Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 luglio 2021, n. 21428

Tributi, IRPEF, Cessazione rapporto di lavoro dipendente,
Prestazioni erogate da fondo di previdenza integrativa aziendale, Tassazione,
Prova dell’esistenza di un rendimento netto derivante dall’impiego sui mercati
finanziari del capitale accantonato dal fondo pensione

 

Rilevato che

 

1. G.M.P.S., dirigente della società E. S.p.A. in
quiescenza, proponeva ricorso avverso il silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia
delle Entrate – direzione provinciale di Roma alla domanda di rimborso degli
importi ritenuti a titolo di IRPEF dalla Cassa di Previdenza Dirigenti E.
Italiana sulle somme erogate al momento della cessazione del rapporto di
lavoro, asserendo l’applicabilità su dette somme dell’imposta nella misura del
12,50%.

2. La domanda del contribuente veniva disattesa in
ambedue i gradi di giudizio.

3. Avverso la sentenza resa in appello dalla
Commissione tributaria regionale del Lazio (n. 1229/29/2016 dell’8 marzo 2016),
ricorre per cassazione G.M.P.S., articolando quattro motivi; resiste, con
controricorso, l’Agenzia delle Entrate.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

 

Considerato che

 

4. Con il primo mezzo, si lamenta violazione
dell’art. 58, secondo comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione
all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., per avere la Commissione
tributaria regionale «implicitamente ma sostanzialmente» negato l’ammissione di
un documento (in dettaglio, la dichiarazione della Cassa Previdenza Dirigenti
del Gruppo E.M.) prodotto per la prima volta dal contribuente in appello.

5. La contestazione è infondata.

Alcuna espressa dichiarazione di inammissibilità
della produzione documentale evocata si rinviene nella sentenza qui gravata; né
essa può implicitamente inferirsi tanto dall’omessa indicazione, nella parte
narrativa della pronuncia, della circostanza dell’avvenuto deposito, quanto
dalla mancata considerazione dell’efficacia dimostrativa del documento
medesimo.

6. Con il secondo mezzo, articolato in relazione
all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. nonché «dell’art. 132, secondo
comma, num. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 dlsp. att. cod. proc. civ. e
dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992».

Assume il ricorrente che il giudice di appello ha
limitato la propria valutazione esclusivamente agli elementi asseverativi
acquisiti in prime cure, senza cioè prendere in esame «il documento, prodotto
ritualmente in appello dal contribuente» (cioè a dire la dichiarazione della
Cassa Previdenza Dirigenti del Gruppo E.M. già sopra richiamata), documento
invece decisivo siccome idoneo a fornire la prova della fondatezza dell’istanza
di rimborso.

6.1. La censura è fondata nei termini appresso
specificati.

Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la
violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può essere sottoposta al sindacato di
legittimità (escluso comunque un riesame delle risultanze istruttorie) sotto
due distinti profili: qualora il giudice di merito, esercitando il suo potere
discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta la
valutazione di quelle risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto
la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza;
quando il giudice del merito, in contrasto con i principi della disponibilità
delle parti sulle prove e del contraddittorio, ponga a base della decisione
fatti che erroneamente ritenga notori oppure la sua scienza personale (ex
plurimis, Cass. 12/04/2018, n. 9059; Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass.
11/10/2016, n. 20382).

Nel primo dei descritti errori è incorso il giudice
di prossimità.

Si legge nella motivazione della sentenza impugnata:
«L’appello è infondato, in quanto il primo giudice ha […] valutato
compiutamente e correttamente la documentazione e le argomentazioni dedotte dal
ricorrente a supporto dell’illegittimità della pretesa tributaria e le
deduzioni contrarie dell’Ufficio. Nel merito, la documentazione versata in atti
dal contribuente risulta inidonea ad inficiare la validità della pretesa
tributaria. Infatti, la Commissione tributaria provinciale ha correttamente
ritenuto non avesse fornito prova in ordine alle circostanze dedotte a supporto
del ricorso».

I! trascritto passaggio argomentativo, che precede
il richiamo di principi generali regolanti il trattamento fiscale degli importi
oggetto dì contesa, rende evidente (in specie, la concatenazione tra periodi
operata con la congiunzione “infatti”) come il giudice di appello
abbia fondato il proprio convincimento unicamente sullo strumentario
asseverativo acquisito nel processo di prime cure.

Così ragionando, la sentenza ha omesso qualsivoglia
disamina (funditus, ha radicalmente ignorato il deposito, nemmeno menzionato
nella esposizione dello svolgimento della vicenda processuale) della
dichiarazione proveniente dalla Cassa previdenza dirigenti del gruppo E.M. in
Italia datata 10 ottobre 2014 (integralmente riprodotta nel corpo del ricorso
introduttivo del presente giudizio), allegata dal contribuente per la prima
volta in grado di appello (circostanza pacifica, comunque evincibile dal
fascicolo di ufficio).

A detto documento l’appellante (come si inferisce
dal contenuto dell’atto di appello, trascritto nelle parti salienti nel ricorso
in esame) aveva ascritto valenza decisoria della lite, in quanto (secondo la
prospettazione del producente) dimostrativo dell’esistenza dì un rendimento
netto derivante dall’impiego sui mercati finanziari del capitale accantonato
dal fondo pensione.

Orbene, difetta nella gravata pronuncia ogni
considerazione di tale mezzo di prova, che invece la C.T.R. era tenuta a
compiere, seppur in maniera non particolareggiata o analitica, ma, quantomeno,
in via di confutazione critica per implicito o a contrario, mediante cioè la
illustrazione degli elementi asseverativi ritenuti, all’esito dell’analisi
globale dell’intero raccolto istruttorio, più attendibili e pertinenti.

6.2. Ad un apprezzamento del genere dovrà pertanto
provvedere il giudice del rinvio, disposto (richiedendo la decisione della lite
ulteriori accertamenti di fatto, anche alla luce dei rilievi sull’idoneità
della dichiarazione sollevati dal controricorrente) previa cassazione della
sentenza impugnata.

Al riguardo, per completezza argomentativa ed in
ossequio ai doveri di nomofilachia, pare opportuno rammentare, in sintesi, i
principi di diritto elaborati da questa Corte in tema di regime fiscale delle
prestazioni erogate dai fondi di previdenza integrativa aziendale all’atto della
cessazione del rapporto di lavoro.

Sull’argomento, rilievo centrale rivestono ancor
oggi le sentenze «gemelle» delle Sezioni Unite del 22 giugno 2011 (distinte dai
numeri da 13642 a 13653), le quali enunciarono, a risoluzione di contrasto
insorto tra le sezioni semplici della Corte, il seguente principio di diritto:
«In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma
capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata
in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un Fondo di previdenza
complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa
previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a)
per gli importi maturati fino a 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata
al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, primo comma, lett. a), e
17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), solo per quanto riguarda la
“sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale
conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme
provenienti dalla liquidazione del “rendimento netto” si applica la
ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 della legge 26 settembre 1985, n.
482; b) per gli importi maturati a decorrere dai 1 gennaio 2001 si applica
interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, primo comma,
lett. a), e 17 del T.U.I.R.».

La successiva elaborazione del giudice della
nomofilachia si è concentrata sulla definizione del concetto di «rendimento
netto», individuato negli importi rivenienti dall’effettivo investimento sul
mercato, da parte del fondo, del capitale accantonato (ex aliis, Cass.
29/12/2011, n. 29583; Cass. 12/01/2012, n. 280; Cass. 04/04/2012, n. 5376;
Cass. 25/05/2012, n. 8320; Cass. 27/03/2013, nn. 77247728; Cass. 22/05/2013,
nn. 12491-12496; Cass. 02/10/2013, n. 22492; Cass. 09/10/2013, n. 22950; Cass.
12/02/2014, n. 3132; Cass. 12/02/2014, n. 3136; Cass. 19/03/2014, n. 6380;
Cass. 09/04/2014, n. 8310; Cass. 04/02/2015, n. 1977; Cass. 22/05/2015, n. 10604;
Cass. 13/01/2017, n. 720).

Con la precisazione che l’assoggettamento di detto
«rendimento» al più favorevole trattamento impositivo previsto dall’art. 6
della legge n. 482 del 1985 non discende da una diretta riconduzione a detta
norma della fattispecie, ma è giustificato dalla equiparazione tra i capitali
corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli
corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione sancita dagli artt.
41 (ora 44), primo comma, lett. g-quater), e 42 (ora 45), quarto comma, del
T.U.I.R. (Cass. 26/04/2017, n. 10285; Cass. 18/10/2017, n. 24525; Cass.
02/03/2018, n. 4941; Cass. 07/03/2018, n. 5436).

Più specificamente, si è ritenuto che integrino il
c.d. rendimento netto «le somme derivanti dall’effettivo investimento del
capitale accantonato sul mercato, non anche quelle calcolate attraverso
l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di
capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni
previdenziali concordate» (così, oltre alle citate Cass. n. 10285 del 2017 e
Cass. n. 24525 del 2017, cfr. Cass. 02/4/2018 n.4943; Cass. 19/6/2018 n. 16116;
Cass. 24/7/2018 n. 19621; Cass. 30/10/2018 n. 27585).

Più di recente, si è altresì puntualizzato che il
requisito del «rendimento» non va circoscritto ai soli (eventuali) investimenti
nel mercato finanziario (valori mobiliari, strumenti finanziari), potendo
assumere rilievo a tale scopo anche altri tipi di mercato, quale quello
immobiliare (così Cass. 18/04/2019, n. 10907; Cass. 03/05/2019, n.11637; Cass.
07/11/2019, n. 28688).

Dal punto di vista processuale, infine, il
contribuente che impugna il rigetto dell’istanza di rimborso è attore in senso
sostanziale, come tale onerato di provare il fondamento della pretesa azionata,
cioè a dire tenuto a dimostrare: se il fondo abbia impiegato sul mercato il
capitale accantonato; quale (e quanto) sia stato il rendimento di gestione
conseguito da tale impiego; in qual modo sia stata determinata l’assegnazione
delle eventuali plusvalenze alle singole quote individuali del fondo attribuite
al dipendente, onde individuare la parte dell’indennità ricevuta da ascrivere a
rendimenti da investimenti sul mercato (oltre alle pronunce citate sopra, vedi
Cass. 02/04/2020, n. 7660; Cass. 28/02/2020, n. 5494; Cass. 18/11/2020, n.
26198; Cass. 23/11/2020, n. 26543).

7. L’accoglimento del secondo motivo, importando la
devoluzione al giudice del rinvio della rivalutazione dell’intero materiale
istruttorio acquisito al processo, esime la Corte dal vaglio del terzo e del
quarto motivo di ricorso, con cui, rispettivamente, l’impugnante ha lamentato
(ex art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.) l’omesso esame di fatti
decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (costituiti dalla
natura del fondo pensione della Cassa previdenza dirigenti e dall’ammontare dei
rendimenti netti maturati dal ricorrente sino al dicembre 2000) nonché (ex art.
360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.) l’inosservanza (in violazione
dell’art. 2697 cod. civ.) dei criteri di ripartizione dell’onus probandi sui
fatti costitutivi giustificanti la pretesa di rimborso.

8. Al giudice del rinvio è demandata altresì la
regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il
secondo, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in
diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio
di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 luglio 2021, n. 21428
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