Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 luglio 2021, n. 21365

INPS, Riliquidazione della pensione, Domanda, Inclusione
degli emolumenti extramensili relativi ai periodi di contribuzione figurativa

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 554 del 2015, la Corte d’appello
di Lecce, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato l’INPS a
pagare ad A.S. le differenze rivenienti dalla riliquidazione della pensione da
lui goduta con l’inclusione, nella relativa base di calcolo, degli emolumenti
extramensili relativi ai periodi di contribuzione figurativa dovuta al
collocamento in cassa integrazione guadagni;

2. avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto
ricorso, affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale
ha opposto difese M.P., con controricorso;

 

Considerato che

 

3. con il primo motivo di censura, il ricorrente
denuncia violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. per avere la Corte di merito
ritenuto l’ammissibilità dell’appello proposto dall’odierno controricorrente
nonostante non contenesse censure attinenti alla motivazione della sentenza
impugnata;

4. con il secondo motivo, il ricorrente lamenta
violazione dell’art. 132 c.p.c. per avere la Corte di merito rassegnato, a
sostegno dell’accoglimento della domanda, una motivazione meramente apparente;

5. con riguardo al primo motivo, va rilevato che,
mentre il primo giudice aveva accertato che «l’INPS ha provveduto ad includere
le mensilità aggiuntive nella base retributiva di riferimento per la
liquidazione del trattamento di integrazione salariale», di talché, «non avendo
il ricorrente fornito specifiche contestazioni e deduzioni in ordine alle
modalità di calcolo della contribuzione figurativa, deve concludersi per
l’infondatezza della domanda» (così la sentenza di primo grado, debitamente
trascritta a pag. 5 del ricorso per cassazione), l’atto di appello, dopo aver
richiamato il disposto dell’art. 8, I. n. 155/1981, e ribadito «che non possono
esserci criteri differenti per calcolare il valore retributivo a seconda che si
tratti di emolumenti mensili o extramensili», ha affermato che «è assolutamente
fuorviante la tesi dell’INPS che vorrebbe escludere la pensione del pensionato
dal campo di applicazione del principio posto dalla Corte di cassazione n.
16313/04 e successive analoghe, muovendo dalla circostanza che né nell’anno
solare in cui sono collocati i contributi figurativi né nell’anno precedente vi
sia alcun contributo da lavoro dipendente con retribuzione effettiva» (ibid.,
pagg. 6-7), illustrando poi, in diritto, le ragioni per cui la tesi
dell’Istituto andrebbe disattesa (ibid., pagg. 7-8);

6. risulta per tabulas che il contenuto dell’atto di
appello non muove alcuna specifica doglianza nei confronti dell’accertamento
del giudice di prime cure secondo cui gli emolumenti extramensili di cui si
discute sarebbero già stati inclusi nella base di calcolo del trattamento
pensionistico, diffondendosi su questioni di diritto per nulla pertinenti
rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata;

7. questa Corte, già anteriormente alla novella
dell’art. 342 c.p.c., aveva consolidato il principio secondo cui l’atto di
appello, che contenga motivi di gravame non aderenti alle questioni dibattute e
decise in primo grado, non è idoneo a conseguire lo scopo del riesame e della
riforma della pronuncia impugnata e dev’essere pertanto dichiarato
inammissibile (Cass. S.U. n. 3465 del 1977 e numerose successive conformi);

8. tale principio va a fortiori ribadito a seguito
della novella apportata agli artt. 342 e 434 c.p.c. dal d.l. n. 83/2012 (conv.
con I. n. 134/2012), richiedendosi, ai fini dell’ammissibilità del gravame, che
l’appello contenga una chiara individuazione delle questioni e dei punti
contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze,
affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti
le ragioni addotte dal primo giudice, trattandosi pur sempre di revisio prioris
instantiae (così, tra le più recenti, Cass. n. 13535 del 2018);

9. rimane assorbito il secondo motivo di censura;

10. non avendo il giudice d’appello rilevato
l’inammissibilità del gravame, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio,
ex art. 382, comma 3°, secondo periodo, cod.proc.civ., dal momento che il
processo non poteva essere proseguito;

11. la parte controricorrente va conseguentemente
condannata a rifondere all’INPS le spese del giudizio di appello e di
cassazione, liquidate come da dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il
secondo; cassa la sentenza impugnata perché la causa non poteva essere
proseguita e condanna parte controricorrente alla rifusione delle spese del
giudizio di appello, che si liquidano in € 2.000,00, e di legittimità, che si
liquidano in € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali
in misura pari al 15% e accessori di legge.

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