Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 luglio 2021, n. 20396

Raggiungimento della massima anzianità contributiva,
Collocamento a riposo, Disciplina ex art. 72, co. 11, D.L. n. 112/2008, avente
carattere eccezionale, Richiesta una motivazione, in difetto di un formale
atto organizzativo, Controllo di legalità sull’appropriatezza della
risoluzione del rapporto rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguita

 

Rilevato che

 

1. La Corte d’appello dì Napoli, con sentenza n.
21/2015, respingeva l’impugnazione proposta da C.N. avverso la sentenza del
Tribunale di Avellino che aveva rigettato l’impugnazione dell’atto di
collocamento a riposo per il raggiungimento della massima anzianità
contributiva, adottato nei confronti della ricorrente con provvedimento n.
432/C2 del 23 febbraio 2010 dal Dirigente Scolastico del Liceo Classico “P.C.”
di Avellino, con decorrenza dal 1° settembre 2010;

la Corte territoriale evidenziava che la N. era
stata collocata a riposo nell’ambito della disciplina di cui all’art. 72, comma
11, del d.l. n. 112 del 2008, conv. nella I. n. 133 del 2008, come modificato
dall’art. 17, comma 35 novies della I. n. 102 del 2009, disciplina avente
carattere eccezionale ed operativa solo per gli anni 2009, 2010 e 2011;

rilevava che la N., avendo maturato la massima
anzianità contributiva nell’ambito del suddetto arco temporale, non poteva
affermare alcuna inapplicabilità della normativa;

evidenziava che fosse imposto all’amministrazione
solo il preavviso di sei mesi e che irrilevante fosse il mancato raggiungimento
dei 65 anni di età;

sosteneva che il provvedimento non necessitasse di
alcuna specifica ulteriore motivazione a giustifica del collocamento a riposo
fondato sul potere discrezionale conferito dalla norma;

escludeva profili di illegittimità costituzionale di
una disposizione fondata su esigenze di contenimento della spesa pubblica;

2. per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso C.N. con due motivi;

3. Le amministrazioni intimate hanno depositato atto
di costituzione al fine di partecipare all’udienza di discussione;

4. la ricorrente ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, cod.
proc. civ., in relazione all’art. 2119 cod. civ., 1362 cod. civ. in relazione
alla erronea interpretazione di circolari e direttive, degli artt. 2, 3 e 5
della I. n. 604 del 1966, dell’art. 33 della I. n. 165 del 2001, dell’art. 509
del d.lgs. n. 297 del 1994;

sostiene che la Corte territoriale, valutando come
erroneamente eccezionale la disposizione di cui all’art. 72, comma 11, del d.l.
n. 112/2008, abbia ritenuto di prescindere dall’intero ordito posto a garanzia
del dipendente (anche di quello privatizzato);

sostiene che interpretata nel senso voluto dalla
Corte partenopea la norma suddetta risulterebbe confliggente con le
disposizioni di tutela denunciate specie laddove è stato ritenuto che non sia
necessaria alcuna altra motivazione oltre quella prevista mediante il richiamo
per relationem all’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008;

2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia
l’incostituzionalità dell’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008 come
succ. modif. in relazione all’art. 3, 97 e 117 Cost. per effetto della riforma
introdotta dall’art. 24 del d.l. n. 201/2011 convertito con modificazioni dalla
I. n. 214 del 2011 che ha disposto l’elevazione del requisito dell’anzianità
contributiva e per contrasto con la normativa sovranazionale;

sostiene che se l’interpretazione del suddetto art.
24, comma 3, del d.l. n. 201 del 2001 è quella fornita dall’art. 2, comma 4,
del d.l. n. 101 del 2013 convertito, con modificazioni, in I. n. 125 del 2013,
secondo cui il conseguimento da parte di un lavoratore dipendente delle pubbliche
amministrazioni di un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011
comporta obbligatoriamente l’applicazione del regime di accesso e delle
decorrenze previgente rispetto all’entrata in vigore del predetto art. 24, il
diritto a pensione e/o quello a lavorare oltre il limite dei 40 anni di
contribuzione per effetto della disciplina antecedente rispetto a quella del
d.l. n. 101/2011 subirebbe un effetto deteriore in termini di aliquote sulla
anzianità e sullo stesso fondamentale diritto del dipendente alla prosecuzione
del rapporto, non consentendo al predetto soggetto il trattenimento in servizio
fino ai 65 anni in presenza del requisito dei 40 anni di contribuzione, in
violazione degli artt. 3 e 97 Cost.;

assume che laddove si ancori il recesso all’anzianità
contributiva tale indice rappresenta senza dubbio una discriminazione indiretta
fondata sull’età in violazione della direttiva 2000/78/CE, art. 6;

3. il primo motivo è fondato nei termini di seguito
illustrati;

3.1. l’assetto normativo della speciale forma di
recesso in esame, come precisato, tra le altre, da Cass. 5 marzo 2019, n. 6350,
ha avuto il seguente sviluppo:

– la facoltà della Pubblica Amministrazione di
risolvere unilateralmente il rapporto di impiego al raggiungimento della
massima anzianità contributiva è stata prevista dal d.l. 25 giugno 2008, n.
112, art. 72, comma 11, primo e secondo periodo, poi convertito dalla I. 6
agosto 2008, n. 112, secondo cui, nel testo originario, «nel caso di compimento
dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le
pubbliche amministrazioni di cui al d.l.gs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1,
comma 2, possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina
vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di
lavoro con un preavviso di sei mesi. Con appositi decreti (…) sono definiti
gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione
di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza e difesa
(n.d.r., a cui, in sede di conversione, si aggiungeva quello “affari esteri”),
tenendo conto delle rispettive peculiarità ordinamentali»;

– l’art. 72, comma 11, è stato successivamente
novellato dalla L. 4 marzo 2009, n. 150, art. 6, comma 3, che ha sostituito il
requisito del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni, con il
requisito del “compimento dell’anzianità massima di servizio di 40
anni”; – entrambe le formulazioni della norma, succedutesi in breve arco
temporale, si limitavano a richiedere il requisito, in un caso della massima
anzianità contributiva, nell’altro della massima anzianità di servizio, senza
imporre ulteriori condizioni, quanto alla formazione della volontà negoziale
dell’Amministrazione, e senza richiedere in modo espresso il rispetto
dell’obbligo motivazionale;

– la determinazione di specifiche modalità
applicative era, infatti, espressamente prevista solo per il personale dei
comparti sicurezza, difesa ed affari esteri, in ragione delle peculiarietà dei
rispettivi ordinamenti;

– successivamente, il d.l. 10 luglio 2009, n. 78,
art. 17, comma 35 novies, convertito dalla I. 3 agosto 2009, n. 102, ha
sostituito l’art. 72, comma 11, facendo riferimento (anni 2009, 2010, 2011) al
requisito della massima anzianità contributiva, confermando il preavviso e
precisando la unilateralità del recesso, da ricollegare all’esercizio del
potere di organizzazione esercitato ai sensi dell’art. 5, comma 2, del T.U.,
con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, prevedendosi infine
l’applicabilità della disciplina anche per il personale dirigenziale;

– è poi intervenuto il d.l. 6 luglio 2011, n. 98,
art. 16, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla I. 15 luglio 2011, n.
111, secondo cui «in tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio
della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal d.l. 25
giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla I.
6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore
motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente
determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale
di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di
controllo»;

– le condizioni richieste per il recesso sono
rimaste immutate anche nelle ulteriori novelle, fino all’intervento del d.l. 24
giugno 2014, n. 90, art. 1, comma 5, convertito con modificazioni dalla I. 11
agosto 2014, n. 114, in ragione del quale il vigente art. 72, comma 11, primo
periodo, prevede che «con decisione motivata con riferimento alle esigenze
organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la
funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui al
d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni,
incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del
requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento (…)
risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale
dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del
raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione
percentuale (…)»;

3.2. il caso di specie, riguardando un recesso
intimato il 23 febbraio 2010 e destinato ad avere effetto dal 1° settembre
2010, rientra quindi nella disciplina antecedente a quella di cui al d.l.
98/2011, la cui vigenza risale al 6 luglio 2011;

3.3. con specifico riferimento ad essa, questa Corte
ha ritenuto che «la facoltà di collocamento a riposo d’ufficio nel lavoro
pubblico contrattualizzato, prevista dall’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112
del 2008, conv. con modif. dalla I. n. 133 del 2008, in ragione del
raggiungimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni richiede
una motivazione, ancor più necessaria in difetto di un formale atto
organizzativo, che consenta il controllo di legalità sull’appropriatezza della
risoluzione del rapporto rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguita,
sicché la sua mancanza viola i principi generali di correttezza e buona fede,
il principio dell’imparzialità e buon andamento della P.A., le norme imperative
che richiedono la rispondenza dell’azione amministrativa al pubblico interesse
e l’art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE» (v. Cass. 6 giugno 2016, n.
11595 ed ancora Cass. 6 marzo 2019, n. 6556; Cass. 5 marzo 2019 n. 6350; Cass.
8 gennaio 2021, n. 150);

3.4. erroneamente, dunque, la Corte territoriale ha
ritenuto che non fosse necessaria alcuna motivazione;

4. quanto al secondo motivo del ricorso, va
innanzitutto osservato che un’eventuale sollecitazione al giudice a sollevare
una tale questione di legittimità costituzionale non può essere prospettata
come “motivo di ricorso per cassazione” perché non può essere configurata come
vizio della sentenza impugnata idoneo a determinarne l’annullamento da parte di
questa Corte;

infatti, ai sensi dell’art. 24, secondo comma, della
legge 11 marzo 1953 n. 87, la questione di costituzionalità di una norma, non
solo non può costituire unico e diretto oggetto del giudizio, ma soprattutto
può sempre essere proposta, o riproposta, dalla parte interessata, oltre che
rilevata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti
rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la
decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente
dedotte nel processo (in senso conforme vedi, tra le altre: Cass. 18 febbraio
1999, n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. 29 ottobre 2003, n. 16245;
Cass. 16 aprile 2018, n. 9284; Cass. 24 febbraio 2014, n. 4406);

4.1. in ogni caso, questa Corte ha già ritenuto (v.
Cass. 10 luglio 2020, n. 14812) che la risoluzione unilaterale da parte di una
Pubblica amministrazione dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato in
applicazione dell’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008 non contrasta con
l’art. 117 della Cost. per violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario ed dell’art. 6 della direttiva 2000/78/CE, attuata dal d.lgs. n. 16
del 2003, come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, in
quanto tale direttiva consente agli Stati membri di prevedere, nell’ambito del
diritto nazionale, differenze di trattamento dei lavoratori fondate sull’età
purché siano ‘oggettivamente e ragionevolmentè giustificate da un finalità
legittima quale è la politica del lavoro e del relativo mercato o della
formazione professionale e sempre che i mezzi per il raggiungimento di tale
scopo siano necessari e appropriati, come si verifica nella specie (vedi per
tutte: Cass. n. 22023 del 2015; Cass. n. 11859 del 2015, Cass., n. 9864 del
2018), anche in ragione delle considerazioni svolte nella trattazione del primo
motivo di ricorso;

peraltro, in una prospettiva di salvaguardia della
posizione del lavoratore, il legislatore ha fatto riferimento, quale condizione
per il recesso unilaterale non all’età dello stesso ma al raggiungimento della
anzianità massima contributiva di quaranta anni;

4.2. si aggiunga che, come pure da questa Corte già
evidenziato (v. Cass. 3 luglio 2017, n. 16354), la Corte costituzionale ha da
tempo affermato che dagli artt. 4 e 35 non discende un diritto soggettivo alla
conservazione del posto di lavoro, ma solo la necessità di introdurre
temperamenti al potere di recesso del datore, di modo che il lavoratore venga
tutelato nei casi di arbitrarietà o irragionevolezza del licenziamento, che
rimane comunque consentito nei casi in cui sussistano motivi adeguati a
giustificare la cessazione del rapporto;

la Corte ha anche precisato che i modi e le forme
della tutela costituzionale, limitata nei termini innanzi detti, sono rimessi
alla discrezionalità del legislatore, che è chiamato a valutare sia le singole
fattispecie nelle quali il recesso può essere ritenuto giustificato, sia le
tutele da assicurare al lavoratore legittimamente estromesso dalla azienda o
dall’ufficio (v. Corte Cost. 13 dicembre 2000, n. 541);

4.3. il giudice delle leggi ha anche affrontato la
questione della interferenza fra recesso dal rapporto di lavoro e godimento del
trattamento pensionistico e già con la sentenza n. 15 del 1983, nel giudicare
la legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n. 604 del 1966, ha
evidenziato che “nei riguardi dei lavoratori che sì trovino ad avere
conseguito il diritto a pensione di vecchiaia, un trattamento diverso da quello
previsto per i lavoratori non anziani risponde a ragioni ben concretamente
coerenti ed adeguate in quanto la loro licenziabilità non ha riscontro
nell’eventualità che essi possano rimanere senza retribuzione e senza
trattamento di quiescenza per vecchiaia”;

per ragioni analoghe la Corte ha ritenuto che, ove
si prospetti la necessità della riduzione del personale, risponde al criterio
di ragionevolezza una disciplina normativa o contrattuale che privilegi, ai
fini della individuazione del personale da licenziare, il raggiungimento dei
requisiti di età e dì contribuzione necessari per fruire del trattamento di
quiescenza, trattandosi dì scelta che «può essere giustificata in una
situazione del mercato del lavoro tale da escludere per ì lavoratori più
giovani la possibilità di trovare a breve termine un altro posto di lavoro» (v.
Corte Cost. 6 luglio 1994, n. 268);

4.4. infine, la Corte nel pronunciare, sia pure
sotto altri aspetti, sulla legittimità della disposizione che qui viene in
rilievo, ha evidenziato che non ha copertura costituzionale il diritto a
rimanere in servizio per ottenere l’incremento del trattamento di quiescenza,
poiché il bene protetto dall’art. 38 Cost. è solo quello che tutela il
conseguimento del minimo pensionistico (v. Corte Cost. 6 marzo 2013, n. 33);

4.5. da tanto consegue che va accolto il primo
motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo; la sentenza impugnata
va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di
Napoli che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame e provvederà
anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità;

6. non sussistono le condizioni processuali di cui
all’art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara
inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli, in
diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 luglio 2021, n. 20396
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