Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 luglio 2021, n. 20562
lllegittimità del licenziamento, Reintegra nel posto di
lavoro, Retribuzioni medio tempore maturate e relativa contribuzione
previdenziale, Altra occupazione in relazione, lmporto delle retribuzioni
detratto dal danno risarcibile a causa dell’aliunde perceptum, Principio di
infrazionabilità delle impugnazioni
Rilevato in fatto
Che, con sentenza depositata il 1°.8.2015, la Corte
d’appello di Venezia, in riforma della pronuncia di prime cure, ha rigettato la
domanda con cui M. s.p.a. aveva chiesto la restituzione dei contributi versati
a seguito della sentenza di primo grado resa nel giudizio già pendente tra essa
e G.R., con la quale l’adito giudice aveva dichiarato l’illegittimità del
licenziamento a costui intimato e l’aveva condannata a reintegrarlo nel suo
posto di lavoro, a corrispondergli le retribuzioni medio tempore maturate e a
versare in suo favore la relativa contribuzione previdenziale; che avverso tale
pronuncia M. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di
censura, successivamente illustrati con memoria; che l’INPS ha resistito con
controricorso;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo di censura, la ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4°, St. lav., e
degli artt. 2056, 1223 e 1227 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che
la riforma in appello della sentenza di primo grado in esecuzione della quale
essa aveva versato i contributi non avesse incidenza sulla persistenza
dell’obbligazione contributiva, sebbene i giudici del gravame avessero
accertato che, successivamente alla cessazione del rapporto, il lavoratore
licenziato aveva trovato altra occupazione in relazione alla quale l’importo
delle retribuzioni dovute era stato detratto dal danno risarcibile a causa
dell’aliunde perceptum;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 334 e 345 c.p.c., per avere la
Corte territoriale accolto l’appello incidentale dell’INPS, nonostante che
quest’ultimo avesse indebitamente ampliato il più limitato oggetto dell’appello
principale già proposto dall’Istituto, in contrasto con il principio di
infrazionabilità delle impugnazioni; che il secondo motivo va esaminato con
priorità rispetto al primo, stante la sua potenziale valenza assorbente; che,
al riguardo, va premesso che l’Istituto ricorrente, dopo aver appellato la
sentenza di prime cure nella parte in cui aveva accolto la domanda di M. s.p.a.
volta ad ottenere «il rimborso di tutto quanto corrisposto all’INPS in
conseguenza dell’inserimento nella base imponibile previdenziale della somma
corrispondente all’ammontare dell’aliunde perceptum maturato da R.G. nel
periodo 16.2.2007-26.6.2009» (così il conclusum dell’appello INPS, riportato a
pag. 2 della sentenza impugnata), successivamente, a seguito della notifica
dell’appello proposto da M. s.p.a. (e avente ad oggetto l’impugnazione del capo
di sentenza in cui il giudice di prime cure aveva erroneamente determinato il
periodo per il quale aveva accolto la domanda di restituzione dei contributi,
che non era quello compreso tra il 16.2.2007 e il 26.6.2009, come indicato
nella sentenza, bensì quello compreso tra il 1999 e il 2007, per come indicato
nel ricorso introduttivo del giudizio, dal momento che per il periodo 2007-2009
essa non aveva effettuato alcun versamento contributivo, avendo il lavoratore
reintegrato optato per l’indennità sostitutiva della reintegra), ha proposto
appello incidentale, con cui ha chiesto «condannare M. s.p.a. al pagamento dei
contributi relativi al periodo giugno 1999-giugno 2009 per il lavoratore R.G.»
(ibid., pagg. 3-4); che la sentenza impugnata, pur dando atto – coerentemente
con la richiesta di correzione sostanzialmente avanzata dall’odierna ricorrente
mercé il proprio appello – che «il versamento della contribuzione e delle somme
accessorie [era] riferito al periodo anteriore al febbraio 2007» (cfr. pag.
11), ha nondimeno accolto l’appello proposto dall’INPS, negando in radice il fondamento
della pretesa restitutoria dell’odierna ricorrente;
che, così facendo, la sentenza impugnata, lungi
dall’accogliere l’appello (principale) dell’INPS, ha accolto in realtà il suo
appello incidentale, avendo rigettato la richiesta di restituzione che era
stata formulata in relazione a versamenti effettuati per un periodo affatto
diverso rispetto a quello delimitato dall’appello principale dell’Istituto e
per il quale, viceversa, l’odierna ricorrente non aveva effettuato versamenti
contributivi di sorta;
che è consolidato nella giurisprudenza di questa
Corte il principio secondo cui la parte che abbia già proposto appello contro
alcune statuizioni della sentenza di primo grado non può, nell’ambito dello
stesso rapporto processuale, presentare un secondo appello (incidentale) in
presenza di impugnazione proposta dalla parte avversa, avendo già consumato il
proprio potere di impugnazione, irrilevante all’uopo restando la previsione di
cui all’art. 334 c.p.c., che opera solo in favore della parte che, prima
dell’iniziativa dell’altro contendente, abbia prestato acquiescenza alla
sentenza impugnata (così da ult. Cass. n. 19745 del 2018);
che l’inammissibilità dell’appello incidentale
dell’INPS ha comportato la formazione del giudicato interno sul capo della
sentenza di primo grado relativo al diritto dell’odierna ricorrente alla
restituzione dei contributi, sia pure in relazione al periodo realmente oggetto
di causa (giugno 1999-gennaio 2007: cfr. in tal senso la correzione operata a
pag. 11 della sentenza impugnata, già cit.); che, avendo accolto un appello
incidentale inammissibile, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio,
vertendosi in fattispecie in cui la domanda di riforma non poteva essere
proposta (art. 382, comma 3°, secondo periodo, c.p.c.); che, rimanendo
conseguentemente assorbito il primo motivo di ricorso, l’INPS va condannato a
rifondere a parte ricorrente le spese di lite, che si liquidano come da
dispositivo;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il
primo. Cassa la sentenza impugnata e condanna l’INPS alla rifusione delle spese
di lite, che si liquidano in € 3.000,00 per il giudizio d’appello e in €
4.700,00 per il giudizio di cassazione, di cui € 4.500,00 per compensi, oltre
spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.