Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 luglio 2021, n. 21168
Rapporto di lavoro, Operazioni di vestizione e svestizione
degli indumenti di lavoro, Nozione di lavoro effettivo, Normativa legale e
contrattuale
Rilevato
che, con sentenza del 21 febbraio 2017, la Corte
d’Appello di Roma, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Roma,
accoglieva la domanda proposta, con distinti ricorsi successivamente riuniti,
da S.D., M.M., S.T., P.S., S.M., R.B., F.C., A.M., G.M., L.B. nei confronti di U.T.S.C.,
alle cui dipendenze i predetti istanti operavano con mansioni di addetti presso
supermercati a marchio COOP in Roma, avente ad oggetto la computabilità
nell’orario di lavoro del tempo, quantificato in trenta minuti, dedicato alla
operazioni di vestizione e svestizione conseguenti all’uso di divise aziendali
e di dispositivi di protezione individuale da indossare prima dell’inizio
dell’orario di lavoro e da lasciare in sede al termine oltre che la condanna
della Società cooperativa al pagamento delle differenze retributive spettanti
per ogni giorno di effettiva presenza al lavoro, con riserva di quantificazione
in separato giudizio, determinando in venti minuti il tempo computabile
nell’orario di lavoro e parametrando a tale arco temporale la condanna della
Società al pagamento delle relative differenze retributive;
che la decisione della Corte territoriale discende
dall’aver questa ritenuto sussistere la condizione che, secondo l’orientamento
accolto dalla giurisprudenza di questa Corte, impongono di considerare le
operazioni di vestizione e svestizione come rientranti nel tempo di lavoro
effettivo e comportano per il tempo necessario alla loro esecuzione l’insorgere
dell’obbligo retributivo, condizione data dall’essere le modalità esecutive di
quelle operazioni imposte dal datore di lavoro, nella specie implicitamente
desumibile, in difetto di specifica previsione da parte del CCNL o del
Regolamento aziendale, dalla natura degli indumenti da indossare o dalla
specifica funzione che essi devono assolvere nello svolgimento della
prestazione;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la
U. T., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resistono, con
controricorso, tutti gli originari istanti; che i controricorrenti hanno poi
depositato memoria;
Considerato che
con il primo motivo, la Società ricorrente, nel
denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 d.lgs. n. 66/2003,
98 del CCNL di settore e 2104 c.c. e 19 c.p.c., lamenta l’erroneità
dell’interpretazione accolta dalla Corte territoriale in relazione alla
riconducibilità delle attività propedeutiche, quali devono definirsi le
operazioni di vestizione e svestizione degli indumenti di lavoro, nella nozione
di lavoro effettivo quale desumibile dalla normativa legale e contrattuale in
materia di orario di lavoro, a suo dire, tale da richiedere che il lavoratore
sia al lavoro, a disposizione del datore e nell’esercizio dell’attività o delle
funzioni; che, con il secondo motivo, denunciando il vizio di omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio, la Società ricorrente imputa alla Corte
territoriale la mancata considerazione del dato a suo dire di carattere
fattuale che identifica nella “esistenza o meno di un reale e concreto
esercizio del potere di eterodirezione da parte della Società nelle attività di
vestizione e svestizione delle divise aziendali da parte dei lavoratori”;
che nel terzo motivo la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c. è prospettata con riferimento al ritenuto
difetto di qualsiasi supporto probatorio al convincimento espresso dalla Corte
territoriale in ordine all’assoggettamento all’eterodirezione del datore delle
operazioni in questione; che, con il quarto motivo, rubricato con riferimento
alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., la
Società ricorrente lamenta l’error in procedendo in cui sarebbe incorsa la
Corte territoriale nel quantificare il tempo necessario all’esecuzione delle
operazioni in questione prescindendo da un accertamento istruttorio pur
richiesto dalla stessa Società ricorrente ma sulla base di un preteso dato di
comune esperienza non apprezzabile come tale,tenuto conto delle caratteristiche
concrete del fatto oggetto di osservazione;
che la valutazione degli esposti motivi di
impugnazione deve muovere dal dato della piena concordanza in punto di diritto
della tesi accolta nella sentenza impugnata con quella prospettata nel ricorso
de quo, stando a quanto si legge a pag. 10 del medesimo per cui “non può
che concludersi che il tempo di vestizione possa considerarsi tempo di lavoro,
tale da dover essere retribuito, solo nell’ipotesi in cui il lavoratore durante
tale tempo sia eterodiretto dal datore di lavoro che imponga modalità per lo
svolgimento di quelle che, diversamente, sono solo attività propedeutiche alla
prestazione lavorativa”;
che di conseguenza i primi tre motivi, che in quanto
strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono
ritenersi inammissibili, risolvendosi il primo di essi nella mera
contrapposizione della lettura propugnata dalla Società ricorrente in ragione
della coerenza con l’esito favorevole della controversia della normativa in
particolare contrattuale e regolamentare rispetto a quella della medesima
normativa accolta dalla Corte territoriale e supportata per di più da
considerazioni, del tutto plausibili sul piano logico e giuridico e non fatte
oggetto di specifica censura, intese a dare rilievo alla natura degli indumenti
da indossare ed alla specifica funzione che essi devono assolvere nello
svolgimento della prestazione e gli altri due motivi, di cui il primo del tutto
sovrabbondante, non potendosi considerare come dato fattuale di cui si è omesso
l’esame ciò che è invece il risultato di un apprezzamento in termini di
eterodirezione di elementi di fatto puntualmente esaminati, nella mera
confutazione della valutazione, insindacabile in questa sede, dell’efficienza
probatoria delle risultanze istruttorie;
che parimenti inammissibile si rivela il quarto
motivo risultando del tutto corretto l’affidamento dalla Corte territoriale
operato, ai fini della quantificazione del tempo necessario per le operazioni
in questione, ad un dato di comune esperienza, che si traduce in un
apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede, non comprendendosi neppure
su quali basi tale sindacato potrebbe fondarsi, giacché si trattava di
calcolare sulla base di un mero criterio di ragionevolezza il tempo, contenuto
in dieci minuti, in riduzione rispetto alla prospettazione degli originari
istanti, che richiede l’avviare ed il concludere la vestizione e svestizione
degli indumenti di lavoro, ciò comportando, l’accedere allo spogliatoio, il
raggiungere l’armadietto, l’aprirlo, il reperire e dispiegare gli indumenti
utili, il trovare un comodo appoggio per indossarli, l’indossarli, il riporre,
specie nella stagione invernale, qualche indumento personale in eccesso
nell’armadietto, il chiudere l’armadietto e il lasciare lo spogliatoio;
che il ricorso va dunque dichiarato inammissibile;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi, oltre spese
generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi, a norma del co. 1
bis dello stesso art. 13, se dovuto.