitoria, e «qualunque altro
creditore sol che vanti un credito liquido e dimostrato per tabulas», ammesso,
per contro, a beneficiare di tale tutela.
1.2.4.- Il rimettente denuncia, infine, il contrasto
con l’art. 24 Cost. Il mancato riconoscimento
della tutela monitoria, che darebbe luogo a una procedura «celere, semplice e
meno costosa», renderebbe il diritto «”monco”», e lo priverebbe «di una parte
rilevante della tutela giurisdizionale che l’ordinamento appresta invece ad
ogni altro diritto patrimoniale».
2.- È intervenuto in giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibili o comunque infondate le
questioni sollevate.
2.1.- Le questioni sarebbero inammissibili sotto
molteplici profili.
2.1.1.- Il rimettente non avrebbe svolto una
argomentazione adeguata in ordine alle ragioni del contrasto della disciplina
censurata con i parametri costituzionali evocati.
Sarebbero meramente assertive le osservazioni sullo
stravolgimento della legge delega.
Apodittiche sarebbero anche le argomentazioni in
merito alla violazione degli artt. 38 e 47 Cost.
2.1.2.- Il giudice a quo non avrebbe esplorato la
praticabilità di una interpretazione adeguatrice e, in particolare, non avrebbe
chiarito se le parti abbiano pattuito la cessione di un credito futuro o una
delegazione di pagamento. Il fondo di previdenza complementare, ove fosse
delegatario, sarebbe legittimato ad agire contro il datore di lavoro. Tale
inquadramento consentirebbe dunque di superare i dubbi di legittimità
costituzionale prospettati nell’odierno giudizio.
Peraltro, il lavoratore potrebbe sempre far valere
il diritto al versamento delle quote di TFR trattenute dal datore di lavoro,
quale che sia la qualificazione giuridica più appropriata dell’operazione
attuata dalle parti.
2.2.- Le questioni, nel merito, non sarebbero
fondate.
2.2.1.- Non sussisterebbe alcuna violazione dell’art. 76 Cost.
La scelta discrezionale di non attuare le previsioni
della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in
materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza
pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione
stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria)
in merito alla legittimazione del fondo non avrebbe stravolto lo spirito
complessivo della delega, diretta essenzialmente a incrementare il
finanziamento alle forme pensionistiche complementari.
2.2.2.- Non sarebbe fondata neppure la censura di
violazione dell’art. 3 Cost.
Nel caso di specie, non sarebbero omogenee le
fattispecie oggetto di comparazione. Il rimettente, nell’istituire il raffronto
con la «generale categoria dei creditori», avrebbe trascurato la peculiarità
del rapporto trilaterale che intercorre tra datore di lavoro, lavoratore e
fondo di previdenza. Tale rapporto si esprimerebbe, sul versante processuale,
nel litisconsorzio necessario, anche in un’ottica di più efficace tutela del
lavoratore.
Lo stesso litisconsorzio necessario
caratterizzerebbe, nell’ambito della previdenza obbligatoria, l’azione promossa
dal lavoratore per ottenere la condanna del datore di lavoro a versare all’ente
previdenziale i contributi omessi.
2.2.3.- La disciplina censurata, infine, non
pregiudicherebbe il diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost.
L’impraticabilità della tutela monitoria, peraltro
affermata da «un orientamento giurisprudenziale» e non dalla «lettera della
legge», non precluderebbe la facoltà di agire con il giudizio ordinario di
cognizione.
Né si potrebbero invocare, in senso contrario, la
lunga durata e gli oneri più gravosi di tale giudizio, non solo perché si
tratterebbe di rilievi dal «mero valore metagiuridico», ma anche perché sulla
stessa procedura monitoria si potrebbe innestare un giudizio ordinario di
cognizione.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Sassari, in funzione
di giudice del lavoro, con l’ordinanza iscritta al n. 171 del reg. ord. 2020,
dubita della legittimità costituzionale «in particolare» dell’art. 8 del decreto legislativo 5
dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche
complementari), per violazione degli artt. 3, 24, 38, 47 e 76 della
Costituzione.
Le censure si indirizzano verso tale disposizione,
in quanto applicabile nel giudizio principale, riguardante il conferimento del
trattamento di fine rapporto (TFR) a un fondo di previdenza complementare.
1.1.- La disposizione censurata violerebbe,
anzitutto, l’art. 76 Cost.
Non sarebbe stata attuata la previsione della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia
pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per
il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il
riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), che al
legislatore delegato affidava il compito di stabilire la legittimazione del
fondo di previdenza complementare ad agire contro il datore di lavoro «per
ottenere l’accertamento e quindi l’esecuzione dell’obbligo di versamento delle
quote di TFR spettanti al lavoratore». Il legislatore delegato non avrebbe
neppure introdotto strumenti alternativi, volti a «garantire una adeguata,
piena ed efficace tutela del diritto del lavoratore all’adempimento
dell’obbligo di contribuzione incombente sul datore di lavoro». Sarebbe stato
così stravolto «lo spirito complessivo della delega parlamentare con cui era
stato previsto un meccanismo di bilanciamento delle posizioni e dei poteri
delle parti».
1.2.- L’esclusione della tutela monitoria per il
lavoratore che pure «disponga della prova cartolare e immediata dell’omesso
versamento del datore di lavoro al Fondo» contrasterebbe anche con gli artt. 3, 24, 38 e 47 Cost.
Secondo il rimettente, soltanto «un diritto
soggettivo che sia possibile difendere in giudizio con tutti gli strumenti
forniti dall’ordinamento» sarebbe «effettivamente tutelato». La disposizione
censurata, nel precludere la tutela monitoria e nell’imporre l’instaurazione di
un giudizio ordinario di cognizione, lederebbe «il diritto al Tfr del
lavoratore, istituto che vale a garantirgli un trattamento di tutela per la
vecchiaia ex art. 38 Cost., ed è comunque un
mezzo di risparmio ex art. 47 Cost.».
1.3.- Il rimettente denuncia, inoltre, l’arbitraria
disparità di trattamento tra il lavoratore che, dopo aver conferito le quote di
TFR a un fondo di previdenza complementare, non potrebbe beneficiare della
«celere, semplice e meno costosa procedura monitoria» e «qualunque altro
creditore», che potrebbe ricorrere a tale tutela quando «vanti un credito
liquido e dimostrato per tabulas». Ne deriverebbe una «grave violazione dell’art. 3 Cost.»
1.4.- La disposizione censurata entrerebbe in
conflitto, infine, con l’art. 24 Cost., in
quanto riconoscerebbe «un diritto “monco”, illegittimamente sfornito di una
parte rilevante della tutela giurisdizionale che l’ordinamento appresta invece
ad ogni altro diritto patrimoniale». La violazione sarebbe ancor più grave, in
quanto molteplici sarebbero le ipotesi di adesione tacita ai fondi di
previdenza complementare.
Né la lesione dell’art.
24 Cost. potrebbe essere esclusa per il sol fatto che sia possibile
richiedere il sequestro conservativo dei beni del datore di lavoro inadempiente
(art. 671 del codice di procedura civile), in
quanto il ricorrente dovrebbe dimostrare «dati di fatto ulteriori», riguardanti
il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito.
2.- Le questioni, nei termini in cui sono state prospettate,
sono inammissibili.
2.1.- La difesa dello Stato ha eccepito, in linea
preliminare, l’inammissibilità delle questioni per le insuperabili lacune
descrittive dell’ordinanza di rimessione. Un più accurato inquadramento della
fattispecie controversa avrebbe consentito di superare – con gli strumenti
dell’interpretazione adeguatrice – il dubbio di costituzionalità.
L’eccezione è fondata, nei termini che saranno
precisati.
Il giudice a quo ha l’onere di identificare i
contenuti della controversia, in termini tali da dimostrare la rilevanza del
dubbio di costituzionalità e, dunque, l’applicabilità della disposizione
censurata nel percorso argomentativo che conduce alla decisione (fra le molte,
sentenza n. 263 del 2020, punti 2.1. e 2.2. del Considerato in diritto).
Nel caso di specie, il rimettente ha descritto in
maniera lacunosa la fattispecie concreta sottoposta al suo esame, tanto da non
consentire a questa Corte di esprimersi circa la non implausibilità delle
motivazioni addotte. Non è chiaro, infatti, quali siano le condizioni di
adesione del lavoratore al fondo, né in che modo si possa configurare la
contitolarità del diritto a esigere le prestazioni attese.
La mancata attuazione delle previsioni della legge
delega in ordine alla contitolarità, in capo ai fondi pensione e agli iscritti,
del diritto alla contribuzione e del diritto al TFR (art. 1, comma 2, lettera e, numero 8,
della legge n. 243 del 2004) impone di ricostruire in modo puntuale la
volontà delle parti (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 febbraio 2019, n. 4626) e di
accertare di volta in volta se il conferimento del TFR sottenda la cessione di
un credito futuro (art. 1260 del codice civile)
o una delegazione di pagamento (art. 1268 cod. civ.).
Su tale qualificazione, che incide sulla titolarità
del diritto e sulla conseguente legittimazione a dedurlo in causa, il
rimettente trascura di soffermarsi. Le argomentazioni si esauriscono nel
generico richiamo a una «convenzione trilaterale avente ad oggetto il
conferimento del Tfr al Fondo», che non consente di far luce sulla volontà
delle parti coinvolte in questa forma di mutualità. Altrettanto fugace è la
menzione di «un diritto anche altrui (cioè, anche del Fondo)», senza alcun
cenno al fondamento della descritta contitolarità e di una necessaria
legittimazione congiunta.
2.2.- Anche la motivazione in merito alla non
manifesta infondatezza incorre nei profili di inammissibilità eccepiti
dall’Avvocatura generale dello Stato.
Il rimettente ha l’onere di svolgere una adeguata e
autonoma illustrazione delle ragioni del contrasto con i parametri
costituzionali evocati (fra le molte, sentenza n. 87 del 2021, punto 3.1. del
Considerato in diritto), onere che in questo caso non è stato assolto.
2.2.1.- Il rimettente, difatti, prospetta lo
snaturamento della delega nella sua interezza, senza, tuttavia, dar conto delle
più ampie finalità impresse alla riforma, volta a incrementare i flussi di
finanziamento destinati alle forme pensionistiche complementari e a garantire
una più elevata copertura previdenziale, in modo da affiancare il sistema
obbligatorio pubblico, in attuazione dei princìpi enunciati dall’art. 38 Cost. (sentenze
n. 218 del 2019, n. 393 del 2000 e n. 421 del 1995; Corte
di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 9 giugno 2021, n. 16084).
Nel richiamare la giurisprudenza di questa Corte
sulla violazione dell’art. 76 Cost., il giudice
a quo non spiega per quale ragione l’incompleta attuazione della delega con
riguardo a un aspetto circoscritto (la legittimazione ad agire del fondo
pensione) si ripercuota sull’intero disegno riformatore, tanto da vanificarne
gli obiettivi.
2.3.- Ulteriori ragioni di inammissibilità, da
rilevare d’ufficio, risiedono nella formulazione del petitum.
Esso si presenta contraddittorio e, per altro verso,
richiede a questa Corte un intervento dall’elevato coefficiente manipolativo.
2.3.1.- Nel censurare il contrasto con l’art. 76 Cost., il rimettente sollecita
l’individuazione di una contitolarità dei diritti in capo ai fondi pensione e
ai lavoratori e l’attribuzione ai fondi della legittimazione ad agire.
Il giudice a quo osserva che l’auspicata pronuncia
di accoglimento potrebbe anche delineare «alternativi strumenti idonei a
garantire una adeguata, piena ed efficace tutela del diritto del lavoratore
all’adempimento dell’obbligo di contribuzione incombenti sul datore di lavoro».
Il rimettente non solo non illustra le peculiarità di
tali strumenti, ma demanda a questa Corte il compito di sciogliere
l’alternativa tra un meccanismo incentrato sulla legittimazione ad agire dei
fondi pensione e una tutela declinata secondo diverse e indeterminate modalità.
2.3.2.- Nel concludere l’illustrazione delle
censure, il giudice a quo reputa sufficiente – al fine di porre rimedio al
vulnus denunciato – una pronuncia additiva che integri la previsione dell’art. 81 cod. proc. civ.
In questa prospettiva, si dovrebbe consentire al
lavoratore iscritto al fondo di «domandare al giudice la condanna o
l’ingiunzione del datore di lavoro, avente ad oggetto il versamento del Tfr al
Fondo, senza la necessità della partecipazione al giudizio del Fondo medesimo».
Il litisconsorzio non sarebbe più necessario quando non siano contestate le
somme già versate e quelle ancora da versare al fondo pensione e quando il
fondo non vanti «un interesse meritevole di tutela a partecipare al giudizio».
Tale soluzione, nell’attribuire al lavoratore la
legittimazione ad agire, si discosta da quella che presuppone la compiuta
attuazione della delega e il riconoscimento della legittimazione ad agire del
fondo.
2.3.3.- L’addizione che il rimettente prefigura, a
prescindere dalla correttezza della premessa interpretativa da cui muove,
estenderebbe le ipotesi di sostituzione processuale (art.
81 cod. proc. civ.), che solo il legislatore può prevedere. Si dovrebbe
così accordare al lavoratore, nelle vesti di sostituto, la facoltà di far
valere in nome proprio un diritto altrui.
A tale nuova ipotesi di sostituzione processuale
farebbe riscontro una singolare configurazione del litisconsorzio necessario.
Il rapporto inscindibile che – sul versante sostanziale – il rimettente ravvisa
tra lavoratore, datore di lavoro e fondo di previdenza complementare darebbe
adito a un litisconsorzio necessario nelle sole ipotesi – che spetterebbe a
questa Corte enucleare, in difetto di indicazioni univoche – in cui il fondo
sia interessato a partecipare al giudizio.
L’auspicato intervento additivo attiene alla
conformazione di istituti, come la sostituzione processuale e il litisconsorzio
necessario, in cui ampio è l’apprezzamento discrezionale riconosciuto al
legislatore, e si ripromette di delinearli secondo soluzioni caratterizzate da
un alto tasso di manipolatività.
Anche queste considerazioni convergono nel rendere
inammissibili le questioni sollevate (fra le molte, sentenza n. 219 del 2019,
punto 7 del Considerato in diritto).
3.- Questa Corte non può, tuttavia, non osservare
che la materia, assai rilevante sul piano delle attese sinergie fra mutualità
volontaria e regime pensionistico pubblico, dovrebbe essere oggetto di una più
attenta sistemazione da parte del legislatore, chiamato a risolvere le aporie
che pur emergono dalle questioni oggi scrutinate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 8 del
decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme
pensionistiche complementari), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 38, 47 e 76 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di
Sassari, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in
epigrafe.